Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3649 del 24/02/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3649 Anno 2016
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: FALASCHI MILENA

legali —
risarcimento danni
da bene abusivo

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 06112/11) proposto da:
D’ORAZIO RAFFAELE, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avv.to Gaetano Montefusco del foro di Napoli ed elettivamente domiciliato presso lo studio
degli Avv.ti Claudio Ronchietto e Lucrezia Ranieri in Roma, via Giuseppe Palumbo n. 3;
– ricorrente –

contro
CALABRO’ GIOVANNA, rappresentata e difesa dall’Avv.to Francesco Zefelippo del foro di Napoli,
in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliata
presso lo studio dell’Avv.to Giampaolo Rossi in Roma, viale delle Milizie n. 38;
– controricorrente e ricorrente incidentale e contro

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Data pubblicazione: 24/02/2016

MONTEFUSCO GAETANO, rappresentato e difeso da se stesso, ed elettivamente domiciliato
presso lo studio dell’Avv.to Claudio Ronchietto in Roma, via Virgilio n. 38;
– controricorrente –

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 27 ottobre 2015 dal

Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti Claudio Ronchietto (con delega dell’Avv.to Gaetano Montefusco), per parte

ricorrente, e Ascanio Pensi (con delega dell’avv.to Francesco Zefelippo), per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto

Celeste, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, nonché del primo motivo del ricorso
incidentale e per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 5 gennaio 2001 Giovanna CALABRO’ evocava, dinanzi al
Tribunale di Napoli, Raffaele D’ORAZIO e precisato di essere proprietaria di appartamento sito in
Napoli, via Manzoni n. 71, dal quale, dal lato est, godeva di veduta panoramica sul golfo di Napoli
mediante affaccio da balconi, che era piena ed incontrastata in quanto gli stabili situati di fronte,
precisamente su via Ortensio, erano situati su di un livello stradale notevolmente più basso
rispetto a quello dell’appartamento dell’attrice, esponeva che il giorno 16.3.1999 sul terrazzo di
proprietà del convenuto, posto a copertura dell’edificio con ingresso da via Ortensio n. 28, era
stato realizzato, del tutto abusivamente, un manufatto di notevoli dimensioni stabilmente ancorato
al suolo che le impediva quasi del tutto la vista panoramica che rappresentava un elemento
essenziale del valore del proprio appartamento; chiedeva, pertanto, la condanna del convenuto —
per quanto ancora qui rileva – al risarcimento dei danni per la perdita di valore del suo
appartamento.

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avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 93 depositata il 14 gennaio 2010.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il giudice adito, espletata istruttoria,
anche con c.t.u., ritenuta la totale illegittimità del manufatto de quo, condannava il convenuto al
risarcimento dei danni per la perdita di valore dell’immobile dell’attrice, quantificati in €.

In virtù di rituale appello interposto dal D’ORAZIO, con il quale denunciava l’inammissibilità della
domanda, vaga e generica, nonché error in procedendo, la Corte di appello di Napoli, nella
resistenza dell’appellata, in parziale accoglimento del gravame e in parziale riforma della
decisione di primo grado, riduceva l’importo dovuto dall’appellante ad €. 60.807,50, oltre
accessori.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che la originaria domanda
rispettava pienamente i requisitivi di cui all’art. 163 c.p.c. risultando determinata la cosa oggetto
della domanda, chiaramente descritti gli elementi di fatto e di diritto dedotti; né sussisteva il
denunciato error in procedendo, essendo la consulenza tecnica rimessa alla discrezionalità del
giudice. Nel merito, riteneva accertato che si trattasse di opera illegittima e che il panorama,
prima visibile dall’appartamento della Calabrò, era stato ridotto dalla realizzazione del manufatto
sul terrazzo di copertura del fabbricato antistante, di proprietà dell’appellante. Deponevano in tal
senso le prove testimoniali e la documentazione fotografica. Sul quantum rilevava che il
panorama fruibile dall’appartamento dell’appellata non era pieno, né completamente libero;
inoltre, l’appartamento della origiaria attrice non era dotato di aree esterne particolarmente
significative, ragioni per le quali il danno veniva determinato non sulla base della riduzione del
10% del prezzo di mercato del bene, ma del 6%.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Napoli agisce il D’ORAZIO, sulla base
di tre motivi, cui resiste con controricorso la CALABRO’, contenente anche ricorso incidentale
affidato a due motivi, presentata replica dal ricorrente principale e dall’Avv.to Montefusco.
In prossimità della pubblica udienza la Calabrò ha depositato memoria illustrativa.

