Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 364 del 10/01/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 364 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

PU

SENTENZA

sul ricorso 2434-2007 proposto da:
VICTORY S.P.A. (c.f. 07592580158), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ANDREA VESALIO 22, presso

Data pubblicazione: 10/01/2014

l’avvocato IRTI NATALE, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati BENATTI FRANCESCO,
2013
1655

MANTEGAZZA PAOLO, FERRARI GIANRODOLFO, SALA
GIUSEPPE, giusta procura a margine del rleursQ;
– ricorrente –

contro

1

COMUNE DI INVERIGO, in per s ona del sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato
BOLOGNA GIULIANO, che lo rappresenta e difende
unitamente agli avvocati CARNEVALI UGO, SPALLINO

del controricorso;
– controricorrente contro

PROVINCIA DI COMO, MM&P S.R.L., CONSORZIO DEL PARCO
REGIONALE DELLA VALLE DEL LAMBRO;
– intimati sul ricorso 5464-2007 proposto da:

CONSORZIO DEL PARCO REGIONALE DELLA VALLE DEL
LAMBRO (C.F. 91012870159), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso
l’avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANTONIO, SPALLINO LORENZO, giusta procura a margine

GRELLA UMBERTO, giusta procura in calce al
controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

VICTORY S.P.A. (c.f. 07592580158), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente


2

domiciliata in ROMA, VIA ANDREA VESALIO 22, presso
l’avvocato IRTI NATALE, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati BENATTI FRANCESCO,
MANTEGAZZA PAOLO, FERRARI GIANRODOLFO, SALA
GIUSEPPE, giusta procura in calce al controricorso

– controricorrente al ricorso incidentale contro

PROVINCIA DI COMO, MM&P S.R.L., COMUNE DI INVERIGO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 2761/2005 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/11/2005;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del

05/11/2013

dal Consigliere

Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito,

per la ricorrente VICTORY,

l’Avvocato

NATALINO IRTI che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso principale, il rigetto dell’incidentale;
uditi, per il controricorrente COMUNE, gli Avvocati

al ricorso incidentale;

LORENZO SPALLINO e UGO CARNEVALI che hanno chiesto
il rigetto dei ricorsi;
udito,

per

il

controricorrente e ricorrente

incidentale CONSORZIO, l’Avvocato UMBERTO GRELLA
che ha chiesto il rigetto del ricorso principale,
l’accoglimento dell’incidentale;

3

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per

il rigetto di entrambi i ricorsi.

4

Svolgimento del processo
1.- Il 2 dicembre 1966 il Comune di Inverigo e l’allora
società Centro Residenziale ai Prati di Inverigo di Pietro
Piazzalunga (poi divenuta ASTAIE spa, dalla quale la
Victory spa che acquistò i diritti di cui si controverte)

stipularono una convenzione con la quale il Comune
concedeva in via definitiva la destinazione a “Zona
Residenziale” di un territorio di proprietà della società,
approvava il relativo “piano di azzonamento” e assumeva
l’impegno di inserirlo nel “Piano Generale di Azzonamento
in corso di elaborazione”; dal canto suo, la società si
impegnava a realizzare numerose opere di urbanizzazione
primaria e secondaria (tra cui strade asfaltate, una scuola
con annessa palestra, varianti stradali, un ponte sopra una
ferrovia, opere interne all’area di lottizzazione, ecc.) e
a cedere al Comune alcune superfici di terreno di sua
proprietà su cui insistevano alcune di queste opere.
La società eseguì tra il 1966 e il 1973 le opere richieste,
ma successivamente, con delibere n. 34 e 35 del 1976, il
Comune di Inverigo escluse, in sostanza, ogni possibilità
edificatoria; con delibera n. 87 del 1978 revocò gli atti
di approvazione della convenzione e con delibera n. 89 del
1979 adottò il nuovo PRG.
Iniziò così un lungo contenzioso dinanzi sia alla
giurisdizione amministrativa che a quella ordinaria. Il
Consiglio di Stato giudicò la convenzione legittima, ai
5

sensi dell’art. 8 della legge n. 765/1967, e annullò gli
atti amministrativi con cui il Comune (approvando, nel
1976, il piano di fabbricazione senza inserirvi il piano di
lottizzazione avente ad oggetto l’area della società) aveva
inteso svincolarsi dagli obblighi assunti con la

