Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3645 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. I, 13/02/2020, (ud. 02/10/2019, dep. 13/02/2020), n.3645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5442/2015 proposto da:

S.R., S.A., S.L., S.D.,

quali successori di S.C., elettivamente domiciliati in

Roma, Via degli Uffici del Vicario, 49 presso lo studio

dell’avvocato Salvatore Frattallone che li rappresenta e difende con

l’avvocato Alberto Bagnoli per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AUTOSTRADA BS-VR-VI-PD S.p.A., in persona del legale rappresentante

p.t., elettivamente domiciliata in Roma, Corso Trieste, 16 presso lo

studio dell’avvocato Luciana Forte e rappresentata e difesa

dall’avvocato Daniele Maccarone per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

A.N.A.S. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1589/2014 della Corte di appello di Venezia,

pubblicata il 03/07/2014;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella camera di consiglio del 02/10/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.R., S.A., S.L. e S.D., il primo anche in proprio e gli altri solo quali successori mortis causa di S.C., ricorrono per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Venezia, in accoglimento della domanda di accertamento della giusta indennità di esproprio proposta dalla società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova S.p.A., aveva determinato l’indicata posta per le aree ablate in Euro 155.102,00.

Nell’ante fatto di lite l’opponente, delegata da Anas S.p.A. ad emanare gli atti del procedimento ablativo finalizzato alla realizzazione dell’Autostrada (OMISSIS), aveva disposto l’esproprio, tra gli altri, dei terreni di proprietà della dante causa degli S. giusta determinazione della indennità provvisoria pari ad Euro 177.925,86 che, in mancanza di accordo con i proprietari, successivamente veniva quantificata, per atto di stima definitiva adottato il 5 ottobre 2009 n. 54 dalla Commissione Provinciale Espropri della Provincia di Vicenza, in complessivi Euro 827.700,04, di cui: Euro 369.779,00 a titolo di indennizzo per l’esproprio dell’area ritenuta edificabile; Euro 102.518,00 a titolo di indennità aggiuntiva dovuta al coltivatore diretto; Euro 400.403,00 a titolo di indennizzo per la svalutazione del fondo e dei fabbricati.

I ricorrenti articolano unico motivo a cui resiste, con controricorso, AUTOSTRADA BS-VR-VI-PD S.p.A.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti, comproprietari di più terreni della superficie complessiva di 12.751 mq., ubicati nel Comune di (OMISSIS) e contraddistinti in catasto al (OMISSIS), urbanisticamente classificati come “FCP/1 – area attrezzata a parco e per il gioco e lo sport privata”, con unico motivo fanno valere la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32,33 e 37 in relazione alla determinazione dell’indennità di esproprio dei terreni in comproprietà in quanto aree edificabili, e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), articolando su siffatti contenuti una pluralità di profili di censura che vengono sintetizzati nei termini di seguito indicati per i contenuti di rilievo ai fini della decisione.

1.1. La Corte di merito avrebbe omesso ogni esame circa il criterio legale di determinazione dell’indennità di esproprio, affermando da un canto, apoditticamente, che la stima operata dalla competente Commissione, pari ad Euro 29/mq, sarebbe stata “sproporzionata” rispetto alla suscettività edificatoria dell’area ablata, per poi uniformarsi alle conclusioni della c.t.u. senza darne conto per un’adeguata e congrua motivazione.

In conformità alla documentazione depositata in giudizio, la volumetria realizzabile sull’area ablata, giusta progetto di riqualificazione di (OMISSIS) esaminato dal Comune di Longare, sarebbe stata pari a mc 13.082,23 e non a 10.630 mc, invece ipotizzati nella disposta c.t.u. e comunque la Corte di merito non avrebbe considerato le difficoltà di cui dava atto la medesima consulenza di ufficio nell’attribuzione al bene di un valore commerciale al mc.

La volumetria esistente e di progetto, a destinazione ricettivo-commerciale e parziale uso sportivo, insieme al carattere storico-architettonico di pregio rivestito dall’immobile che cadeva sull’area ablata ed in parte edificata avrebbe comportato la mancanza di un preciso ed omogeneo riferimento comparativo ai prezzi di terreni edificabili con localizzazione, destinazione d’uso e caratteristiche simili; il riferimento al valore I.C.I. sarebbe stato illegittimo e non rispettoso del criterio, invece applicabile, del valore di mercato.