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121.615,00, oltre accessori.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Deduce in limine la ricorrente incidentale l’inammissibilità del ricorso awersario ai sensi
dell’art. 366 n. 6 c.p.c.. L’eccezione non è accoglibile.

richiesta a pena d’inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le Sezioni Unite di questa
Corte, dopo aver affermato che detta norma è finalizzata alla precisa delimitazione del thema
decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua
decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati
dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti
posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Cass.
SSUU 31 ottobre 2007 n. 23019), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata
disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle
fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo
esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del
successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Cass. SSUU 2 dicembre 2008 n. 28547); con l’ulteriore
precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel
fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione
di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile
(cfr. Cass. SSUU 25 marzo 2010 n. 7161 e Cass. SSUU 3 novembre 2011 n. 22726).
Tanto precisato, va però chiarito che nella specie non in tutti i motivi si pone la necessità di fare
capo a documenti di cui faccia difetto la specifica indicazione, essendo questa richiesta solo in
relazione alle censure rispetto alle quali uno o più specifici atti o documenti fungano da vero e
proprio fondamento: cioè quando senza l’esame di quell’atto o di quel documento – non
necessariamente da riprodurre per esteso nel corpo del ricorso, ma che deve essere indicato e
poi allegato in modo tale da consentirne l’immediata reperibilità e l’agevole lettura da parte del

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m-

Quanto all’indicazione specifica degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda,

giudice di legittimità – la comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili presupposti
fattuali sui quali esso si basa, nonché la valutazione della sua decisività, risulterebbero
impossibili (in tal senso v. di recente, Cass. SSUU 5 luglio 2013 n. 16887 e Cass. 7 novembre

Il ricorso del D’ORAZIO non può quindi esser dichiarato inammissibile, restando tuttavia
impregiudicata la valutazione che dovrà farsi, quanto in particolare all’indicazione (ed
allegazione) specifica dei documenti sui quali esso si fonda, con riguardo all’ammissibilità dei
singoli motivi o profili di doglianza.
Venendo allora all’esame dei motivi di ricorso principale, con il primo motivo il ricorrente
denuncia la violazione degli artt. 101, 163, 167 e 183 c.p.c., nella formulazione anteriore alla
riforma del D.L. n. 35 del 2005, nonché vizio di motivazione, per non avere la corte dato corretto
rilievo alla circostanza che solo con la memoria ex art. 183, comma 5, c.p.c. la originaria attrice
aveva allegato la preesistenza del manufatto della cui costruzione si doleva, a fronte di una prima
contestazione afferente una nuova costruzione. Questione di fatto che peraltro era stata chiarita
per la prima volta solo nel verbale di udienza del 18.12.2001, allorchè aveva chiesto di provare
che sul terrazzo del ricorrente era stato in passato realizzato un canile, poi rimosso e sostituito
con il manufatto in questione, e questa tardiva precisazione aveva impedito al ricorrente di
prendere posizione e di eccepire la prescrizione della pretesa attorea quanto alla veduta impedita
dal canile.
La doglianza non può trovare accoglimento.
Nel testo di cui alla legge 26 novembre 1990 n. 353, applicabile ratione temporis, perché in vigore
fino al 1 marzo 2006, l’art. 183 c.p.c. disponeva al quarto comma che nella prima udienza di
trattazione l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda
riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, ed entrambe le parti possono precisare
e modificare le domande e le conclusioni già formulate (cfr. Cass. SS.UU. 14 febbraio 2011 n.

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2013 n. 25044).

3567, che ha precisato che, ove l’attore voglia eccepire la prescrizione del diritto azionato dal
convenuto in riconvenzionale, è tenuto a proporre l’eccezione al più tardi alla prima udienza di
trattazione, non potendo awalersi delle memorie da depositare nei termini fissati all’art. 183