convenzione, per difetto di motivazione rispetto alle nuove
scelte urbanistiche e per eccesso di potere, avendo il
Comune, a causa dell’erroneo convincimento della nullità
della convenzione, ritenuto di poter prescindere
dall’accordo con la società.
2.- Nel frattempo, nel 1977, la società aveva convenuto in
giudizio il Comune chiedendo la risoluzione della
convenzione per inadempimento della società e il
risarcimento dei danni e, in via subordinata, l’indennizzo
per ingiustificato arricchimento.
L’adito Tribunale di Como emise una prima sentenza non
definitiva, in data 26 febbraio 1982, che accolse la
domanda subordinata di arricchimento senza causa, ma la
Corte di appello di Milano, con sentenza 13 giugno 1989, la
riformò. La corte ritenne che il giudicato amministrativo
formatosi sull’illegittimità degli atti con i quali il
Comune aveva inteso svincolarsi dagli obblighi assunti
aveva restituito pieno effetto vincolante alla convenzione
(valida ed efficace) e restituito dignità ai diritti da
essa derivanti alla società; quindi accolse la domanda di
risoluzione della convenzione per inadempimento ed emise
6

condanna generica del Comune al risarcimento dei danni (il
ricorso per cassazione proposto dal Comune è stato
rigettato dalla Cassazione, a sez. un., con sentenza n.
2669/1993).
3.- Il medesimo tribunale, adito nel 1993 dalla soc.

Victory (subentrata alla ASTAIE), emise sentenza non
definitiva, in data 19 novembre 2003, nella quale dichiarò
ammissibili gli interventi

(ad adiuvandum del Comune) della

Provincia di Como e del Consorzio del Parco Regionale della
Valle del Lambro e, decidendo sulla domanda di risarcimento
dei danni subiti dalla società per le prestazioni eseguite
in forza della convenzione del 1966, condannò il Comune a
risarcire il valore delle opere di urbanizzazione eseguite
nel comprensorio della società e non utilizzate, nonché il
valore di altre opere eseguite e acquisite dal Comune,
ordinando la prosecuzione del processo per l’ulteriore
attività istruttoria su altre voci di danno.
Il Comune prestò acquiescenza ai capi decisori riguardanti
le opere trasferitegli e propose appello limitatamente a
quelli riguardanti le opere di urbanizzazione eseguite
sulle aree della società, deducendo l’illegittimità della
condanna al risarcimento di danni che assumeva non
collegati da un nesso di causalità adeguata con la
convenzione del 1966. La società propose appello
incidentale deducendo, oltre che la inammissibilità degli
interventi in causa, sia l’erroneità del coefficiente Istat
7

di rivalutazione applicato alle voci di danno ad essa
riconosciute e del computo degli interessi legali sulle
somme rivalutate, sia l’incongruità della stima di talune
opere (edificio scolastico e variante della strada
Inverigo-Carpanea) che, a suo avviso, arbitrariamente era

stata desunta dalle tabelle delle indennità di esproprio.
3.1.- La Corte di appello di Milano, con sentenza 26
novembre 2005, ha ritenuto insussistente la legittimazione
ad intervenire in giudizio ad adiuvandum del Consorzio del
Parco Regionale della Valle del Lambro, perché titolare di
un interesse di mero fatto; ha accolto l’appello principale
del Comune, con conseguente rigetto della domanda
risarcitoria riferita alle opere di urbanizzazione, ed ha
accolto l’appello della società limitatamente al computo
degli interessi; ha infine compensato le spese del giudizio
di appello.
In particolare, la corte milanese, esaminando quello che
essa ha giudicato come “il punto nodale della ragione di
gravame (del Comune)”, cioè il rapporto di causalità tra i
danni lamentati dalla società e il comportamento

atii)1

dell’Amministrazione comunale, ha ritenuto che la decisione
di realizzare le opere di urbanizzazione sul proprio
terreno fu adottata dalla società prima ancora che ne fosse
stata adeguata la destinazione urbanistica e prima che
fossero state rilasciate le concessioni edilizie, quindi a
suo rischio e pericolo, con un effetto interruttivo del
8

nesso di causalità con il dedotto inadempimento del Comune.
In altri termini, il diritto e l’obbligo della società di
eseguire le suddette opere, in virtù della convenzione,
erano sottoposti a concorrenti condizioni di legge e di
contratto, tra le quali la previa modifica della

