Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3650 del 14/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 3650 Anno 2018
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: MARULLI MARCO

sul ricorso 7248/2013 proposto da:
Comune di Bovino, in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Gracchi n.278, presso lo
studio dell’avvocato Crastolla Guido, rappresentato e difeso
dall’avvocato Rotondo Pietro, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

Silca S.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, Via Zara n.16, presso lo studio
dell’avvocato De Cilia Michele, che la rappresenta e difende, giusta
procura a margine del controricorso;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 14/02/2018

avverso la sentenza n. 570/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 01/02/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
03/10/2017 dal cons. MARULLI MARCO.

1.1. Con sentenza depositata in data 1.12.2012, la Corte d’Appello di
Roma ha rigettato l’impugnazione proposta dal Comune di Bovino
avverso il lodo arbitrale che ha dichiarato risolto per fatto e colpa
della stazione appaltante il contratto di appalto 2.9.1989 in essere
tra esso Comune la Silca s.r.l. ed avente ad oggetto il ripristino della
viabilità esterna all’abitato comunale ed ha condannato il Comune al
pagamento in favore dell’impresa del decimo dei lavori eseguiti e al
risarcimento dei danni per maggiori spese generali e vincoli di
polizza, oltre agli accessori di legge e alle spese di procedura.
1.2. Definendo il gravame, il giudice adito ha rigettato nell’ordine, le
eccezioni di nullità del lodo a) per violazione dell’art. 810 cod. proc.
civ. in quanto, non avendovi provveduto il Comune e non essendo
stata indicata la sede del collegio arbitrale, legittimamente il terzo
arbitro era stato nominato su istanza della Silca dal Presidente del
Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 150, comma 4, d.P.R. 21
dicembre 1999, n. 554; b) per tardività della domanda di arbitrato in
quanto quella proposta il 17.11.2001 era stata ritenuta dal collegio
decidente, con motivazione di merito insindacabile nella sede adita,
rinnovazione della precedente domanda proposta il 2.12.1996,
ovvero quattro anni prima che fosse sottoscritto il certificato di
regolate esecuzione dei lavori; c) per ricusazione dell’arbitrato in
quanto il richiamo nella specie operato alle disposizioni del Capitolato
generale d’appalto (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063) attribuisce 1:1
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Est. Cons. Ma 111

FATTI DI CAUSA

esse la stessa valenza negoziale dell’atto che le richiama, sicché la
facoltà di derogare all’arbitrato ai sensi dell’art. 47 delle norme
richiamata avrebbe potuto esercitarsi solo se prevista nel bando o
nell’invito di gara o nel contratto, diversamente risultando irrilevante
il richiamo all’art. 47; d) per difetto di nomina dell’arbitro di parte

rinnovazione della precedente domanda 2.12.1996, ne faceva salvi
gli effetti e quindi anche la nomina dell’arbitro ivi effettuata; e) per
violazione del principio della domanda, essendo stata pronunciata
condanna in favore di Silca in punto di interessi, malgrado nel
quesito fosse contenuto il nominativo della Sacar s.r.I., trattandosi di
mero errore materiale; f) per violazione del principio della domanda
essendo stata pronunciata condanna al pagamento dei maggiori
oneri di polizza e di spese generali in difetto di indicazione dei fatti
costitutivi, stante al contrario l’esposizione completa e dettagliata di
quanto preteso; g) per l’intervenuta decadenza dalla facoltà di
opporre riserve, non ricorrendo alcuna delle ipotesi previste dall’art.
16 R.d. 25 maggio 1895, n. 350 che in caso di sospensione dei lavori
comporta gli effetti di cui al successivo art. 89.
1.3. Avverso detta decisione si grava ora di ricorso a questa Corte il
Comune di Bovino sulla base di sette motivi, illustrati pure con
memoria, ai quali replica la Silca con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo di ricorso il Comune deducente censura,
anche sotto il profilo motivazionale per vizio logico, l’impugnata
decisione nella parte in cui questa ha ritenuto legittima la nomina del
terzo arbitro da parte del Presidente del Tribunale di Roma, atteso
che nel caso de quo alla nomina avrebbe dovuto provvedere il
Presidente del Tribunale di Foggia ai sensi dell’art. 810 co
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Est. ecins
i

