Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3638 del 14/02/2018

Cassazione civile, sez. I, 14/02/2018, (ud. 23/06/2017, dep.14/02/2018),  n. 3638

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 2 aprile 2015, il Tribunale di Salerno dispose, sulla base di un accordo intervenuto tra le parti all’udienza del 12 marzo 2015 ed a parziale modifica di un precedente accordo stipulato il (OMISSIS) 2009, l’affidamento condiviso della minore L.D., nata da una relazione more uxorio tra L.A. e A.G., con collocazione presso entrambi i genitori e determinazione dei tempi e delle modalità di permanenza presso ciascuno di essi, stabilendo che le parti avrebbero provveduto direttamente alle spese necessarie per il mantenimento della figlia.

2. Il reclamo proposto dalla A. è stato parzialmente accolto dalla Corte d’Appello di Salerno, che con decreto del 10 dicembre 2015 ha escluso la facoltà del L. di provvedere direttamente al mantenimento, ha posto a suo carico un assegno mensile di Euro 400,00, con decorrenza dal mese di dicembre 2015, oltre al 50% delle spese straordinarie necessarie per la minore, ed ha rimesso alle parti l’adeguamento degli accordi sulla base di quanto esposto in motivazione.

Premesso che la piccola D. era nata il (OMISSIS) da una relazione interrottasi nel mese di maggio 2009, e dato atto che il L., già divorziato e padre di due figli per il cui mantenimento corrispondeva un assegno mensile di Euro 1.300,00, intratteneva una relazione con un’altra donna, a volte chiamata a sostituirlo nella cura della figlia, mentre la A. aveva a sua volta contratto matrimonio, la Corte ha rilevato che entrambe le parti esercitavano libere professioni, aggiungendo che l’uomo era titolare di un reddito superiore a quello della donna, ma non eccessivamente discosto dallo stesso. Precisato inoltre che le parti avevano dimostrato interesse per la cura della figlia, i cui spostamenti tra la residenza paterna e quella materna, situate rispettivamente in (OMISSIS) e (OMISSIS), avevano ricadute negative in termini di stanchezza e frequentazioni sociali, ha affermato che la molteplicità degl’impegni lavorativi comportava una notevole limitazione del loro tempo libero personale. Ha ritenuto pertanto necessario preservare il diritto della minore di godere stabilmente di un proprio domicilio abituale, nonchè individuare precisi periodi ed ore in cui il padre avrebbe potuto averla con sè, rimettendone alle parti la pratica attuazione, anche in considerazione dell’età della minore, che suggeriva la prevalente condivisione della convivenza con la madre.

3. Avverso il predetto decreto il L. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi. La A. ed il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Salerno non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la nullità del procedimento e del decreto impugnato, per violazione e la falsa applicazione degli artt. 70,71,72,101,331 e 350 cod. proc. civ., osservando che il reclamo non è stato notificato al Pubblico Ministero presso il Tribunale, nei confronti del quale non è stata neppure disposta l’integrazione del contraddittorio, e gli atti non sono stati comunicati al Procuratore generale, il quale non è stato posto pertanto in condizione di esercitare i poteri attribuitigli dalla legge.

1.1. Il motivo è fondato.

La natura processuale del vizio lamentato consente di procedere all’esame diretto degli atti di causa, dal quale si evince che, tanto in primo grado quanto in appello, il procedimento si è svolto senza la partecipazione del Pubblico Ministero, nei confronti del quale non si è provveduto nè alla notificazione del ricorso introduttivo e del reclamo, nè alla comunicazione degli atti, in modo da consentirgli di intervenire in camera di consiglio o di rassegnare le proprie conclusioni per iscritto.

