Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3647 del 14/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 3647 Anno 2018
Presidente: AMBROSIO ANNAMARIA
Relatore: FRAULINI PAOLO

sul ricorso iscritto al n. 01913/2014 R.G. proposto da
§,

D’ARCANGELO FRANCO FILIPPO, RUSSANO LAURA e LENOCI
FRANCESCO rappresentati e difesi dall’avv. Roberto Barberio, con
domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Baronio n. 54/a,
giusta procura a margine del ricorso;
— ricorrenti —
contro
LA FAMILIARE SOCIETA’ COOPERATIVA,

rappresentata e

difesa dall’avv. Giuseppe Russo con domicilio eletto in Roma,
Piazza Cola di Rienzo n. 92 presso lo studio dell’avv. Elisabetta
Nardone, giusta procura in calce al controricorso;
— controricorrente —
E nei confronti di
D’ARCANGELO

GUIDO,

D’ARCANGELO

ATTILIO,

D’ARCANGELO ROSSELLA, SNTORO ANTONIO, LAFORNARA
DOMENICO, LAFORNARA GIOVANNA e LAFORNARA MICHELE
— intimati —

Data pubblicazione: 14/02/2018

C,

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione
distaccata di Taranto n. 231/13;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 settembre
2017 dal Consigliere Paolo Fraulini;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Lucio Capasso, che ha chiesto il rigetto del

letta la memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ. depositata dai
ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha
accolto l’appello proposto da LA FAMILIARE SOCIETA’
COOPERATIVA condannando per l’effetto FRANCO FILIPPO
D’ARCANGELO e LENOCI FRANCESCO, assieme agli altri ex
amministratori ed ex sindaci della cooperativa, al risarcimento del
danno cagionato dal loro scorretto operato, revocando
contestualmente un atto di compravendita con cui FRANCO FILIPPO
D’ARCANGELO ha ceduto a LAURA RUSSANO una quota di un
fabbricato di sua proprietà sito in agro di Martina Franca.
2. Il giudice di appello ha ritenuto che vi fosse prova della
distrazione da parte di FRANCO FILIPPO D’ARCANGELO delle
somme pari all’importo di una serie di assegni bancari tratti dal
predetto su un conto corrente della cooperativa e intestati a proprio
nome, che non trovavano alcuna giustificazione in relazione
all’attività della cooperativa; e che inoltre sussistesse analoga
responsabilità risarcitoria in riferimento a una serie di fatture false
emesse dalla cooperativa per apparenti pagamenti di fornitori,
pagamenti in realtà effettuati direttamente dai soci con denaro
proprio. Tanto premesso condannava gli ex amministratori e gli ex
sindaci al risarcimento del danno quantificato in sentenza e
revocava tra l’altro ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. una vendita

2
R0019132014

ricorso;

intervenuta tra FRANCO FILIPPO D’ARCANGELO e LAURA
RUSSANO.
3. Avverso tale sentenza FRANCO FILIPPO D’ARCANGELO,
LAURA RUSSANO e FRANCESCO MAURIZIO LENOCI ricorrono con
due motivi, resistiti da LA FAMILIARE SOCIETA’ COOPERATIVA con
controricorso, mentre gli altri intimati non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Primo motivo:

«Violazione, o comunque, falsa

applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. 115 e 116 c.p.c.
(anche alla luce degli artt. 2214, 2215, 2216, 2217, 2218, 2219,
2220, 2709 c.c.)» deducendo l’erroneità della sentenza nella parte
in cui avrebbe invertito l’onere della prova del danno, basando
l’affermazione della responsabilità degli amministratori su un
acritico recepimento delle risultanze della consulenza tecnica
espletata e in particolare quantificando il danno derivante dal
disordine nella tenuta delle scritture contabili in misura pari alla
differenza tra attività e passività, esportando in tal modo una
giurisprudenza in materia fallimentare al diverso ambito societario.
1.2. Secondo motivo: «Violazione, o comunque, falsa
applicazione degli artt. 2901, 2697, 2729 c.c. e degli articoli 115 e
116 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 3» deducendo l’erroneità
della sentenza nella parte in cui avrebbe invertito l’onere della
prova anche in relazione alla domanda di revocatoria ordinaria
dell’atto di compravendita, obliterando la reale ragione del negozio,
identificata nella crisi coniugale.
2.

Il ricorso va respinto.

3.

Il primo motivo è infondato. La Corte di appello ha affermato la
responsabilità degli odierni ricorrenti D’Arcangelo e Lenoci non
già sulla base di un’inversione dell’onere probatorio, né
tantomeno applicando al diritto delle società il criterio del
danno differenziale adottato dalla giurisprudenza nella
quantificazione del risarcimento ai sensi dell’art. 146 della
3

RG01913 2014

1. Il ricorso lamenta:

legge fallimentare. In realtà la decisione è fondata su un
accertamento in fatto e precisamente sull’esistenza di assegni
emessi dal D’Arcangelo a proprio nome tratti su un conto
corrente bancario della società negli anni dal 1986 al 1988,
senza che della relativa giustificazione causale si trovasse
traccia nella contabilità della cooperativa (cfr. pag. 22-23 della
sentenza impugnata); nonché sulla riscontrata esistenza di

inesistenti (pagamenti di fornitori, in realtà avvenuti in contanti
ad opera dei soci della cooperativa con denaro personale: pag.
24-25 sentenza impugnata). Rispetto a tali circostanze, la cui
imputabilità agli odierni ricorrenti ex gestori della società la
Corte di appello ha dettagliatamente e correttamente motivato
(correttamente applicando l’insegnamento di questa Corte: cfr.
Cass. civ., Sez. 1, n. 7606 del 2011), il criterio di
quantificazione del danno adottato non comporta un’estensione
arbitraria al diritto societario di criteri adottati nel diritto
concorsuale. Invero il giudice di secondo grado ha affermato
che il danno per la società non doveva presumersi pari agli
ammanchi registrati, ma era effettivamente pari a detti importi,
in quanto diretta conseguenza del comportamento illecito degli
amministratori e dei sindaci dell’epoca. In presenza di una
motivazione siffatta, la censura di violazione di legge non coglie
nel segno, rivelandosi anche inammissibile nella parte in cui
cerca di indurre questa Corte a rivisitare il merito dell’approdo
ermeneutico sul materiale probatorio acquisito, che è
operazione riservata al giudice del merito.
4. Parimenti infondato è il secondo motivo; ancora una volta la
Corte territoriale ha spiegato le ragioni della ritenuta
sussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’azione
revocatoria (cfr. pagg. 30-31 sentenza impugnata), di talché
nessuna inversione dell’onere probatorio sussiste nella specie,
come del tutto inapprezzabile si mostra la lamentata
4
RG019132014

fatture oggettivamente false, in quanto emesse per operazioni

derivazione in tale giudizio del giudizio reso in relazione al
primo motivo atteso che, tutto al contrario, la sentenza
analizza e motiva la sussistenza dei presupposti per
l’accoglimento dell’azione ai sensi dell’art. 2901 cod. civ.
In presenza di una motivazione siffatta anche questa censura di
violazione di legge non coglie nel segno, rivelandosi parimenti
inammissibile nella parte in cui cerca di indurre questa Corte a

merito.
5. La soccombenza regola le spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in
favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei
ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma

1-bis,

dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 settembre
2017.
Il Presidente
maria Ambro
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rivisitare il merito che è operazione riservata al giudice del

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