OC.
arulli

Silca, in quanto la domanda di arbitrato 17.11.2001 costituendo

civ. («il contratto è stato sottoscritto a Bovino, lì sono stati eseguiti i
lavori ed entrambe le parti, la Silca ed il Comune di Bovino, hanno
sede nel territorio di competenza giurisdizionale del Tribunale di
Foggia») e che la norma regolamentare richiamata dal decidente
(art. 150, comma 4, d.P.R. 554/99), essendo di rango subordinato,

2.2. Il motivo è infondato.
Come ha rettamente statuito la Corte romana, rigettando l’analoga
eccezione già sottoposta al suo vaglio quale motivo di nullità del lodo

ex art. 829 cod. proc. civ. e già delibata negativamente dagli arbitri,
al deducente sfugge – sull’incontestato presupposto fattuale che
nella specie non vi era stata alcuna designazione della sede arbitrale
– «l’autonoma ragione di rigetto dell’eccezione fondata sul
combinato disposto dell’art. 32 I. 109/1994 e che fa espresso
richiamo alla “procedura camerale”, e dell’art. 150, comma 4, d.P.R.
554/99, che prescrive che in caso di mancata indicazione della sede
del Collegio arbitrale ovvero di mancato accordo tra le parti, la sede
dell’arbitrato “debba intendersi stabilita presso la sede della Camera
Arbitrale per i Lavori Pubblici” e quindi in Roma», onde
legittimamente alla designazione in parola aveva provveduto il
Presidente di quel Tribunale.
Né peraltro in ciò è ravvisabile l’aporia interpretativa lamentata dal
deducente tra il richiamo all’art. 810 cod. proc. civ., che compare nel
secondo comma dell’art. 150 d.p.r. 554/99 e la previsione contenuta
nel quarto comma di esso a cui si è appellato il giudicante, giacché la
prima norma – che richiama tuttavia l’intero

corpus dispositivo

dell’art. 810 e, quindi, non solo il suo secondo comma – deve essere
interpretata alla stregua della specialità che riveste la seconda e che
si giustifica in funzione degli interessi pubblici che sono sot si alla
Est.

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I

i

/A
s. arulli

non può derogare alla norma del codice di procedura.

disciplina in esame; né, per questo, è poi configurabile una pretesa
violazione della gerarchia delle fonti, avendo, anche questa Corte,
chiarito che gli atti di normazione secondaria, quali devono
intendersi precipuamente i regolamenti di attuazione – e tale è
testualmente quello adottato con d.P.R. 554/99 – pur non potendo

legge o con i principi generali dell’ordinamento dello Stato, «possono
dettare norme che valgano ad integrare la disciplina legislativa ed a
chiarirne l’esatta portata con precetti esplicativi, purché in ogni caso
le norme di carattere interpretativo ed integrativo siano conformi alle
finalità della legge» (Cass. Sez. IV, 28/04/1995, n. 4746).
3.1. Con il secondo motivo di ricorso il Comune deducente si duole,
anche sotto il profilo motivazionale per vizio logico, del fatto che la
domanda di arbitrato 17.11.2001 sia stata giudicata tempestiva, sul
rilievo della pregressa domanda del 2.12.1996 ed in quanto
rinnovazione della precedente, quantunque proposta quando era già
decorso il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 46 d.P.R. 16
luglio 1962, n. 1063 dal rilascio del certificato di regolare esecuzione
dei lavori, nelle cui premesse si richiamava la delibera della giunta
municipale che aveva preso atto della contabilità finale dei lavori e
della relazione del direttore dei lavori sulle riserve dell’impresa, e
malgrado, nel declinare la competenza arbitrale, il deducente ne
avesse eccepito anche il carattere innovativo.
3.2. Il motivo è inammissibile.
Esso, in linea generale, postula invero la rinnovazione del giudizio
fattuale a suo tempo esperito dal collegio arbitrale, che già il
decidente ha giudicato inammissibile esulando dai compiti che l’art.
829 cod. proc. civ. assegna al giudice del gravame arbitrale e che
tanto meno risulta esperibile in questa sede avuto riguardo i limiti
Est.