modificare le domande e le eccezioni già proposte. V. anche Cass. 11 marzo 2006 n. 5390, che
specifica che l’art. 183 c.p.c., comma 4, consente all’attore di proporre nella prima udienza di
trattazione domande nuove e diverse rispetto a quella originariamente proposte, solo ove esse
trovino giustificazione nella domanda riconvenzionale o nelle eccezioni proposte dal convenuto,
da intendersi in senso proprio, non anche nelle semplici controdeduzioni volte a contestare il
fondamento dell’azione).
Orbene dal tenore delle difese di entrambe le parti emerge che nel caso concreto le originarie
domande della resistente sono state contestate dal ricorrente proprio sul presupposto della
preesistenza di un’opera (canile), sostituita poi dalla costruzione in questione, ragione per la
quale è sorta l’esigenza per la controparte di meglio formulare le proprie domande alla luce del
fatto estintivo, modificativo o impeditivo della situazione di fatto e di diritto relativa alla pretesa
fatta valere, per cui il dibattito si è incentrato anche sulla sussistenza delle condizioni suddette,
affermate dal D’Orazio e contestate dalla Calabrò. E la Corte di Appello le ha valutate proprio per
aver accertato che tra le parti era stato ampiamente costituito il contraddittorio sulle questioni
ricomprese nell’originario atto di citazione. Pertanto, qualunque possa essere stata la valutazione
del D’Orazio in ordine alla vicenda che ci occupa, è certo che la pregressa esistenza sul suo
terrazzo di un canile non ha comportato l’allegazione di una situazione giuridica diversa, con
mutamento dei fatti affermati dall’attrice, ma ha assunto carattere strumentale di deduzione
difensiva onde illustrare l’infondatezza dei menzionati fatti costitutivi delle domande e del diritto
dedotto dalla controparte. In altri termini, non ha modificato il thema decidendum da questa
proposto che si è incentrato esclusivamente su di essi; né ha impedito al ricorrente di

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c.p.c., comma 5, in quanto finalizzate esclusivamente a consentire alle parti di precisare e

eventualmente proporre eccezione di prescrizione, trattandosi di circostanza (preesistenza di un
canile) da lui stesso introdotta nel giudizio, per cui non può muovere l’addebito di non avere
potuto esaminare le asserite conseguenze pregiudizievoli che tale omissione gli avrebbero
arrecato, dovendo imputare a sé la scelta difensiva.

di merito considerato la preesistenza del manufatto rispetto al 1999; in altri termini, ad awiso del
ricorrente la circostanza disconosciuta dalla corte distrettuale avrebbe avuto una sua incidenza
sull’esercizio del diritto di difesa del convenuto, in quanto in assenza di una opera preesistente,
egli avrebbe solo dovuto escludere che alcuna costruzione era stata realizzata, prova nella
specie raggiunta attraverso la produzione della richiesta di condono e la esibizione di un
disatteso prowedimento di archiviazione del PM dal quale risultava chiara la preesistenza del
manufatto rispetto al 1999. Infatti la semplice ristrutturazione di un manufatto non avrebbe potuto
dare ingresso ad una domanda di risarcimento dei danni. Prosegue il ricorrente che la stessa
direzione dell’istruttoria, con l’ammissione di c.t.u. prima dell’escussione dei testi, aveva impedito
la corretta ricostruzione della vicenda.
La doglianza è infondata e inammissibile insieme.
L’art. 115, primo comma, c.p.c. dispone che il giudice deve porre a fondamento della decisione le
prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, ma fa salvi i casi previsti dalla legge. Tra i casi
che fanno eccezione al principio per cui il giudice non può disporre l’ammissione e l’assunzione di
mezzi di prova se le parti non ne fanno richiesta è quello previsto dagli artt. 61 e 191 c.p.c., in cui
lo stesso giudice reputa necessario affidare indagini ad un consulente. E la necessità può
presentarsi perché gli effetti che le parti ricollegano ai fatti dedotti in giudizio impone un
accertamento, il quale richiede l’impiego di particolari competenze tecniche, per la valutazione dei
fatti allegati, ma talora anche, ed in modo imprescindibile, per la stessa conoscenza del loro
effettivo svolgimento. Può essere disposta d’ufficio dal giudice in qualsiasi momento, ed anche

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Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta un vizio di motivazione per non avere la corte

fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, quale quello della regola formale di giudizio fondata
sull’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c. (art. 421 c.p.c., comma 2, e art. 424 c.p.c.: Cass. n.
310 del 1998), ed il suo esercizio si sottrae al sindacato di legittimità anche quando manchi