preesistente destinazione agricola dei terreni e il previo
ottenimento delle concessioni edificatorie, anche tenuto
conto che il Comune ben poteva liberarsi dagli obblighi
assunti nella convenzione in presenza di sopravvenute
esigenze pubblicistiche. Inoltre, la corte ha rigettato il
motivo di appello incidentale della società che aveva
dedotto la contraddittorietà tra l’acquiescenza prestata
dal Comune alla decisione relativa alle “opere pubbliche”
ad esso trasferite e l’impugnazione di quella relativa alle
opere rimaste nel patrimonio della società.
4.- Avverso la predetta sentenza ricorre per cassazione la
società Victory a mezzo di tredici motivi, cui resistono il
Comune di Inverigo e il Consorzio del Parco Regionale della
Valle del Lambro. Quest’ultimo propone ricorso incidentale
a mezzo di un motivo, cui resiste la società Victory. Le
parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
1.- E’ pregiudiziale l’esame del ricorso incidentale del
Consorzio del Parco Regionale della Valle del Lambro, il
quale contesta la decisione impugnata che avrebbe violato
l’art. 105 c.p.c., ritenendo il Consorzio privo di
9

legittimazione ad intervenire nel giudizio

ad adiuvandum

del Comune.
Esso è infondato. Analoga questione è stata decisa da
questa Corte nella medesima fattispecie (vd. la sentenza n.
17922/2012 all’esito del giudizio di impugnazione della

sentenza definitiva del Tribunale di Como) nel senso della
insussistenza di un interesse giuridico (e non meramente
fattuale) del Consorzio ad intervenire nel giudizio per
sostenere le ragioni del Comune di Inverigo (consorziato).
Detto interesse è stato infondatamente dedotto sotto il
duplice profilo della possibile perdita dei contributi
necessari per il funzionamento di esso interveniente,
nell’ipotesi di condanna risarcitoria del Comune, nonché
dell’esigenza di tutela degli aspetti pubblicistici allo
stesso demandati (in particolare quelli relativi alla
tutela dell’ambiente e del paesaggio), situazioni queste
insuscettibili di esiti pregiudizievoli collegati ad un
giudicato formatosi (o destinato a formarsi) tra parti
diverse.
2.- I motivi del ricorso principale vanno esaminati nel
loro ordine logico.
Nel primo di essi (per violazione degli artt. 112 c.p.c. e
vizio di motivazione) la società ricorrente assume che la
sentenza impugnata, attribuendo natura condizionale alla
convenzione del 1966, avrebbe omesso di esaminare

10

l’eccezione, da essa proposta, di novità della predetta
questione introdotta dal Comune nel giudizio di appello.
Il motivo è infondato. La corte ha deciso (e quindi non ha
omesso di decidere) sull’eccezione della società,
implicitamente rigettandola sul presupposto che la

questione dell’efficacia della convenzione non fosse nuova
perché già appartenente al thema decidendum.
3.- Al primo motivo è connesso il

terzo (per violazione

dell’art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione) nel quale si
assume che la corte di merito avrebbe omesso di
pronunciarsi sull’eccezione, avanzata dalla società (nella
comparsa di risposta nel giudizio di appello), di giudicato
esterno (amministrativo) e interno che avrebbe dovuto
precludere l’affermazione della natura condizionale della
convenzione urbanistica.
Il motivo è infondato, avendo la corte territoriale
implicitamente deciso su quella eccezione rigettandola.
4.-

Il secondo, quarto, quinto e sesto motivo sono

reciprocamente connessi e meritano una trattazione
unitaria.
Il secondo motivo (per violazione dell’art. 345 c.p.c. e
vizio di motivazione) assume che la questione della
(in)efficacia della convenzione sarebbe stata
impropriamente introdotta dal Comune nell’ambito del
presente giudizio avente ad oggetto la sola quantificazione
del danno e solo in grado di appello.
11