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Marulli

porsi in contrasto con la fonte primaria cui si riferiscono, o con altra

che connotano il giudizio di legittimità, ove il sindacato consentito
alla Corte può esercitarsi solo in rapporto alla sentenza che abbia
deciso sull’impugnazione per nullità del lodo. Più esattamente, va
ribadito a questo riguardo che mentre «il giudizio di impugnazione
arbitrale si compone di due fasi, la prima rescindente, finalizzata

l’annullamento del medesimo, la seconda rescissoria, che fa seguito
all’annullamento e nel corso della quale il giudice ordinario procede
alla ricostruzione del fatto sulla base delle prove dedotte» e che
«nella prima fase non è consentito alla Corte d’Appello procedere ad
accertamenti di fatto, dovendo limitarsi all’accertamento delle
eventuali nullità in cui siano incorsi gli arbitri, pronunciabili soltanto
per determinati errori “in procedendo”, nonché per inosservanza
delle regole di diritto nei limiti previsti dal medesimo art. 829 cod.
proc. civ.», riservandosi solo alla sede rescissoria il riesame nel
merito della domanda (Cass., Sez. I, 8/10/2010, n. 20880), di fronte
a questa Corte, al fine di verificare se la sentenza medesima sia
adeguatamente e correttamente motivata in relazione ai motivi di
impugnazione del lodo non è consentito «apprezzare direttamente la
pronuncia arbitrale» e può essere esaminata «solo la decisione
emessa nel giudizio di impugnazione, con la conseguenza che il
sindacato di legittimità va condotto esclusivamente attraverso il
riscontro della conformità a legge e della congruità della motivazione
della sentenza che ha deciso sull’impugnazione del lodo» (Cass.,
Sez. I, 6/11/2006, n. 23670; Cass., Sez. I, 15/03/2007, n. 6028;
Cass., Sez. I, 26/07/2013, n. 18136).
Il motivo non è perciò scrutinabile in questa sede perché estraneo al
sindacato che la Corte può esercitare sulla sentenza che pronuncia
sull’impugnazione del lodo.
Est. C4 Marulli

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all’accertamento di eventuali nullità del lodo e che si conclude con

4.1. Il terzo motivo di ricorso lamenta l’erroneità, nonché
l’incongruità logica, dell’affermazione con cui il decidente, rigettando
la relativa eccezione, ha ritenuto che nella specie non fosse
esercitabile dal Comune la facoltà di derogare all’arbitrato ai sensi
dell’art. 47 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, malgrado il richiamo alle

operante nel caso de quo per volontà pattizia ed essa fosse
applicabile ex lege godendo i lavori di finanziamento pubblico.
4.2. Il motivo è infondato.
4.3. E’ principio stabilmente invalso nella giurisprudenza di questa
Corte, che «il capitolato generale per le opere pubbliche, approvato
con d.P.R. n. 1063 del 1962, ha valore normativo e vincolante e si
applica in modo diretto solo per gli appalti stipulati dallo Stato,
mentre, per quelli conclusi dagli altri enti pubblici, dotati di distinta
personalità giuridica e di propria autonomia, le sue previsioni
costituiscono clausole negoziali, comprensive anche di quella
compromissoria per la soluzione delle controversie tramite arbitrato,
che assumono efficacia obbligatoria solo se e nei limiti in cui siano
richiamate dalle parti per regolare il singolo rapporto contrattuale»
(Cass., Sez. I, 19/01/2016, n. 812). E’ però vero, come pure si è
affermato, che il principio in questione «trova deroga qualora una
specifica norma di legge disponga l’applicazione di detto capitolato
anche agli appalti stipulati da enti diversi dallo Stato, come i
Comuni» (Cass., Sez. I, 27/06/2006, n. 14817). Ed è questa,
esattamente, l’ipotesi – a cui si riferisce peraltro proprio il
precedente testé richiamato – che ricorre nel caso in esame, atteso
che l’art. 52, comma 1, I. reg. Puglia 16 maggio 1985, n. 27
prevedeva al tempo, prima che ne fosse disposta l’abrogazione ad
opera della I. reg. Puglia, 11 maggio 2001, n. 13, che «all’esec zione
Est. Cqtri