Com’è noto, le cause tra genitori non coniugati aventi ad oggetto provvedimenti relativi ai figli non rientravano originariamente tra quelle per le quali l’art. 70 cod. proc. civ. prevedeva l’intervento obbligatorio del Pubblico Ministero, prescritto invece per l’adozione dei provvedimenti riguardanti i figli legittimi sia in sede di separazione, ai sensi dell’art. 710 cod. proc. civ., nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 416 del 1992, sia in sede di divorzio, ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 13. Tale lacuna è stata in seguito colmata dall’intervento della Corte costituzionale, che con sentenza n. 214 del 1996 dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 70 cit., nella parte in cui non prescriveva il predetto intervento, osservando che l’art. 30 Cost., comma 3 postula che ai figli nati fuori dal matrimonio sia assicurata tutela eguale a quella attribuita ai figli legittimi, compatibilmente con i diritti dei membri della famiglia legittima, ed escludendo nella specie la sussistenza di ragioni ostative ad una siffatta equiparazione, avuto riguardo alla funzione dell’intervento in questione, consistente nella tutela degl’interessi dei figli. L’uguaglianza della tutela assicurata ai figli nati fuori del matrimonio ha poi trovato un esplicito riconoscimento nella recente L. 10 novembre 2012, n. 219, che nel completare la parificazione delle rispettive posizioni giuridiche ha disposto, all’art. 1, comma 1, la sostituzione della parola “figli” alle espressioni “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque esse ricorrano.

Peraltro, a differenza di quanto accade per il giudizio di divorzio, nel quale il Pubblico Ministero riveste la qualità di litisconsorte necessario quando si tratti di adottare provvedimenti riguardanti i figli minori o incapaci, e può impugnare la sentenza che lo conclude, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 5, (cfr. Cass., Sez. 1, 29/10/1998, n. 10803), nel giudizio di separazione ed in quelli aventi ad oggetto i figli di genitori non coniugati il Pubblico Ministero non assume la posizione di parte necessaria, dovendo intervenire ma senza poteri d’iniziativa e non potendo impugnare la sentenza neppure per la parte concernente gl’interessi dei figli minori (cfr. Cass., Sez. 1, 13/02/2013, n. 3502; 14/05/2002, n. 6965; 10/06/1998, n. 5756). La mancata partecipazione del Pubblico Ministero non comporta dunque una lesione del contraddittorio rilevabile in ogni stato e grado del giudizio e tale da giustificare la rimessione degli atti al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., ma, essendo l’intervento prescritto pur sempre a pena di nullità, rilevabile anche d’ufficio ai sensi dell’art. 70 cod. proc. civ., la mancata effettuazione degli adempimenti necessari per portare la pendenza del giudizio a sua conoscenza si traduce in un vizio che, convertendosi in motivo di gravame, ai sensi dell’art. 161 cod. proc. civ., può essere fatto valere attraverso l’impugnazione della sentenza.

2. Nella specie, pertanto, la mancata notificazione del ricorso introduttivo e la mancata comunicazione al Pubblico Ministero non comporta la rimessione degli atti al Giudice di primo grado, ma impone, in accoglimento della censura specificamente formulata dal ricorrente, la cassazione del decreto impugnato, con il conseguente assorbimento degli altri motivi d’impugnazione, riflettenti la violazione e la falsa applicazione dell’art. 347 c.p.c., comma 3 e dell’art. 123-bis disp. att. cod. proc. civ., dell’art. 316-bis c.c., art. 337-terc.c., commi 2 e 4 e art. 2697cod. civ., dell’art. 11Cost. e art. 117Cost., comma 1, dell’art. 24 della Carta di Nizza e dello art. 8, par. 1, della CEDU, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in riferimento alla mancata acquisizione del fascicolo di primo grado ed all’omessa valutazione dell’accordo intervenuto tra le parti e dell’interesse superiore del minore, nonchè all’esclusione della facoltà di provvedere direttamente al mantenimento della figlia ed ai criteri seguiti nella determinazione dell’assegno.

3. La causa va conseguentemente rinviata alla Corte d’appello di Salerno, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso; cassa il decreto impugnato; rinvia alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di L.A., A.G. e L.D. riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2018

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