Il quarto motivo (per violazione degli artt. 2909 c.c. e
324 c.p.c. e vizio di motivazione) assume che la corte del
merito,

avendo

convenzione,

attribuito natura

avrebbe

(amministrativo),

violato

il

condizionale
giudicato

alla
esterno

il quale copre il dedotto e il

deducibile.
Il quinto motivo (per violazione degli artt. 2909 c.c. e
324 c.p.c. e vizio di motivazione) assume che, qualificando
la convenzione come un contratto condizionale, la corte
avrebbe violato il giudicato interno (costituito dalla
sentenza della Corte di appello di Milano del 1989) che
aveva accertato che il contratto era non solo valido ma
anche pienamente efficace.
Il sesto motivo (per violazione degli artt. 2909 c.c. e 324
c.p.c. e vizio di motivazione) assume che la sentenza
impugnata avrebbe violato il giudicato, esterno e interno,
formatosi relativamente alla identificazione delle
prestazioni contrattuali e al rapporto di corrispettività
tra le stesse; infatti, il conferimento della destinazione
residenziale non integrerebbe un “evento futuro e incerto”,
al cui avveramento sarebbe subordinata l’efficacia della
convenzione, ma apparterrebbe alla struttura stessa del
sinallagma contrattuale, in quanto oggetto della
prestazione obbligatoria del Comune a fronte di quella
della società avente ad oggetto l’esecuzione delle opere di
urbanizzazione.
12

I predetti motivi sono fondati.
4.1.- Il giudizio sfociato nella sentenza impugnata aveva
ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni concernenti
il valore delle opere di urbanizzazione eseguite dalla
società ricorrente Victory in attuazione di una convenzione

urbanistica del 1966 non più realizzabile a causa del
comportamento del Comune di Inverigo che, forte del potere
che gli apparteneva di sciogliersi da quel vincolo
contrattuale, rivalutando l’interesse pubblico anche in
senso difforme e incompatibile con esso, lo aveva in
concreto esercitato scorrettamente, ponendo in essere atti
di pianificazione urbanistica incompatibili con la
convenzione, cioè con la programmata destinazione
residenziale dei suoli (vd. il p. l dello svolgimento del
processo) e senza tenere conto di quella precedente
negoziazione. Il giudice amministrativo (Cons. Stato, sez.
IV, n. 100/1983 e n. 130/1987) ha infatti giudicato
illegittimi e annullato gli atti adottati dal Comune (tra i
quali la revoca dell’approvazione della convenzione), con
conseguente reviviscenza della posizione di diritto
soggettivo in capo alla società.
Quest’ultima, non avendo più interesse alla convenzione, ne
ha chiesto lo scioglimento, avvalendosi delle norme sulla
risoluzione per inadempimento, e cioè qualificando come
tale l’atto illegittimo del Comune che aveva tentato di
liberarsi dalla convenzione stessa attraverso la già
13

descritta strada dell’esercizio del potere conformativo del
territorio in modo diverso da quello programmato. Come
ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte (nella sent.
n. 2669/1993 emessa nella stessa fattispecie), “l’atto

una volta qualificato illegittimo dal giudice

amministrativo – può bene essere considerato inadempimento
dal giudice civile, non perché (come avviene in un
qualsiasi contratto di diritto privato) abbia negato alla
parte adempiente l’utilità che si attendeva dall’esecuzione
della convenzione, ma soltanto perché, in luogo di
quell’utilità, non ha dato soddisfazione all’aspettativa
del privato ad una corretta azione amministrativa”, cioè
non ha esercitato in modo corretto il suo potere di
revocare o modificare la convenzione. Tale scorrettezza,
sanzionata in sede amministrativa con un giudicato di
annullamento degli atti, ha ripristinato quei soli poteri
di tutela del diritto soggettivo del privato che sono
compatibili con l’oggetto della convenzione: il diritto
alla risoluzione, una volta che il giudice del merito ha
ritenuto che la P.A. non avesse alcuna intenzione di dare
esecuzione all’accordo, e il diritto a veder definiti i
suoi rapporti col Comune dal punto di vista patrimoniale.
Il precedente giudizio instaurato dalla società si è
concluso con la poc’anzi citata sentenza delle Sezioni
Unite che, rigettando il ricorso del Comune, ha reso
definitiva la sentenza della Corte di appello di Milano (13
14

giugno 1989) che aveva disposto la risoluzione del
contratto per inadempimento del Comune ed emesso condanna
generica al risarcimento dei danni, sulla base dei
presupposti (definitivamente accertati) dell’illiceità
della condotta del Comune e della sua potenziale rilevanza