istruttorio la valutazione della sua opportunità (Cass. n. 10739 del 1996 e Cass. n. 10658 del
1999 sul potere del giudice del lavoro, in genere, di ammettere mezzi di prova in deroga; Cass.
SS.UU. n. 1012 del 1994 in tema di acquisizione di un documento da parte dello stesso giudice).
Infatti, questo potere spetta per la stessa necessità logica al giudice nel corso dell’istruttoria, sia
prima dell’espletamento delle altre prove dedotte dalle parti sia a conclusione delle stesse, sia in
primo grado sia in fase di appello e quale giudice di rinvio (Cass. 5 novembre 1990 n. 10585), in
una parola al giudice che nei diversi gradi in cui si articola il giudizio ha il compito di decidere sul
merito della domanda. Non opera cioè, riguardo all’esercizio del potere di disporre e rinnovare le
indagini tecniche, il limite che all’ammissione di nuovi mezzi di prova deriva in linea generale dal
carattere tendenzialmente chiuso delle fasi di impugnazione (art. 345, terzo comma, c.p.c., nel
testo risultante dall’art. 52 L. 26 novembre 1990 n. 353; art. 394, terzo comma c.p.c.; artt. 437,
secondo comma, c.p.c. e 441 c.p.c.).
Si può aggiungere che nella specie i giudici di appello hanno anche indicato le ragioni per le quali
è stata ritenuta opportuna la scelta del giudice di prime cure di espletare la consulenza tecnica
contestualmente alla raccolta delle prove orali, avendo senza dubbio economizzato i tempi
dell’istruttoria, senza alcuna incidenza sull’attendibilità della perizia, cui era stato affidato il
compito di acquisire i dati oggettivi relativi allo stato dei luoghi, e per essere rimessa la prudente
apprezzamento del giudice la valutazione delle deposizioni testimoniali ai sensi dell’art. 116
c.p.c..
Per quanto attiene poi alla censura di non avere il giudice del gravame escluso le cause dei
danni lamentati dall’attrice, fulcro della decisione è rappresentato dalle dichiarazioni rese dal

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un’espressa motivazione al riguardo, dovendo ritenersi implicita nell’ammissione del mezzo

convenuto in sede di interrogatorio formale, secondo cui nel marzo 1999 aveva eseguito una
ristrutturazione del manufatto preesistente del 1993, sostituendo le putrelle sulle quali era
appoggiata la struttura, con conseguente rialzo della costruzione di una decina di centimetri, oltre

costruzione, che coordinata con la relazione peritale — di accertamento delle dimensioni della
struttura rinvenuta in loco, nonché di quella rimossa (che gli agenti di P.G. avevano rinvenuto
all’atto del sopralluogo, come da verbale del 16.3.1999), desunte anche dagli atti di acquisto, in
particolare dal verbale di sequestro della polizia municipale del 20.1.1995 e dalla pratica di
condono intestata allo stesso convenuto — ha concluso per il venir meno del diritto di veduta
vantato dall’attrice in considerazione della posizione degli edifici e della conformazione dei luoghi.
Orbene, i giudici di merito hanno descritto questa complessiva situazione di fatto e nel
considerare la relazione prodottasi tra l’innalzamento dell’opera e la eliminazione della vista
panoramica dell’appartamento della resistente, valutati i dati acquisiti attraverso le indagini del
consulente, hanno ritenuto provato che i danni subiti dall’appartamento dell’attrice fossero stati
conseguenza di un fatto colposo imputabile al convenuto. Questo giudizio è sorretto da una
motivazione adeguata e scevra da vizi logici e giuridici, che non risulta criticata, dandosi nella
stessa atto, al contrario di quello che si sostiene, che tutti gli elementi probatori sono stati
esaminati dal giudice di appello.
Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 e ss. c.c.,
oltre a vizio di motivazione, ritenendo che gli stessi argomenti illustrati dalla corte territoriale per
ridurre il risarcimento del danno avrebbe dovuto portare alla reiezione della originaria domanda.
Infatti non vi sarebbe una norma che dia diritto al panorama cristallizzato al momento
dell’acquisto del proprio cespite; aggiunge che in presenza di una differenza di quota di soli 29
cm. tra il parapetto dei due immobili qualunque costruzione o una semplice pianta avrebbe
eliminato i pochi centimetri di dislivello e quindi la veduta panoramica. In altri termini, la corte

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ad avere realizzato una camera d’aria nella tettoia, che pure poteva avere contribuito a rialzare la

distrettuale ha ritenuto provata la perdita di panoramicità sulla base delle sole deposizioni dei
testi di parte attrice, senza valutare minimamente quelle di parte convenuta.
Il motivo presenta evidenti profili di inammissibilità perché vengono allegate circostanze nuove

