Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3641 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. I, 13/02/2020, (ud. 13/09/2019, dep. 13/02/2020), n.3641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1186/2015 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via degli

Avignonesi n. 5, presso lo studio dell’avvocato Abbamonte Andrea,

che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Acerra, in persona del sindaco pro tempore, domiciliato in

Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Ferrentino

Feliciana, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il

01/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza emessa ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. in data 1-12-2014, la Corte d’Appello di Napoli, pronunciando in unico grado, ha dichiarato inammissibile la domanda proposta da C.A. nei confronti del Comune di Acerra diretta ad ottenere la determinazione giudiziale dell’indennità di espropriazione e di occupazione con riferimento ai beni oggetto del decreto di esproprio notificato l’8-4-2014, condannando l’opponente alla rifusione delle spese di lite. La Corte d’Appello di Napoli ha interpretato le norme introdotte dal D.P.R. n. 327 del 2001 in combinato disposto con quanto previsto sia dal codice del processo amministrativo approvato con il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 204, sia dall’art. 2 bis introdotto nella L. n. 241 del 1990 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69. Ha ritenuto che il privato possa efficacemente reagire all’eventuale inerzia dell’Amministrazione ed ottenere in un lasso temporale prevedibilmente abbastanza contenuto la stima dell’indennità di occupazione o di espropriazione spettanti; ha conseguentemente affermato che la proponibilità dell’opposizione alla stima e della domanda di accertamento della giusta indennità di espropriazione e di occupazione fosse subordinata al preventivo esperimento del sub-procedimento di determinazione delle suddette indennità da parte di un organo tecnico indipendente, quale la Commissione prevista dall’art. 41, e che solo contro le indennità definitive così determinate fosse dato il rimedio giudiziale dell’opposizione. Secondo la Corte territoriale, diversamente opinando, ossia ove si ritenesse tuttora consentito al proprietario del fondo occupato di adire la Corte d’Appello territorialmente competente anche prima ed a prescindere dalla conclusione del procedimento amministrativo per la determinazione di tale indennità, risulterebbe frustrata la finalità di deflazionare il carico di affari delle Corti d’Appello.

2. Avverso questa ordinanza, C.A. propone ricorso, affidato a due motivi, a cui resiste con controricorso il Comune di Acerra. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta “error in judicando violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 92 c.p.c. in connessione con gli artt. 24,36 e 111 Cost.” Deduce la ricorrente che in altre decisioni rese dalla Corte d’appello di Napoli in giudizi promossi in materia espropriativa dalla stessa ricorrente e da tutti gli altri proprietari dell’area oggetto dell’esproprio disposto dal Comune di Acerra, per la realizzazione del progetto “(OMISSIS)”, era stata dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi in opposizione alla stima per mancanza del decreto di espropriazione, in quanto condizione dell’azione. Con l’ordinanza impugnata la medesima Corte d’Appello di Napoli mutava il proprio indirizzo ritenendo che condizione dell’azione fosse non già il decreto di esproprio ma il completamento del procedimento amministrativo di determinazione della giusta indennità di esproprio e di occupazione a mezzo della acquisizione della determinazione della indennità definitiva di esproprio, così come previsto T.U. n. 327 del 2000, ex art. 41. Tuttavia, nelle more di detto mutamento di orientamento giurisprudenziale, il Comune di Acerra notificava il decreto di esproprio alla ricorrente in data 9.4.2014. Per l’effetto delle pronunce della medesima Corte d’Appello, nonchè del disposto letterale di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 che prevede la proposizione del giudizio di opposizione alla stima nel termine di 30 giorni dalla notifica del decreto di esproprio, la ricorrente proponeva opposizione alla stima innanzi alla Corte di Appello nel termine di trenta giorni dalla notifica del predetto decreto di esproprio. Ad avviso della ricorrente la Corte territoriale era incorsa in error in judicando e nella violazione dell’art. 92 c.p.c. nel condannare la ricorrente alle spese di lite, sia perchè la definizione della controversia era intervenuta solo in rito e non nel merito, sia perchè non erano state considerate la novità e particolarità della questione, introdotta dal T.U. (D.P.R. n. 327 del 2001), dal D.Lgs. n. 150 del 2011 nonchè dall’entrata in vigore del codice del processo amministrativo di cui al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 204. Secondo la ricorrente nel caso di specie ricorrono i presupposti previsti dal citato art. 92, ossia le gravi ed eccezionali ragioni che consentono al Giudice di derogare al principio generale della soccombenza e di compensare le spese di lite, come da orientamento di questa Corte che richiama (Sezioni Unite Cass. 20598/2008; Cass. 17496/2009; Cass. 17868/2009; Cass. 6970/2009).

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta “error in judicando -violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 92 c.p.c. in connessione con gli artt. 24,36 e 111 Cost. – nonchè in relazione al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1 e art. 6”. Deduce la ricorrente la violazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4 e 6 non avendo la Corte territoriale considerato che la controversia era stata trattata con rito sommario e che il totale dei compensi previsti per la fase di studio (Euro 1.960,00) e per quella introduttiva (Euro 1.350,00) è pari a Euro 3.310,00, e non alla somma di Euro 4.000,00, liquidata nell’ordinanza impugnata.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Cass. n. 24502/2017; Cass. n. 19613/2017; Cass. n. 11329/2019) in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi.

La pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione sotto il profilo della mancanza di motivazione, poichè il principio di soccombenza, esplicitato nell’art. 91 c.p.c., esprime una regola destinata ad operare per l’attribuzione del carico delle spese di lite, ossia quella per cui alla parte soccombente, e cioè alla parte le cui richieste siano state disattese dal giudice, si imputano gli oneri processuali necessari ai fini della relativa decisione, per avervi dato causa.

Dunque il Giudice si limita a doverosamente applicare l’art. 91 c.p.c., senza alcun margine di discrezionalità, allorquando condanna alla rifusione delle spese di lite il soccombente, che deve individuare correttamente secondo il principio indicato, e perciò la relativa statuizione è censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, solo se la parte a cui carico sono poste le spese sia totalmente vittoriosa. Ne consegue che nessuna motivazione deve sorreggere la statuizione di condanna di cui trattasi, essendo la stessa necessitata dalla regola generale dettata dall’art. 91 c.p.c., e il margine di impugnazione è correlativamente limitato solo al rispetto di quella regola. Diversamente deve essere motivato, e può essere censurato, l’esercizio della facoltà discrezionale attribuita al Giudice dall’art. 92 c.p.c., che consente di derogare alla regola generale della soccombenza nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, con il correttivo di cui alla sentenza n. 77 del 2018 della Corte Costituzionale.

3.2. Nel caso di specie ricorre la soccombenza integrale della ricorrente, le cui domande sono state disattese dal giudice, a nulla rilevando, anche in applicazione del principio di causalità, che si sia trattato di pronuncia in rito, e i vizi di violazione di legge denunziati sono insussistenti.

4. Anche il secondo motivo è infondato.

4.1. Ad avviso della ricorrente il totale dei compensi previsti per la fase di studio (Euro 1.960,00) e per quella introduttiva (Euro 1.350,00) è pari a Euro 3.310,00, ossia inferiore alla somma di Euro 4.000 liquidata nell’ordinanza impugnata.

Non ricorre la lamentata violazione del D.M. n. 55 del 2014, atteso nel conteggio della ricorrente manca la voce relativa al compenso per la fase decisoria/discussione o trattazione (pari, rispettivamente, secondo il citato D.M., a Euro 3.305 o a Euro 2.900 in base al valore medio, scaglione indeterminabile, complessità bassa).

5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 1.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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