dannosa.
4.2.- La sentenza ora impugnata, come detto, è stata emessa
nel giudizio avente ad oggetto, tra l’altro, la
quantificazione dei danni lamentati dalla società per le
opere di urbanizzazione eseguite su terreni di sua
proprietà. I giudici del merito hanno ritenuto
insussistente il nesso causale tra i danni lamentati e la
condotta del Comune, sulla base del presupposto che la
convenzione del 1966 fosse sottoposta al “rispetto delle
altre condizioni di legge e di contratto,

tra le quali in

primo luogo, quelle della previa modifica della
preesistente destinazione agricola dei terreni e del previo
ottenimento delle necessarie concessioni edilizie”. Avere
eseguito le opere di urbanizzazione prima che queste
condizioni si fossero realizzate è stata una decisione che,
ad avviso della corte territoriale, sarebbe stata assunta
dalla società “a suo rischio e pericolo” e idonea a
provocare l’interruzione del nesso causale.
Spetta naturalmente al giudice cui è affidato il giudizio
sul

quantum valutare la concreta esistenza sia di danni

risarcibili sia del nesso causale con la condotta
15

inadempiente del Comune e, in caso affermativo, di
quantificarli.
rimettere

Tale

in

valutazione,

discussione

le

non

tuttavia,
questioni

può

ricomprese

nell’oggetto del pregresso giudizio, quali l’esistenza, la
validità e l’efficacia del fatto giuridico costitutivo del

credito azionato e, in particolare, il giudizio di
“certezza giuridica sui punti pregiudiziali della illiceità
della condotta” (Cass. n. 3496/1983). I contenuti e i
limiti di tale giudizio si possono desumere dal giudicato
(di condanna generica) la cui interpretazione è consentita
al giudice di legittimità (che ha cognizione piena ed
estesa alla diretta valutazione e interpretazione degli
atti processuali: v., con riferimento al giudicato esterno,
Cass.,

sez.

un.,

n.

24774/2007)

e che è stata già

effettuata nel richiamato precedente (n. 2669) del 1993.
Le Sezioni Unite hanno infatti precisato che la premessa
del

petitum

“l’annullamento

del

giudizio

degli

atti

risarcitorio

è

amministrativi_

interpretazione del contenuto ed affermazione

stato
previa
della

at,[7(iti

validità della convenzione da parte del giudice
amministrativo” e hanno quindi confermato la correttezza
giuridica del rigetto dell’eccezione, sollevata dal Comune
di Inverigo, di invalidità della convenzione. In
particolare, hanno osservato che il potere amministrativo
di rivalutare la scelta urbanistica già compiuta avrebbe
consentito al Comune di rendere “inefficace” una
16

convenzione che evidentemente era pienamente efficace (per
entrambe le parti), sebbene sottoposta alla condizione che
gli atti costituenti manifestazione di quel potere fossero
immuni “da quei vizi che le sentenze del Consiglio di Stato
hanno individuato nel ‘difetto di congrua ed idonea

motivazione (rispetto alle nuove scelte urbanistiche) che
discendeva dalle norme e dai criteri di buona e corretta
amministrazione’ e nell’eccesso di potere per aver ritenuto
erroneamente di poter prescindere – per l’erroneo
convincimento della nullità della convenzione

dall’accordo con l’ASTAIE nella pianificazione
urbanistica”. Poiché tale condizione non si è verificata,
stante l’acclarata illegittimità del comportamento
dell’Amministrazione, perde di significato l’affermazione
della corte milanese secondo cui “il Comune avrebbe potuto
comunque legittimamente liberarsi dagli obblighi impostigli
dalla convenzione in presenza di sopravvenute esigenze
pubbliche”.
4.3.- La medesima corte milanese ha giudicato insussistente
(o interrotto) il nesso causale tra l’inadempimento del
Comune di Inverigo e il danno dedotto dalla società in
relazione alle opere di urbanizzazione da essa eseguite
sulla base del presupposto che la convenzione non fosse, in
sostanza, ancora efficace perché sottoposta ad ulteriori
condizioni non verificatesi (quali la modifica della
preesistente destinazione agricola dei terreni e il previo
17

rilascio delle concessioni edilizie). Il Comune, aderendo a
questa impostazione, ha ritenuto che, in tal modo, la corte
si sarebbe limitata ad esaminare e ad escludere il nesso di
causalità, senza affermare che la convenzione fosse
sottoposta ad una condizione di efficacia in senso tecnico,