l’insussistenza di un diritto al panorama, che non risponde ai principi di autosufficienza cui deve
essere informato il ricorso per cassazione. Questa Corte è infatti ferma nel ritenere che qualora
con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza
impugnata, è onere del ricorrente al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità
della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito ma
anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico
atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la
veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della questione (cfr. Cass. n. 23675 del
2013; Cass. n. 1435 del 2013).
Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo la CALABRO’ denuncia un
vizio di motivazione relativamente al giudizio sulla quantificazione del risarcimento del danno, per
avere la corte adita ridotto la somma spettante senza chiarire i motivi che l’avrebbero indotta a
detta statuizione.
Il motivo non è meritevole di accoglimento posto che, come è principio pacifico, la realizzazione
di opere in violazione di norme recepite dagli strumenti urbanistici locali, diverse da quelle in
materia di distanze, non comportano immediato e contestuale danno per i vicini il cui diritto al
risarcimento presuppone l’accertamento di un nesso tra la violazione contestata e l’effettivo
pregiudizio subito. La prova di tale pregiudizio deve essere fornita dagli interessati in modo
preciso con riferimento alla sussistenza del danno ed all’entità dello stesso.
Nella specie la corte di appello – come sopra riportato nella parte narrativa che precede – ha
accertato, all’esito di una corretta ed incensurabile indagine in fatto, che le opere edilizie

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inerenti l’esistenza di una minima differenza di quota tra il parapetto dei due immobili owero

abusivamente realizzate dal D’Orazio hanno arrecato un danno alla Calabrò per avere
l’appartamento di quest’ultima subito una perdita di amenità e di valore commerciale.
La corte territoriale è pervenuta a tali conclusioni attraverso argomentazioni complete ed

accurata e puntuale delle risultanze istruttorie. Il giudice di secondo grado ha dato conto delle
proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto esponendo adeguatamente le ragioni del
suo convincimento.
Alle dette valutazioni la ricorrente incidentale contrappone le proprie, ma della maggiore o
minore attendibilità di queste rispetto a quelle compite dal giudice del merito non è certo
consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame
del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
Con il secondo mezzo la ricorrente incidentale lamenta la violazione degli artt. 91 e 92
c.p.c., oltre a vizio di motivazione, per avere la corte di merito statuito la compensazione delle
spese processuali pur in assenza di giustificate ragioni, essendo stata la originaria domanda
attorea accolta sia in primo sia in secondo grado. Conclude chiedendo la condanna del difensore
del convenuto a restituire quanto già da lei corrisposto a detto titolo.
La censura è fondata nei limiti di seguito esposti.
Premesso che nella specie la corte territoriale ha condannato la ricorrente incidentale alla
integrale rifusione delle spese del grado, l’accoglimento parziale della domanda, che al più
legittimerebbe la compensazione delle spese ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, si verifica
allorché il giudice ritenga fondata solo una o più delle varie domande proposte, owero accolga
l’unica domanda limitatamente a uno o a taluno dei suoi capi, owero ancora l’accolga in misura
inferiore all’ammontare preteso (cfr. Cass. n. 21684 del 2013 e Cass. n. 22381 del 2009). Tale
ultima ipotesi non si è verificata nella specie, avendo il giudice liquidato una somma inferiore
rispetto al primo grado applicando un moltiplicatore percentuale diverso da quello indicato dal

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appaganti, sia pur sintetiche, improntate a retti criteri logici e giuridici, nonché frutto di un’indagine

giudice di prime cure. Detto criterio è connotato, causa l’assenza di strumenti di
predeterminazione anticipata del danno e del suo ammontare, dal potere del giudice d’individuare
in maniera autonoma il risarcimento dovuto, secondo criteri che sfuggono alla puntuale

Ne deriva che la liquidazione del risarcimento in base ad un moltiplicatore inferiore a quello
riconosciuto in primo grado non costituisce neanche accoglimento parziale della domanda e non
giustificherebbe, pertanto, la compensazione delle spese di lite.
Di converso è da ritenere inammissibile la domanda rivolta nei confronti del difensore del
ricorrente perché la distrazione riguarda un rapporto fra il procuratore e la parte.
In conclusione, va respinto il ricorso principale, rigettato il primo motivo del ricorso incidentale,
accolto il secondo e la sentenza impugnata cassata con riferimento al motivo accolto, con rinvio a
diversa Sezione della Corte di appello di Napoli, che prowederà nuovamente sulle spese di lite,
anche con riguardo a quelle del giudizio di legittimità.
Nulla va disposto sulle spese quanto alla posizione ricorrente incidentale — aw. Montefusco in
assenza dell’instaurazione di un rapporto processuale fra gli stessi.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso principale, accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigettato il
primo motivo;
cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del
giudizio di Cassazione, a diversa Sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 27 ottobre 2015.

previsione della parte.

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