1.2. La Corte di merito aveva negato l’indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto del fondo in difetto di prova non prendendo in considerazione la documentazione allegata alla c.t.u. che comprovava la coltivazione dell’area.

Nella definizione di “coltura effettivamente praticata”, la Corte di appello avrebbero dovuto far riferimento alle macro-categorie adottate dalle Commissioni provinciali ed avendo accertato il c.t.u. che il fondo non era coltivato a vigneto nè a prato, l’unica delle prime di carattere residuale che avrebbe dovuto trovare applicazione sarebbe stata quella dei “seminativo irriguo”, come ritenuto dalla Commissione espropri che avrebbe sul punto assolto il valore di prova piena.

I ricorrenti svolgevano infatti attività di coltivatori diretti dal 1996, anno nel quale l’impresa agricola di proprietà dei ricorrenti era stata iscritta presso la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura (c.c.I.A.A.).

1.3. La Corte territoriale avrebbe negato l’indennità di esproprio parziale perchè l’area ablata, classificata come Fcp/1, e la residua, con i fabbricati ivi realizzati, non avrebbero potuto apprezzarsi quale “bene unitario” e non avrebbero subito pregiudizio diverso da quello sopportato da ogni cittadino in prossimità di un tratto stradale.

L’area ablata avrebbe avuto una suscettibilità edificatoria di 215,62 mc che avrebbe inciso assai poco sulla edificabilità complessiva del fondo di 2000 mc.

Il c.t.u. aveva invece motivato sul rapporto di connessione e dipendenza tra l’area relitta ed il bene espropriato, evidenza che sarebbe altresì risultata dalla documentazione in atti per lo smembramento del fondo, esito della procedura di esproprio.

La Corte sarebbe incorsa in vizio della motivazione non ammettendo l’acquisizione della perizia commissionata prima dell’avvio della procedura.

1.4. I giudici di appello non avrebbero tenuto conto, in modo immotivato, delle allegazioni curate dai ricorrenti sulle indennità maggiori loro riconosciute dalla medesima società per l’esproprio di altra parte del fondo che ricadeva nel diverso territorio comunale di (OMISSIS). In siffatta diversa procedura di stima: ai ricorrenti era stata riconosciuta la qualità di coltivatori diretti; la stima era stata operata nonostante i diversi ed inferiori valori ICI e la destinazione del terreno soltanto agricola e non mista, ovverosia agricolo ed edificabile per la presenza di fabbricati, come avvenuto per la fattispecie controversa.

2. Il motivo nei suoi contenuti si presta ad essere esaminato partitamente quanto alle questioni: della stima dei fondi espropriati per la peculiare natura da essi rivestita; della riconoscibilità della indennità spettante al proprietario coltivatore diretto; della indennità di esproprio parziale, nella intervenuta perdita di valore del bene relitto; il tutto per una metodologia ed esiti di stima che si vorrebbero comuni a quelli praticati rispetto ad omologa procedura ablativa in un diverso giudizio.

2.1. Il profilo del motivo di ricorso con cui si deduce l’erroneità della stima perchè violativa del criterio legale e della suscettività edificatoria dei beni ablati e, ancora, si denuncia l’immotivato raccordo tra sentenza impugnata e consulenza tecnica di ufficio si espone ad una valutazione di inammissibilità per un duplice ordine di ragioni.

Quanto viene ad essere denunciato come violazione di legge sostanziale D.P.R. n. 327 del 2001, ex artt. 32,33 e 37 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e quale vizio di motivazione in termini di omesso esame di un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si offre a valutazioni di non autosufficienza e specificità.

Il motivo manca, da una parte, di segnalare con puntualità, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, quali norme siano state violate mediante l’indicazione precisa dei punti della sentenza impugnata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità e nel contempo sconta le ragioni di una indistinta critica non capace di segnalare quale fatto, decisivo, sia stato omesso ai fini della decisione.

In tema di ricorso per cassazione, le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, l’uno relativo alla ricerca ed interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto e l’altro afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata.

