Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 364 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 10/01/2017, (ud. 14/10/2016, dep.10/01/2017),  n. 364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23893-2013 proposto da:

ENTE ACQUE SARDEGNA (ENAS), C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO

GRAMSCI 22, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PICONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati RAFFAELE GALLUS e FRANCESCO

GALLUS giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 586/2013 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

emessa il 1/03/2013 e depositata il 10/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE, D’ASCOLA;

udito l’Avvocato Francesco Gallus, per il controricorrente, che si

riporta agli scritti.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1) Con atto di citazione notificato il 25.5.2001, P.G., il quale aveva ricevuto dall’Ufficio del Genio Civile di Cagliari, con Convenzione del 29.12.1977, l’incarico di prestare la propria opera in qualità di Assistente Governativo per la sorveglianza sui lavori di costruzione della diga sul Rio (OMISSIS), conveniva in giudizio l’Ente Autonomo Flumendosa (oggi Ente Acque della Sardegna), per sentirlo condannare al pagamento del compenso dovuto a titolo di corrispettivo per l’attività professionale svolta.

L’Ente convenuto si costituiva in giudizio, eccependo in via preliminare la prescrizione del credito e nel merito l’inadempimento del P..

1.1) Il Tribunale di Cagliari, con sentenza n.2828 del 6.11.2006, rigettava la domanda, dichiarando prescritto il credito.

Secondo il giudice, il termine per far valere il corrispondente diritto di credito decorreva, ex art. 2935 c.c., dai singoli stati di avanzamento dei lavori.

Nella specie, i lavori avevano avuto inizio nel mese di agosto 1979 ed erano stati ultimati nel mese di agosto 1981; il P. aveva dimostrato di aver richiesto il proprio onorario, all’Ente per il quale lavorava, con l’invio delle fatture emesse nel 1979 e, successivamente, con le lettere di sollecito al pagamento relative all’anno 1989.

Ciò posto, il Tribunale riteneva che dal 1989 alla data della citazione (2001) non risultava alcun nuovo valido atto interruttivo, tale non potendosi ritenere la notula inviata – nel settembre 1998 – al Genio Civile di Cagliari e da questi trasmessa, a seguire, all’Ente debitore.

1.2) Il P. proponeva appello, producendo per la prima volta la documentazione comprovante l’interruzione della prescrizione successivamente al 1989.

1.3) La Corte di Appello di Cagliari, con sentenza non definitiva n. 342 del 2.7.2010, accoglieva l’appello sulla prescrizione.

1.4) Successivamente, con sentenza definitiva n. 586 dell’1.3.2013, accoglieva nel merito la domanda.

2) L’ENAS, difeso dall’avvocatura erariale, ha proposto ricorso per cassazione, articolato su un unico motivo.

L’intimato P. ha resistito con controricorso.

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, proponendo il rigetto del ricorso.

3) Con l’unico motivo il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.” in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Sostiene che la Corte territoriale, nel ritenere ammissibili i documenti prodotti per la prima volta in appello – sulla base del giudizio di indispensabilità ai fini della decisione – abbia “chiaramente esorbitato dai poteri attribuiti dall’art. 345 c.p.c., per come interpretati da costante giurisprudenza di legittimità”.

A parere del ricorrente, “non basta l’eventuale decisività del documento per l’esito del giudizio a consentirne la tardiva produzione, ma è necessario che tale decisività emerga soltanto a fronte della sentenza di primo grado e non anche nel corso dell’istruzione del giudizio di prime cure”.

Parte controricorrente, al contrario, deduce che “la giurisprudenza ha più volte chiarito che per “indispensabilità” deve intendersi la peculiare efficacia dei nuovi elementi di “influenza causale più incisiva” rispetto alle prove in genere ammissibili in quanto “rilevanti”, nel senso che si tratta di prove che appaiono idonee a fornire un contributo essenziale all’accertamento della verità materiale, per essere dotate di un grado di decisività e certezza tale che, di per sè sole, quindi anche a prescindere dal loro collegamento con altri elementi di prova e con altre indagini, conducano ad un esito “necessario” della controversia”.

4) Il motivo appare infondato, come rilevato nella relazione preliminare, che il Collegio condivide e che viene qui riportata.

Secondo le Sezioni Unite, con riferimento alla prova documentale, l’art. 345 c.p.c., comma 3, va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità dei mezzi di prova nuovi, “indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame”; “requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione” (SU Cass. 8203/05).

La giurisprudenza ha inoltre avuto modo di precisare che “in tema di giudizio di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3, come modificato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353 (nel testo applicabile ratione temporis), nell’escludere l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi compresi i documenti, salvo che, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, siano ritenuti indispensabili, perchè dotate di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella delle prove già rilevanti sulla decisione finale della controversia, impone al giudice del gravame di motivare espressamente sulla ritenuta attitudine, positiva o negativa, della nuova produzione a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, così da consentire, in sede di legittimità, il necessario controllo sulla congruità e sulla logicità del percorso motivazionale seguito e sull’esattezza del ragionamento adottato nella decisione impugnata” (Cass. 16745/2014; Cass. 21980/09).

Nel caso in esame, la Corte di appello, con la prima sentenza non definitiva, chiarisce espressamente che, a fronte della parcella datata 2.8.1997 – con la quale il P. aveva richiesto il pagamento del quantum dovuto – e “già prodotta in primo grado”, la successiva lettera di accompagnamento, prodotta in grado di appello, serve a “dissipare lo stato di incertezza sul fatto dell’invio al debitore della parcella” medesima, dal momento che il debitore, “contrariamente al vero, aveva negato di averla ricevuta”.

La Corte ribadisce quindi l’indispensabilità della lettera di accompagnamento (datata 2.8.97), ai fini della decisione, in quanto attestante la tempestiva proposizione della richiesta di pagamento da parte del creditore.

Rispetto a tale nuovo mezzo di prova, risulta quindi correttamente motivata l’attitudine del documento a dissipare lo stato di incertezza sul fatto controverso, in quanto lo stesso è idoneo a dimostrare l’interruzione della prescrizione nel decennio che va dal mese di aprile/marzo 1989 al mese di aprile 1999, e, di conseguenza, la non maturazione del termine decennale di prescrizione alla data della notifica dell’atto di citazione nel 2001.

Il Collegio nel condividere la relazione preliminare, osserva che il canone della indispensabilità per l’ammissibilità della produzione documentale in appello ha (o meglio, aveva, posto che la norma è stata modificata con restringimento della facoltà dell’appellante) senso proprio per i casi in cui le preclusioni istruttorie avessero creato un’inaccettabile separazione tra realtà materiale documentabile in appello e verità processuale emersa tempestivamente.

L’interpretazione fatta propria da Cass. 7441/11 e riproposta in ricorso avrebbe potuto trovare sfogo anche soltanto mediante la valorizzazione del dovere del giudice di non adottare la soluzione a sorpresa della causa.

La produzione documentale resa necessaria dalla decisione di primo grado resa su presupposti non apparsi chiari durante la trattazione avrebbe comunque giustificato la produzione documentale tramite la clausola di rimessione in termini per causa non imputabile.

Per i giudizi regolati dal vecchio testo dell’art. 345 è quindi ancora valido il senso più profondo di mitigazione della rigidità delle preclusioni che era stato voluto dal legislatore della L. n. 353 del 1990.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.

Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato, poichè l’ente ricorrente vi è soggetto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 3.000 per compenso, oltre spese generali e accessori come per legge.

Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile – 2, il 14 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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