con la conseguenza che la società non avrebbe dovuto
eseguire le opere di urbanizzazione (del cui valore chiede
ora il rimborso) perché previste da una convenzione non
ancora pienamente efficace.
Questa tesi non è condivisibile perché incompatibile con il
giudicato (amministrativo e interno) di cui si è detto che,
estendendosi al dedotto e deducibile, ha sancito la
validità e l’efficacia del contratto quale presupposto
logico e giuridico della risoluzione per inadempimento, a
prescindere dal rilievo che lo stesso Comune (a pag. 27-28
del controricorso) si riferisce alle ulteriori condizioni
in termini di “avvenimento futuro e incerto, come tale
costituente una ‘condizione a carattere sospensivo’
dell’efficacia della convenzione”, o di “una vera e propria
condicio luris”.

Inoltre, già il Consiglio di Stato (nella

sentenza n. 130/1987) aveva statuito che “l’eccepita
mancanza di efficacia della convenzione non sembra
sussistere, considerato che_ essa aveva avuto in gran parte
esecuzione ad opera della parte privata”, osservando che
“il Comune appellante a torto ritiene nulla e improduttiva
di effetti la convenzione predetta (nonostante nella
18

decisione n. 100/87 cit.

[rectius:

100/83] si affermi il

contrario)”.
4.4.- Le Sezioni Unite (n. 2669/1993) hanno sottolineato
che il privato “è garantito dalle difese giurisdizionali
avverso lo scorretto ed illegittimo esercizio di quel

potere, nonché dagli indennizzi che può pretendere a fronte
della anticipata esecuzione degli obblighi di
urbanizzazione a suo carico”; hanno ancora evidenziato che
“la sentenza impugnata [Appello Milano 13 giugno 1989] ha
implicitamente ma chiaramente (nel modificare la sentenza
di primo grado che aveva ritenuto fondata soltanto l’azione
di arricchimento senza causa) compreso i diritti
patrimoniali derivanti dall’avvenuta esecuzione delle opere
(da parte della Società) nell’ambito del risarcimento del
danno per l’inadempimento. Invero, dalla risoluzione sorge
il diritto al ripristino della situazione anteriore al
contratto risolto, oltre che il diritto al risarcimento del
danno”, atteso che la risoluzione non sfugge alla regola
della retroattività.
La predetta convenzione è stata di fatto reinterpretata
dalla corte di appello la quale ha ritenuto che le opere di
urbanizzazione fossero state eseguite dalla società
nonostante il rischio della mancata approvazione della
variante urbanistica (che avrebbe consentito la
realizzazione del progetto residenziale cui quelle opere
erano funzionali). In tal modo essa ha reinterpretato la
19

convenzione

e

le

stesse obbligazioni delle parti,

trasferendo gli effetti di tali valutazioni sul piano del
nesso causale, con il risultato di escludere in sostanza la
stessa potenzialità lesiva dell’inadempimento che
costituiva il nucleo del giudicato di condanna generica ai

danni.
La sentenza impugnata ha evidenziato nella convenzione in
oggetto “il profilo della corrispettività tra gli obblighi
di urbanizzazione e il rilascio delle licenze di
costruzione sulle aree urbanizzate”, senza considerare che
le medesime Sezioni Unite (respingendo la tesi del Comune
circa l’impossibilità sopravvenuta dedotta con riferimento
all’obbligatorietà del piano di fabbricazione che destinava
la zona a verde agricolo e vietava al sindaco di rilasciare
licenze di costruzione in contrasto con quel piano) avevano
chiarito che la risoluzione non era stata pronunciata per
il mancato rilascio delle licenze di costruzione, ma per un
fatto diverso e anteriore, cioè per l’emanazione di un
piano urbanistico immotivatamente incompatibile con la
convenzione. E’ vero che la mancata approvazione della
variante, che avrebbe consentito di modificare il piano di
fabbricazione e di realizzare il progetto urbanistico
assunto nella convenzione, precludeva il rilascio delle
concessioni edificatorie necessarie per la realizzazione
della lottizzazione, tuttavia la domanda risarcitoria
proposta dalla società non aveva ad oggetto il mancato
20

rilascio delle concessioni né il valore di opere eseguite
senza concessione, ma le opere di urbanizzazione, assentite
dall’Amministrazione, che essa aveva già eseguito in base
ad una convenzione valida ed efficace.
Infatti, nel giudizio amministrativo la società aveva

