Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3644 del 12/02/2021

Cassazione civile sez. I, 12/02/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 12/02/2021), n.3644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13641/2015 proposto da:

L.P.; L.L., quest’ultima quale coerede di

L.P.G., di L.C. e di L.D., nonchè in

qualità di legale rappresentante della società ” L. S.n.c. di

P.G. e F. & C.”; L.G.F.,

quale coerede di A., nonchè in qualità di legale

rappresentante della società ” L. S.n.c. di P.G. e

F. & C.”; P.C., quale coerede di A.;

Pa.Do., tutti rappresentati e difesi dagli Avv.ti Giovanni

Naccarato, e Carlo Canessa, del Foro di Firenze, giusta procura

speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrenti –

contro

Comune di Firenze, nella persona del Sindaco pro tempore, autorizzato

a stare in giudizio con determinazione dirigenziale in atti,

rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso,

dall’Avv. Andrea Sansoni, ed elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avv. Giuseppe Lepore, via Polibio, n. 15, Roma.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di FIRENZE n. 1887/2014,

emessa in data 18 novembre 2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 18 novembre 2014, la Corte di appello di Firenze, in totale riforma della sentenza del Tribunale di Firenze n. 3483/2013 del 4 novembre 2013, dichiarava prescritto il diritto degli appellati a contestare l’imputazione dei pagamenti fatta dal debitore con i pagamenti eseguiti negli anni 1995 e 1997 e, in accoglimento dell’opposizione proposta, dichiarava che nulla era dovuto dal Comune di Firenze a L.P., L.L. in proprio e quale legale rappresentante della L. S.n.c. di P.G. e F. & C., L.G.F. in proprio e quale legale rappresentante della L. S.n.c. di P.G. e F. & C., per i titoli per cui era processo ed illegittimo il precetto al medesimo Comune notificato il 19 aprile 2008.

2. La Corte di appello di Firenze ha ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione del diritto ad una diversa imputazione dei pagamenti effettuati dal Comune nell’anno 1995 (13 novembre 1995) in conto capitale e nel 1997 (23 aprile 1997) in conto interessi, in quanto il giudizio pendente non aveva ad oggetto le modalità di imputazione dei pagamenti, ma solo la decorrenza nel calcolo degli interessi e la quantificazione del credito e che la sentenza n. 1228/06 non aveva affermato il diritto degli espropriati, che peraltro mai l’avevano chiesta, alla capitalizzazione degli interessi sull’indennità di occupazione annualmente maturata ed era errata la CTU laddove aveva affermato che il conteggio degli interessi sull’indennità di occupazione decorreva dall’inizio dell’occupazione, ovvero, nella specie dal 10 novembre 1980 e non invece dalla scadenza dell’anno, quale momento di maturazione del diritto all’indennità; che il riferimento all’espressione, anno per anno, contenuta nel dispositivo faceva richiamo alla parte motiva, ove si era affermato che gli interessi dovuti sull’indennità di occupazione decorrevano dalla cadenza di ciascuna annualità, quale momento di maturazione del relativo diritto; che non si era mai parlato di capitalizzazione degli interessi, ma solo di decorrenza degli stessi e sia il capitale che gli interessi erano stati correttamente conteggiati sulla base dei titoli esistenti al momento e il debito pecuniario era stato estinto; che il Comune di Firenze aveva saldato il suo debito con il pagamento degli interessi di cui alla quietanza del 3 gennaio 2007 per complessivi ulteriori 163.077,30 e gli importi dedotti in precetto non erano dovuti.

3. L.P., L.L., quest’ultima quale coerede di L.P.G., di L.C. e di L.D.,

nonchè in qualità di legale rappresentante della società ” L. S.n.c. di P.G. e F. & C.”, L.G.F., quale coerede di A., nonchè in qualità di legale rappresentante della società ” L. S.n.c. di P.G. e F. & C.”, P.C., quale coerede di A. e Pa.Do. ricorrono per la cassazione della sentenza con atto affidato a quattro motivi.