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arulli

disposizioni del Capitolato generale d’appalto rendesse la norma

delle opere pubbliche o di pubblico interesse di cui alla presente
legge si applicano, per quanto non previsto dalla presente legge, le
norme del regolamento approvato con R.D. 25 maggio 1895, n. 350,
del capitolato generale approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n.
1063, della legge 13 settembre 1982, n. 646, della legge 23

materia». Sebbene, perciò, la motivazione sul punto adottata dal
giudice d’appello, laddove, rammentando che il richiamo alle
disposizioni del capitolato operato dalle parti nel contratto conferisce
alle stesse la medesima valenza negoziale delle altre pattuizioni in
esso contenute, ha escluso che le vicende giuridiche successive
interessanti le norme richiamate potessero avere diretto effetto
modificativo della volontà manifestata dalle parti all’atto di
richiamarle nel contratto, non si riveli, alla luce della previsione
recata dal detto art. 52, comma 1, I. reg. Puglia 27/1985, conforme
al diritto scritto, nondimeno il dispositivo, che ha conclusivamente
negato ogni rilevanza alla ricusazione dell’arbitrato operata dal
Comune, risulta corretto, onde il collegio può ben procedere alla
correzione della motivazione a mente dell’art. 384, comma 4, cod.
proc. civ.
4.4. Va allora rimarcato che questa Corte ha già affermato, con
riguardo ad una previsione analoga a quella stabilita dall’art. 52,
comma 1, I. reg. Puglia 27/1985 – nella specie si trattava dell’art. 9
I. reg. Sicilia 26 maggio 1973, n. 21 – che in vista del richiamo
contenuto nella legge regionale deve ritenersi ripristinato – per
effetto dello

costituito dalla declaratoria di

jus superveniens

incostituzionalità ad opera di Corte cost. n. 152 del 1996 dell’art. 47
d.P.R. 1062/1963, nel testo risultante dalle modifiche dell’art. 16 I.
10 dicembre 1981, n. 741 – il contenuto precettivo del men onato
Est.

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dicembre 1982, n. 936, nonché le altre norme statali vigenti in

articolo 47 nella sua formulazione originaria, il quale, pur in presenza
del principio di normale devoluzione agli arbitri delle controversie in
materia di lavori pubblici fissato dal precedente articolo 43 d.P.R.
1062/1963, stabiliva una preferenza per il rimedio giurisdizionale,
attribuendo alle parti la facoltà di agire davanti al giudice ordinario