“documentato di avere eseguito tra il 1966 e il 1973,
munita delle necessarie autorizzazioni comunali, tutte le
opere richieste, sia all’interno della zona di proprietà_
sia all’esterno_” (così la sentenza del Tar Lombardia n.
268/1978, confermata dal Cons. Stato n. 100/1983).
Affermazione questa coerente con la previsione contrattuale
(il cui testo è stato riportato in ricorso) secondo cui il
Comune, da un lato, aveva concesso “in via definitiva la
destinazione del sopracitato territorio di proprietà della
società ‘Ai Prati di Inverigo’ quale ‘Zona Residenziale'”,
aveva “approva[to] il suddetto piano di azzonamento” e
“dichiarato[to] che sarà inserito nel Piano Generale di
Azzonamento del territorio Comunale in corso di
elaborazione” e, dall’altro, aveva autorizzato l’esecuzione
delle opere di urbanizzazione (vd. premesse e art. 4 della
convenzione). La corte milanese ha trascurato tali
circostanze e, pure affermando correttamente che il Comune,
per l’urgenza di ottenere l’urbanizzazione delle zone di
espansione, aveva corso il rischio di anticipare le linee
della disciplina urbanistica

in fieri,

ha illogicamente

21

posto le relative conseguenze ad esclusivo carico del
privato.
4.5.- La corte territoriale, nel riesaminare la causa,
dovrà fare applicazione del principio di diritto secondo
cui le convenzioni urbanistiche stipulate nel quadro della

legge 6 agosto 1967 n. 765, che consentono l’esercizio in
forma contrattata dei poteri autoritativi di controllo
dell’attività edilizia, anche sotto forma d’impegno ad un
futuro atto di esercizio del potere di pianificazione
urbanistica, conservano il loro carattere contrattuale, con
la conseguenza che, in caso di risoluzione della
convenzione per inadempimento dell’Amministrazione pubblica
(nella specie dichiarata da sentenze passate in giudicato)
per non avere dato soddisfazione all’aspettativa ad una
corretta azione amministrativa e, in particolare, per avere
effettuato la pianificazione urbanistica prescindendo dagli
accordi raggiunti con il privato, questi ha diritto al
risarcimento dei danni che, sebbene non commisurabili alle
utilità (cd. tantundem) che egli si poteva aspettare da una
puntuale esecuzione della convenzione (vd. Cass., sez. un.,
n. 2669/1993 e n. 17922/2012 cit.), comprendono il costo

7
7?

delle opere di urbanizzazione (inutilmente) eseguite in
forza della medesima convenzione inadempiuta, in quanto
funzionalmente collegate alla programmata edificabilità
dell’area, come effetto ripristinatorio della situazione

22

antecedente alla conclusione del contratto, stante la
regola della retroattività della risoluzione.
5.

In conseguenza dell’accoglimento dei motivi che

precedono, restano assorbiti i motivi settimo (proposto in
via subordinata) e ottavo (per violazione degli artt. 1362,

1363 e 1353 c.c. e vizio di motivazione), entrambi
concernenti l’interpretazione della convenzione del 1966.
6.- Il nono motivo imputa alla sentenza in esame violazione
di legge e contraddittorietà della motivazione per avere
implicitamente ritenuto che il nesso di causalità tra il
comportamento dell’Amministrazione comunale e il danno
lamentato fosse stato interrotto soltanto per le opere di
urbanizzazione rimaste alla società e non per quelle
acquisite dal Comune. La predetta diversità di trattamento
è stata spiegata dalla corte di appello e dallo stesso
Comune di Inverigo in ragione del fatto che le prime
costituivano spese inutilmente sostenute che dovevano
rimanere a carico di chi le aveva arbitrariamente
sostenute, mentre le seconde, una volta risolta la
convenzione, risultavano effettuate senza causa e, non
potendo essere restituite in natura perché destinate a fini
pubblici, il Comune aveva l’obbligo di corrisponderne
l’equivalente pecuniario.
La fondatezza del motivo in esame è conseguenza
dell’accoglimento del quarto, quinto e sesto motivo.
L’argomentazione della corte del merito, se è idonea a
23

spiegare perché il Comune è tenuto a corrispondere il
dovuto per le opere irreversibilmente trasformate e da esso
acquisite (circostanza incontroversa), non è altrettanto
idonea a spiegare perché l’onere delle opere di
urbanizzazione debba restare integralmente a carico della