4. Il Comune di Firenze resiste con controricorso.

5. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione agli artt. 163,189,342 c.p.c. e all’art. 113 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo la Corte di appello preso in esame l’eccezione di prescrizione del diritto del creditore a chiedere l’imputazione ex art. 1194 c.c., mai sollevata nell’atto introduttivo di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., nei verbali di udienza, all’udienza di precisazione delle conclusioni, nelle memorie ex art. 190 c.p.c., eccezione di merito in senso stretto, che era del tutto nuova, proposta per la prima volta dal Comune di Firenze nell’atto di citazione in appello (pagine 21 e 22) e, come tale, preclusa dall’art. 345 c.p.c..

2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2938 c.c., “error in procedendo”, vizio della ultrapetizione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), poichè il giudice di appello non doveva pronunciarsi sulla eccezione/domanda di avvenuta estinzione del diritto ex art. 1194 c.c., in quanto non rilevabile d’ufficio.

2.1 Le esposte doglianze, da esaminarsi congiuntamente in quanto correlate, meritano accoglimento.

2.2 Ed invero, la Corte di appello di Firenze ha condiviso l’eccezione di intervenuta prescrizione del diritto ad una diversa imputazione dei pagamenti effettuati dal Comune nell’anno 1995 in conto capitale e nel 1997 successivamente in conto interessi e ha affermato che il giudizio pendente fra le parti non aveva ad oggetto le modalità di imputazione dei pagamenti, ma solo la decorrenza nel calcolo degli interessi e la quantificazione del credito e che se i creditori erano contrari alle modalità di computo, peraltro espressamente accettate in sede di quietanza dei pagamenti, avrebbero dovuto quantomeno dedurre la loro contrarietà a tale modalità di imputazione, avendolo invece fatto solo nel luglio 2007, quando il loro diritto almeno con riferimento ai pagamenti già ricevuti, era palesemente prescritto per decorso del decennio (pag. 3 del provvedimento impugnato).

2.3 Ciò posto va affermato che gli artt. 1193 -1196 c.c., inseriti nel Capo II, rubricato “Dell’adempimento delle obbligazioni” e nella Sezione I che tratta dell'”Adempimento in generale”, dettano una serie di regole che la dottrina più autorevole ha ricondotto agli “adminicula” del regime dell’adempimento.

Specificamente si pone un problema di imputazione del pagamento quando il debitore ha nei confronti del creditore più debiti della stessa specie e la prestazione non è sufficiente ad estinguerli tutti.

In questo caso, il debitore ha la facoltà di imputare il pagamento al debito che intende soddisfare, ovvero di determinare quale sia il debito che con il pagamento eseguito vuole estinguere; facoltà che viene esercitata mediante una dichiarazione unilaterale recettizia che può essere anche non espressa e il cui accertamento è comunque insindacabile in Cassazione (Cass., 17 marzo 1978, n. 1347; Cass., 7 febbraio 1975, n. 489).

In assenza dell’imputazione del pagamento ad uno specifico debito, operano le regole sussidiarie di cui all’art. 1193 c.c., comma 2, ovvero l’imputazione va fatta al debito scaduto; tra più debiti scaduti a quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti al più oneroso per il debitore; tra più debiti ugualmente onerosi al più antico ed, infine, proporzionalmente ai vari debiti.

Inoltre, se il debitore non esercita la facoltà di cui all’art. 1193 c.c., l’imputazione può essere fatta dal creditore in sede di rilascio della quietanza, ai sensi dell’art. 1195 c.c., ed in questo caso, se il debitore riceve la quietanza, accetta anche l’imputazione compiuta dal creditore e non può più pretendere una diversa imputazione, fatta eccezione per le ipotesi specificamente previste in cui vi sia stato dolo o sorpresa da parte del creditore.

In tale contesto normativo, l’art. 1194 c.c., comma 2, nel prevedere che il pagamento fatto in conto capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi, stabilisce un’ulteriore regola che mentre secondo la dottrina rappresenta un limite alla facoltà di imputazione del debitore, secondo la giurisprudenza di questa Corte costituisce un’eccezione alle norme suppletive dell’art. 1193 c.c., comma 2 (Cass., 22 maggio 1973, n. 1492).

L’art. 1194 c.c. è, comunque, concordemente ritenuto una norma puramente dispositiva, dato che il legislatore prevede che, nonostante quanto statuito dal comma 2, se c’è il consenso del creditore, l’imputazione può essere fatta al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese (art. 1194 c.c., comma 1).