promozione del giudizio arbitrale, di chiedere entro il termine di
trenta giorni dalla domanda di arbitrato la decisione della
controversia da parte del giudice ordinario (Cass., Sez. II,
9/06/2000, n. 7895).
Orbene, nella specie – correggendosi così la motivazione della
decisione impugnata – introdotto l’arbitrato con domanda della Silca
notificata il 2.12.1996, il Comune ha manifestato la sua volontà di
sciogliersi dal patto arbitrale e di deferire la cognizione della
controversia alla decisione de giudice ordinario solo con atto
notificato all’impresa il 14.12.2001, ossia ben oltre il vincolante
termine di trenta giorni, il cui spirare caduca la facoltà declinatoria e
rende quindi cogente la competenza arbitrale. Né è qui opponibile la
circostanza che, promosso l’arbitrato con la citata domanda del
2.12.1996, la procedura sia rimasta quiescente per circa un
quadriennio, venendo nuovamente ripresa dalla Silca con la
domanda fatta notificare il 17.11.2001, in ragione della quale la
ricusazione promossa dal Comune non potrebbe perciò dirsi tardiva.
Fa invero testo in contrario la considerazione che, attribuendo alla
notifica del 17.11.2001 «valore di mera rinnovazione della domanda
di arbitrato notificata il 2.12.1996», il collegio arbitrale ha proceduto
ad un accertamento di fatto che, come ha esattamente riscontrato il
giudice del gravame, attesi i noti limiti dell’impugnazione del lodo,
fuoriescono dal perimetro della sindacabilità di esso cor1entita
Est. e

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f

Marulli

anziché davanti agli arbitri, e consentendo al convenuto, nel caso di

dall’art. 829 cod. proc. civ., sicché esso diviene inoppugnabile
acquisizione del giudizio di merito a cui correlare ogni successiva
statuizione.
5.1. Il quarto motivo di ricorso lamenta che Corte territoriale, con
deliberazione asseritamente ancora affetta da un vizio motivazionale,

dell’arbitro di controparte, atteso che Silca aveva proceduto alla
nomina del proprio arbitro nella prima domanda di arbitrato datata
2.12.1996, ma non in quella datata 17.11.2001, onde la primitiva
nomina era divenuta priva di efficacia.
5.2. Il motivo, ad onta del difetto di autosufficienza che lo connota
alla stregua dell’obiezione di cui lo fa bersaglio la controparte – che
riporta al riguardo il deliberato del collegio arbitrale che registra il
fatto opposto («nel corpo dell’atto di rinnovazione è stato riportato
integralmente il testo della domanda di arbitrato del 2.12.1996 ivi
compresa la parte inerente la nomina dell’avv. Napolitano») -, è
inammissibile poiché reitera, come lo stesso deducente del resto non
nasconde, nei medesimi termini una doglianza già disattesa dal
collegio arbitrale e respinta dalla Corte territoriale con motivazione
con cui il Comune omette di confrontarsi criticamente, in tal modo
contravvenendo al principio secondo cui il motivo di ricorso,
segnatamente, ove si alleghi il vizio di violazione o falsa applicazione
di legge, deve essere dedotto, «mediante specifiche argomentazioni
intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual
modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza
gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme
regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita
dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla
Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale com ito di
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abbia respinto l’eccezione di nullità del lodo relativa alla nomina

verificare il fondamento della lamentata violazione» (Cass., Sez. I,
29/11/2016, n. 24298).
6.1. Il quinto motivo di ricorso allega che, violando l’art. 112 cod.
proc. civ. e venendo altresì meno all’ufficio motivazionale, il giudice
del gravame non abbia inteso censurare il lodo nella parte in cui

della Silca, quantunque nel relativo quesito fosse stato chiesto che il
relativo pagamento avvenisse in favore della “Sacar s.r.l.”.
6.2. Il motivo è affetto da una duplice ragione di inammissibilità che
ne preclude la disamina.
Manca invero previamente di autosufficienza poiché il ricorrente
allega la circostanza della dedotta discordanza tra quesito ed il
dispositivo del lodo arbitrale, ma omette di riprodurre di entrambi il
contenuto, precludendo in tal modo di prendere cognizione della
decisività del rilievo alla stregua della sua illustrazione in ricorso.
Omette poi, come sopra e per gli effetti di cui sopra, di confrontarsi
con le ragioni della decisione, giacché rispetto all’assunto sposato dal
decidente – a giudizio del quale la discordanza è frutto di un mero
errore materiale – si astiene dal formulare qualsiasi osservazione
critica, limitandosi a reiterare una censura già disattesa sulla base di
ragioni inconfutate.
7.1. Il sesto motivo lamenta a sua volta un vizio di omessa
pronuncia, poiché, sebbene il decidente fosse stato richiesto di
dichiarare la nullità del lodo perché nella domanda di arbitrato la
Silca non avrebbe indicato con riferimento ai maggiori costi generali
e a quelli indotti dal maggior vincolo di polizza i fatti che ne
costituivano la ragione, limitandosi a far cenno in maniera
indeterminata nell’atto di arbitrato a “spese”, “oneri” e “danr”, la
relativa domanda non aveva formato oggetto di statuizione.
Est. C