Sicchè là dove il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, il vizio di falsa applicazione di legge consiste, invece, o nell’assumere la fattispecie in concreto giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione.

Sull’indicata premessa, di contenuto e metodo, ormai chiara nelle affermazioni di principio di questa Corte di legittimità, si ha che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (in termini: Cass. 14/01/2019 n. 640; in precedenza: Cass. n. 195 del 11/01/2016; Cass. 26/09/2005 n. 18782; successivamente: Cass. 25/09/2019 n. 23851).

Escluso che in ricorso si faccia questione in ordine ad una violazione di legge, valendo piuttosto la portata censura a denunciare una errata riconduzione della concreta fattispecie alla norma di disciplina dell’indennità di esproprio per il criterio legale, vero è poi che con il motivo si vuole contestare la corretta ricognizione della fattispecie in esame in ragione delle risultanze di cause, integrate dalla disposta c.t.u. e gli accertamenti ivi condotti, per un sindacato non esercitabile in sede di legittimità.

I contenuti della relazione di c.t.u. vengono suggestivamente riportati in ricorso in modo parziale, avuto riguardo alle sole difficoltà di cui pure il nominato tecnico di ufficio dà conto nel processo di determinazione della stima della indennità di esproprio, e tanto al fine denunciare di quell’iter logico mancanze poi destinate a riverberarsi sulla sentenza, di mera acritica adesione alla prima.

Nel denunciare il carattere parziale della consulenza tecnica di ufficio in quanto strumento nei suoi esiti condiviso dalla sentenza impugnata, il ricorrente in cassazione deve confrontarsi con i passaggi fondamentali della relazione di c.t.u., e della elaborazione di prove documentali ivi operata, e per l’effetto della motivazione della sentenza che la prima abbia condiviso, segnalando quali fatti nella loro decisività siano stati omessi e non limitarsi a stigmatizzare momenti parziali evocativi, in quanto tali, di una diversa e mancata ricostruzione in fatto (in materia di prove documentali: Cass. 04/07/2003 n. 10576).

Il profilo del motivo di ricorso è pertanto inammissibile.

2.2. Quanto al profilo del motivo di ricorso diretto a dedurre sull’illegittimità dell’impugnata sentenza che non avrebbe riconosciuto ai ricorrenti, nella veste di proprietari e coltivatori diretti l’indennità aggiuntiva l’indennità aggiuntiva di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 9, anch’esso di espone ad una valutazione di inammissibilità.

La censura non rispetta il principio dell’autosufficienza non provvedendo a segnalare natura e contenuti delle allegazioni documentali che acquisite dal c.t.u. sarebbero state “più che sufficient(i) per comprovare che l’area espropriata era effettivamente coltivata” (p. 9 ricorso) e, ancora, l’avvenuta deduzione dell’indicata evidenza innanzi al giudice di merito, con indicazione dell’atto con il quale vi aveva provveduto al fine di non incorrere, anche, in una inammissibilità da novità (ex multis: Cass. 24/01/2019 n. 2038).

Al profilo del motivo appartengono ancora chiare ragioni di inammissibilità in ragione della uniforme, nella sua applicazione, giurisprudenza di legittimità non smentita dalla deduzioni di parte (art. 360-bis c.p.c., n. 1).

In tema di espropriazione di suoli edificabili, il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 9, nel riconoscere il diritto alla cd. indennità aggiuntiva in favore dei soggetti che traggono i propri mezzi di sussistenza dalla coltivazione del suolo, ne condiziona la concreta erogazione, oltre che alla titolarità di uno dei rapporti agrari tipici, all’utilizzazione agraria del terreno, ravvisabile in tutte quelle ipotesi in cui la coltivazione del fondo da parte dell’istante avvenga con prevalenza del lavoro proprio e di persone della sua famiglia e resta esclusa là dove l’imprenditore agricolo esercita la coltivazione e produzione agricola con prevalenza del fattore capitale sul lavoro e con impegno prevalente di manodopera subordinata (Cass. 31/07/2019 n. 20658; Cass. 24/02/2015 n. 3706).