Sui tempi di esercizio di tale facoltà, questa Corte ha affermato che il debitore che non abbia imputato la somma ad uno specifico debito al momento del pagamento perde la relativa facoltà e una imputazione successiva sarà possibile soltanto con il consenso del creditore, ovvero con l’accordo delle parti e che, ove tale consenso intervenga, l’imputazione sarà valida (Cass., 7 febbraio 1975, n. 474).

Anche di recente questa Corte ha affermato che “Il creditore che agisce per il pagamento ha l’onere di provare il titolo del suo diritto, non anche il mancato pagamento, giacchè il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l’eccepisce. L’onere della prova torna a gravare sul creditore il quale, di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento a un determinato credito, controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso da quello indicato dal debitore, fermo restando che, in caso di crediti di natura omogenea, la facoltà del debitore di indicare a quale debito debba imputarsi il pagamento va esercitata e si consuma all’atto del pagamento stesso, sicchè una successiva dichiarazione di imputazione, fatta dal debitore senza l’adesione del creditore, è giuridicamente inefficace” (Cass., 9 novembre 2012, n. 19527; Cass., 21 novembre 2014, n. 24837; Cass., 31 marzo 2016, n. 6217; Cass., 20 agosto 2019, n. 21512).

Questa Corte, inoltre, dopo avere ribadito che l’imputazione legale va operato con riferimento al momento in cui l’imputazione stessa viene eseguita e in relazione alle obbligazioni per le quali il creditore possa pretendere in quel momento l’adempimento, ha precisato che non può aversi imputazione in relazione a crediti eventualmente estinti per prescrizione, poichè dai crediti prescritti non può derivare altro effetto che quello della soluti retentio in caso di pagamento eseguito nonostante l’estinzione del debito (Cass., 1 agosto 1990, n. 7686; Cass., 18 marzo 2002, n. 3941).

Dai principi sopra richiamati – le norme di cui agli artt. 1193 e 1194 c.c., dettano delle facoltà che il debitore può esercitare con riguardo ad obbligazioni per le quali il creditore possa pretendere l’adempimento del debitore; le regole di imputazione in essi previste sono dettate per determinare a quale obbligazione ogni singolo adempimento vada imputato; dette facoltà vanno esercitate all’atto del pagamento, a pena di inefficacia dell’imputazione successivamente proposta in assenza del consenso del creditore; le regole di imputazione non si riferiscono ai debiti prescritti e, dunque il giudice del merito, nell’applicare il criterio di imputazione non può comprendere nei debiti ai quali riferire il pagamento, anche quelli prescritti – ne discende come conseguenza che non possa parlarsi di una prescrizione della facoltà di imputazione, venendo esclusivamente in rilievo la prescrizione del diritto di credito cui essa inerisce.

In conclusione, la imputazione del pagamento è una facoltà che inerisce ad un rapporto obbligatorio di debito – credito principale, che deve essere esercitata dal debitore all’atto del pagamento a pena di inefficacia e che se esercitata successivamente è efficace solo se vi sia il consenso del creditore.

Nel caso specifico previsto, poi, dall’art. 1194 c.c., è il legislatore che stabilisce che l’imputazione del pagamento è fatta di regola agli interessi e poi al capitale e che, diversamente, il pagamento può essere imputato dal debitore al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, solo con il consenso del creditore.

2.4 La Corte di appello di Firenze ha, quindi, errato nel ritenere sussistente in capo ai ricorrenti un diritto ad una diversa imputazione dei pagamenti effettuati dal Comune e a considerare tale diritto autonomo rispetto al diritto di credito costituito dalle somme dovute a titolo di indennità di espropriazione e di occupazione e ha conseguentemente errato nel ritenere prescritto il diritto ad una diversa imputazione delle somme.

A ben vedere, come già detto, l’imputazione delle somme è una facoltà connessa ad una situazione soggettiva di debito, che non è autonomamente azionabile e che, piuttosto, va esercitata all’atto del pagamento a pena di inefficacia.