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Marulli

questo ha disposto la condanna del Comune ricorrente in favore

7.2. Il motivo è previamente inammissibile poiché non assolve
all’onere di autosufficienza del ricorso a cui è soggetto il ricorrente
che si dolga de vizio de quo (Cass., Sez. II, 20/08/2015, n. 17049).
Peraltro il motivo è privo di fondamento. Il giudice del gravame,
contrariamente a quanto dedotto, ha infatti ricusato la declinata

notificato il 2.12.1996 sia quello successivamente notificato in
rinnovazione nel novembre 2001 contengono – alle rispettive pagg.
nn. 2, 3 e 4 – l’esposizione completa e dettagliata delle tre voci, tra
le quali il maggior vincolo delle polizze fideiussorie, che concorrono a
formare il complessivo ammontare di lire 643.000.000 richiesto a
tiolo di spese, onorari e danni subiti dall’impresa durante ed a causa
del lungo periodo di illegittima sospensione dei lavori».
Il lamentato vizio è dunque smentito per tabulas.
8.1. Con il settimo motivo di ricorso il Comune si duole, anche sotto
il profilo motivazionale, della contrarietà della gravata sentenza
all’art. 16 R.d.25 maggio 1895, n. 350, dal momento che, avendo la
Silca sottoscritto senza riserve il verbale di sospensione dei lavori, i
fatti in esso esposti dovevano ritenersi accertati e l’impresa era
perciò decaduta dalla relativa facoltà, con l’ovvia conseguenza che il
lodo adesivo sul punto andava per questo dichiarato nullo.
8.2. Il motivo è infondato. In disparte dalla considerazione che nel
diritto del tempo la comminatoria, della cui omessa rilevazione si
duole il ricorrente, era, come fatto notare dall’intimata, prevista solo
per l’ipotesi in cui l’appaltatore non avesse firmato il registro della
contabilità oppure, avendolo firmato con riserva, non avesse
esplicato nel termine fissatogli le riserve, nella specie il giudice
dell’impugnazione ha correttamente escluso un effetto ‘ffatto
sull’ineccepibile presupposto che non ricorresse nella vicenda 4i
Est. or

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qua

4l huiii

eccezione di nullità riferendo che «sia l’atto di domanda di arbitrato

alcuna delle ipotesi regolate dall’art. 16, precipuamente con
riferimento al caso di sospensione dei lavori, in guisa della quale i
fatti potessero ritenersi accertati ai sensi dell’art. 89 e come tali non
più contestabili. Ed invero, posto che la prima norma in caso di
sospensione dei lavori rende applicabile la seconda solo se

riserva», nel caso che ne occupa si è manifestamente fuori da questa
evenienza – sicché non ricorrere il lamentato errore di diritto né
tantomeno il pure preteso vizio motivazionale – atteso che l’impresa
aveva firmato il verbale e che la sottoscrizione era avvenuta senza
che essa formulasse alcuna riserva.
9. Il ricorso va dunque conclusivamente respinto.
10. Le spese seguono la soccombenza Ricorrono le condizioni per
l’assoggettamento al doppio contributo.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio che liquida in euro 7200,00, di cui euro
200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di
legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1 quater d.P.R. 30 maggio 2002, n.

115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte
del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il
giorno 28.6.2017
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«l’appaltatore non intervenga alla firma del verbale o lo firmi con

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