società che le ha eseguite in forza di una convenzione
risolta per accertato inadempimento del Comune, trattandosi
in entrambi i casi di conseguenze dannose del medesimo
illecito contrattuale.
7.- Il decimo motivo (per violazione degli artt. 100 e 329
c.p.c. e vizio di motivazione) assume che il Comune di
Inverigo, avendo prestato acquiescenza alla sentenza del
tribunale in relazione all’accertamento relativo alle opere
trasferitegli (per le quali era stata accolta la domanda di
pagamento dell’equivalente pecuniario), avrebbe prestato
implicita acquiescenza all’accertamento concernente le
opere rimaste nel patrimonio della società, con conseguente
difetto di interesse a proporre appello.
Il motivo è infondato. Trattandosi di domande aventi
oggetti diversi, non sussiste la dedotta incompatibilità
logico-giuridica tra l’acquiescenza al capo di sentenza che
aveva accolto la prima domanda della società e
l’impugnazione del capo che aveva accolto la seconda
domanda.
8.- L’undicesimo motivo (per violazione degli artt. 1362 e

1363 c.c. e vizio di motivazione) ha ad oggetto il criterio
24

di determinazione del danno risarcibile (secondo i giudici
di merito, in linea con le indicazioni espresse dalla
sentenza delle Sezioni Unite n. 2669 del 1993, il danno
risarcibile conseguente alla pronunciata risoluzione non
potrebbe essere equivalente al

tantundem

delle utilità

edificatorie che sarebbero derivate dall’integrale
attuazione della convenzione del 1966).
Il motivo è inammissibile poiché prescinde dalla

ratio

della sentenza impugnata (che concerne il nesso di
casualità) e riguarda il tema della concreta liquidazione
del danno che sarà trattato nel giudizio di rinvio.
9.- Nel dodicesimo motivo (per violazione dell’art. 1223
c.c. e vizio di motivazione) la società censura la sentenza
impugnata nella parte in cui, sulle voci di danno
riconosciute alla società, ha adottato come coefficiente di
rivalutazione monetaria l’indice Istat delle variazioni del
costo della vita, anziché – come da essa chiesto
nell’appello incidentale – il diverso indice dei costi di
costruzione delle opere edili.
Il motivo è infondato. La scelta del criterio di
rivalutazione monetaria da applicare, ai fini del
risarcimento del danno da fatto illecito contrattuale o
extracontrattuale, è rimessa all’apprezzamento
discrezionale del giudice del merito, il quale può
avvalersi – e nella specie si è avvalso – del riferimento
agli indici Istat del costo della vita (tra le tante Cass.
25

.

n. 3046/1995) che la corte ha motivatamente giudicato
congruo, ritenendo trattarsi di indici di generale
applicazione e parametrati ad “una complessa pluralità di
referenti economici”, anche tenuto conto che la società non
aveva dimostrato di avere subito un danno in misura

superiore.
10.- Nel tredicesimo motivo (per violazione dell’art. 1223
c.c. e vizio di motivazione) è censurato il capo della
decisione riguardante il valore delle aree utilizzate per
la costruzione della scuola e della variante viaria
Inverigo-Carpanea, stimate secondo il criterio del valore
.-

agricolo riferito alle procedure di espropriazione.
Il motivo è infondato, avendo la corte, con una valutazione
di merito incensurabile in questa sede, ritenuto che
mancasse un mercato cui attingere dati informativi sui
prezzi in concreto applicati e che il criterio utilizzato
del valore agricolo non fosse formale o svincolato dalla
realtà, trattandosi invece di un “dato rilevato in sede
tecnica e differenziato convenientemente in base al tipo di
coltura e di terreno”.
11.- In conclusione, in accoglimento del secondo, quarto,
quinto, sesto e nono motivo del ricorso principale, la
sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte di
appello di Milano che, in diversa composizione, dovrà
riesaminare la controversia, facendo applicazione del

I

i

26

principio sopra espresso (in particolare al p. 4.5), e
liquidare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale
limitatamente al secondo, quarto, quinto, sesto e nono

settimo e l’ottavo, rigettati gli altri motivi e il ricorso
incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla
Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui
demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di
cassazione.
Roma, 5 novembre 2013.

motivo, dichiara inammissibile l’undicesimo e assorbiti il

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