2.5 Da quanto esposto, consegue anche la fondatezza dell’ulteriore censura, sollevata in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 2938 c.c., non potendo venire in rilievo, per quanto già detto, alcun diritto ad una diversa imputazione delle somme corrisposte e alcuna perdita del medesimo diritto per mancato esercizio dello stesso.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2945 c.c., anche in relazione all’art. 1194 c.c. e degli artt. 2935 e 2953 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), non avendo il giudice di appello affermato che la prescrizione era rimasta sospesa per le domande giudiziali, sia in punto di “an” che in punto di “quantum debeatur”, pendenti tra le parti sino al 23 ottobre 2014 (con procedimento giudiziario iniziato il 30 luglio 1990), quando vi era stata la pronuncia della Corte di Cassazione che aveva confermato definitivamente la sentenza della Corte di appello n. 1228/2006, nè vi era stato alcun accordo con il Comune di Firenze al momento dei pagamenti eseguiti, non potendosi desumere il consenso del creditore dalla sottoscrizione per quietanza del titolo di spesa in cui l’Amministrazione pubblica imputi a deconto del capitale la somma erogata a parziale pagamento del debito; nè peraltro il Comune di Firenze aveva fornito la prova, sui di cui incombeva l’onere probatorio di tale accordo.

La Corte territoriale aveva, poi, errato nel considerare che il termine decennale di prescrizione decorresse dal giorno in cui era possibile l’esecuzione della sentenza, piuttosto che dal momento del passaggio in giudicato della stessa, che si era verificato solo in data 23 ottobre 2014, con la decisione n. 13896/2014, con l’ulteriore conseguenza che la prescrizione al momento della notifica dell’atto di precetto, intimato in data 19 aprile 2008, e il diritto di procedere esecutivamente sulla base della sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1228/2006 non era ancora prescritto e ciò in ragione del nesso di collegamento imprescindibile esistente tra la prestazione e il rapporto obbligatorio della imputazione legale e per il criterio legale di imputazione di cui all’art. 1194 c.c., che doveva essere applicato ai pagamenti parziali non essendo mai intervenuto un diverso accordo tra i creditori L. e il Comune di Firenze.

3.1 Il motivo va accolto, avuto particolare riguardo alla doglianza relativa alla mancanza di accordo con il Comune di Firenze al momento dei pagamenti eseguiti e alla circostanza che il consenso non si poteva desumere dalla sottoscrizione per quietanza del titolo di spesa nella quale l’Amministrazione pubblica aveva imputato a deconto del capitale la somma erogata a parziale pagamento del debito.

L’art. 1194 c.c., comma 1, già si è detto, dispone che “Il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore”.

3.2 E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che, in tema di appalti pubblici, il pagamento parziale va imputato agli interessi e non al capitale, a meno che vi sia prova del consenso del creditore ad una diversa imputazione; a tal fine, non costituisce prova sufficiente, nel caso di pagamento effettuato da un’amministrazione pubblica, il fatto che il privato creditore, tenuto a rilasciare ricevuta di pagamento, abbia sottoscritto per quietanza il titolo di spesa in cui l’amministrazione stessa abbia imputato a deconto del capitale la somma erogata a parziale pagamento del debito (Cass., 3 agosto 2017, n. 19426; Cass., 9 ottobre 2012, n. 17197).

Peraltro, il criterio legale di imputazione del pagamento agli interessi anzichè al capitale (in difetto del consenso del creditore), di cui all’art. 1194 c.c., non costituisce fatto che debba essere specificamente dedotto in funzione del raggiungimento di un determinato effetto giuridico, risolvendosi, per converso, in una conseguenza automatica di ogni pagamento, con la conseguenza che non incombe sul creditore l’onere di dedurre i limiti estintivi del pagamento sul capitale, ma grava sul debitore quello di allegare che il detto creditore aveva consentito che il pagamento fosse imputato al capitale anzichè agli interessi (Cass., 20 maggio 2005, n. 10692).

E’ un principio, quello sopra richiamato della necessità del consenso del creditore, ribadito anche dai ricorrenti, che trova applicazione nel caso in esame, laddove il Comune di Firenze ha disposto i primi due pagamenti, come si legge nella sentenza di primo grado, il 13 novembre 1995 e il 23 aprile 1997, mentre l’ultimo è stato finanziato dal Comune di Firenze con determina dirigenziale n. 10323 del 26 ottobre 2006 e il successivo svincolo delle somme a favore degli aventi diritto è stato autorizzato con determinazione n. 13230 del 7 gennaio 2007, in data successiva alla sentenza n. 1228 del 14 febbraio 2006, che disponeva che gli interessi legali sull’indennità di esproprio decorrevano dalla data di emissione del decreto di esproprio (11 novembre 1986) e che gli interessi sull’indennità di occupazione decorrevano dalla data di immissione in possesso (10 novembre 1980).