La premessa in fatto dell’applicazione dell’indicato principio è data dall’evidenza della coltivazione del fondo esclusa dalla Corte lagunare per un giudizio in fatto non efficacemente contrastato in ricorso, in punto di decisività del fatto omesso, e di proprietà del mezzo di censura prescelto là dove gli istanti, deducendo sia la violazione e falsa applicazione di legge che il vizio di motivazione sub specie dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, genericamente ed impropriamente richiamano allegazioni documentali alla c.t.u. che ne avrebbero invece sostenuto l’esistenza.

L’argomento portato in ricorso che la prova della qualifica di coltivatore diretto sarebbe in atti soddisfatto dal certificato di iscrizione presso la c.c.I.A.A. dell’impresa agricola dei proprietari ricorrenti pecca poi di genericità; la qualifica di coltivatore diretto deve infatti essere fornita in concreto in relazione alle necessità colturali del fondo ed avendo la Corte di merito escluso sotto il profilo oggettivo che i ricorrenti avessero adempiuto all’onere di prova rispetto alla svolgimento di una effettività attività di coltivazione del fondo, eventuali certificazioni anagrafiche o attestazioni amministrative lasciano insuperato l’indicato accertamento.

Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio (Cass. 10/06/2016 n. 11892; Cass. 26/09/2018 n. 23153).

2.3. In ordine poi all’indennità per l’esproprio parziale di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 il profilo del motivo si espone a censura di inammissibilità, in quanto finalizzato ad una diretta rielaborazione del merito della controversia e generico, e, comunque, di infondatezza.

La Corte di merito ha sostenuto, con ragionamento congruo che non si espone a censura in sede di legittimità, l’insussistenza dell’unitarietà tra area ablata ed area residua, muovendo dalla diversa loro classificazione catastale, prendendo motivata posizione rispetto alle diverse conclusioni raggiunte dal c.t.u. sulla unicità economica delle aree per l’apprezzata loro modestissima suscettività edificatoria pari a 215,62 mc, relativa alla superficie espropriata di 12.751 mq., di valore sostanzialmente trascurabile rispetto all’edificabilità globale del fondo originario, pari a 2000 mc.

Gli argomenti spesi in ricorso sono di sostegno di una diretta ed inammissibile rielaborazione del merito e, non segnalando gli elementi che avrebbero comportato una diversa decisione, generici.

2.4. Quanto alla dedotta illegittimità che verrebbe all’impugnata sentenza dalla mancata acquisizione della perizia di Autostrade “Esprogeo”, il profilo del motivo di ricorso manca di autosufficienza non avendo i ricorrenti indicato in quale atto della fase di merito essi avevano insistito perchè venisse operata una siffatta acquisizione e non avendo altresì dedotto sul carattere decisivo dei contenuti della produzione al fine del giudizio stesso.

Nel resto, quanto alle diverse sorti del fondo di (OMISSIS), per il quale era stata avviata distinta procedura di esproprio e riconosciuta in sede giudiziale una indennità di esproprio più elevata, la relativa deduzione è generica e non conducente.

Essa non si fa carico di segnalare compiutamente quali elementi di identità o di rilevante differenza delle due procedure, diversamente definite quanto agli importi riconosciuti, sosterrebbero le dedotte violazioni di:egge ed il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Là dove poi, quanto ai descritti diversi esiti, si ponga mente alle strette emergenze documentali, su cui il diverso giudizio e la distinta vicenda espropriativa relativa al fondo confinante sito nella località di (OMISSIS) sarebbero stati definiti, vero è che le prove raccolte in un diverso giudizio integrano elementi meramente indiziari sicchè la loro mancata valutazione non è idonea a dare conto di un vizio di motivazione, in quanto il difetto riscontrato non può costituire punto decisivo, implicando non un giudizio di certezza ma di mera probabilità rispetto all’astratta possibilità di una diversa soluzione (Cass. 19/02/2018 n. 3960; Cass. 22/02/2011 n. 4279).

La violazione di legge resta in ogni caso, in nessun modo toccata dalla dedotta diversa valutazione condotta nel distinto giudizio.

3. Il ricorso è quindi, conclusivamente, inammissibile.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere ad AUTOSTRADA BS-VR-VI-PD S.p.A. le spese di lite che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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