E difatti il Comune di Firenze ha eseguito i pagamenti dopo la sentenza della Corte di appello n. 1228 del 14 febbraio 2006 e precisamente il 7 gennaio 2007, a cui ha fatto seguito Il ottobre 2007 un primo atto di precetto con il quale veniva intimata la somma di Euro 288,592,38 e il 10 aprile 2008 un secondo atto di precetto, con i quali veniva richiesta la somma di Euro 297.710,46.

E’ fatto incontroverso in atti che la sentenza della Corte di appello n. 1228 del 14 febbraio 2006 è passata in giudicato il 23 ottobre 2014, data di emissione della sentenza della Corte di Cassazione n. 13896/2014.

Ed invero l’iter processuale è stato contraddistinto dalla sentenza della Corte di appello n. 610 del 29 maggio 1995, impugnata con ricorso per Cassazione, e dalla successiva sentenza della Corte di Cassazione n. dell’8 maggio 1997, che ha disposto il rinvio del giudizio in Corte di appello, quindi nuova sentenza della Corte di appello, la n. 1228 del 14 febbraio 2006, che è stata impugnata con ricorso per Cassazione e sentenza della Corte di Cassazione n. 13896 del 23 ottobre 2014.

A fronte di tale iter processuale, il Comune di Firenze ha eseguito tre pagamenti, rispettivamente nel 1995, nel 1997 e nel 2007, tutti prima del passaggio in giudicato della sentenza della Corte di appello n. 1228/2006.

3.3 Ciò posto, quel che rileva è l’imputazione dei pagamenti stessi al fine di verificare se sussiste ancora un credito in capo ai controricorrenti.

E difatti il criterio legale di cui all’art. 1194 c.c. – di imputare i pagamenti agli interessi e alle spese, prima che al capitale – è applicabile anche in sede di opposizione all’esecuzione, se questa è stata proposta sul presupposto dell’asserito pagamento del credito per il quale si procede (Cass., 14 marzo 1988, n. 2434).

E peraltro, anche in sede di opposizione all’esecuzione, per avvenuto pagamento del credito per il quale si procede, si applica il principio che il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi o alle spese, senza il consenso del creditore (Cass., 6 marzo 1962, n. 421).

3.4 In tema di imputazione, già questa Corte, con la sentenza 20 maggio 2005, n. 10692, citata, aveva evidenziato che:

– il criterio legale d’imputazione del pagamento agli interessi anzichè al capitale (in difetto del consenso del creditore), come stabilito dall’art. 1194 c.c., costituisce una conseguenza automatica di ogni pagamento, di talchè incombe sul debitore l’onere di allegare che il medesimo creditore abbia consentito ad imputare il pagamento al capitale anzichè agli interessi (Cass., 9 ottobre 2003, n. 15053);

– quando poi debitrice sia una pubblica amministrazione, la quale provveda ad un pagamento parziale, la circostanza che la stessa sia tenuta a rilasciare ricevuta degli assegni tratti sull’istituto incaricato del servizio di tesoreria ed a quietanzare gli altri titoli di spesa, così come la circostanza che la dichiarazione di ricevuta estingua il debito dell’amministrazione, lasciano impregiudicato il problema dell’imputazione del pagamento, non potendosi solo dall’eventuale specificazione dell’imputazione contenuta nel titolo di spesa desumere l’accettazione da parte del creditore di tale imputazione (Cass. 4 settembre 2002, n. 12869);

– di conseguenza, nell’ipotesi di pagamento parziale, il versamento va imputato agli interessi e non al debito capitale, a meno che non vi sia prova del consenso del creditore ad una diversa imputazione; ma non costituisce prova sufficiente, nel caso di pagamento effettuato da un’amministrazione pubblica, neppure il fatto che il privato creditore, tenuto a rilasciare ricevuta di pagamento, abbia sottoscritto per quietanza il titolo di spesa in cui l’amministrazione stessa abbia imputato a deconto del capitale la somma erogata a parziale pagamento del debito (Cass. 11 dicembre 2002, n. 17661);

– la disposizione dell’art. 1194 c.c. – secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi ed alle spese senza il consenso del creditore – presuppone la simultanea esistenza della liquidità e dell’esigibilità sia del credito per capitale che del credito accessorio (per interessi o per spese), sicchè fino a quando sia incerto o illiquido il credito accessorio il debitore non è soggetto al divieto d’imputare il pagamento al capitale, ma ciò pur sempre a condizione che tali caratteri di incertezza o di illiquidità rivestano una qualche obiettività.

3.5 Tanto premesso, i principi suesposti trovano applicazione anche nel caso in esame, dove le somme riconosciute a titolo di indennità di espropriazione e di occupazione erano naturalmente comprensive degli interessi sino a quel momento maturati, con la conseguenza che, avendo il Comune di Firenze ritenuto di poter effettuare il pagamento in favore dei proprietari, nessun dubbio poteva sussistere in ordine all’esistenza del credito per interessi, quanto meno nei limiti in cui esso era a suo tempo già sorto e maturato.

Sicchè, entro i limiti sopra indicati, i pagamenti eseguiti dal Comune di Firenze, in mancanza di prova del consenso dei proprietari creditori, avrebbero dovuto essere imputati anzitutto agli interessi già maturati, e solo per il residuo a capitale.

3.6 Al riguardo, anche la Corte territoriale, nella sentenza impugnata, ha affermato che la sentenza n. 1228/2006 (divenuta definitiva a seguito della sentenza della Corte di Cassazione 18 giugno 2014, n. 13896) aveva statuito soltanto sulla decorrenza del termine iniziale degli interessi.

Pure la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 13896/14, ha affermato che la Corte di appello di Firenze, in assenza di impugnazione dei proprietari in ordine all’entità della liquidazione, ha correttamente tenuto conto del divieto di “reformatio in peius” nei confronti della parte impugnante, accogliendo il gravame degli odierni ricorrenti in via principale in relazione all’unica statuizione da loro contestata, concernente la decorrenza degli interessi (pagine 11 e 12 della citata sentenza).

Ed invero, come si legge nel ricorso per cassazione, i pagamenti sono avvenuti nel 1995, 1997 e 2007 e i ricorrenti hanno contestato l’imputazione di detti pagamenti al capitale con la notifica dell’atto di precetto avvenuta in data 10 aprile 2008 (pag. 24 del ricorso per cassazione).

Mette conto rilevare che il Comune di Firenze ha effettuato i pagamenti dopo la sentenza della Corte di appello n. 610/1995, nel 1995 e nel 1997, e dopo la sentenza della Corte di appello n. 1228/2006, nel 2007, passata in giudicato, come già si è detto, con la sentenza della Corte di Cassazione n. 13896/2014.

In conclusione, in assenza del consenso dei ricorrenti-creditori all’imputazione dei pagamenti eseguiti dal Comune di Firenze al capitale e dell’accettazione dei pagamenti così come eseguiti e tenuto conto delle vicende solutorie intervenute tra le parti, ha errato la Corte di appello nell’affermare che il Comune di Firenze aveva saldato il suo debito con il pagamento degli interessi di cui alla quietanza del 3 gennaio 2007 per complessivi ulteriori Euro 163.077,30 e che gli importi dedotti in precetto non erano dovuti.

4. Il quarto motivo, con il quale i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 615,324,342,345 c.p.c.; dell’art. 2909 c.c. e art. 112 c.p.c., “error in procedendo”, vizio di ultrapetizione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), poichè la Corte di appello si era pronunciata sulla questione della capitalizzazione degli interessi, che non era stata mai censurata dal Comune di Firenze, non avendo questi formulato in merito specifico motivo di gravame, deve ritenersi assorbito.

5. In conclusione, vanno accolti il primo, secondo e terzo motivo, quest’ultimo nei limiti di cui in motivazione, e assorbito il quarto.

In accoglimento del primo, secondo e terzo profilo di censura, la decisione della Corte territoriale deve essere cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, secondo e terzo motivo di ricorso, quest’ultimo nei limiti di cui in motivazione; assorbito il quarto; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021

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