Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3636 del 24/02/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 3636 Anno 2016
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 5210-2013 proposto da:
CRAGNOTTI

ORNELLA

CRG80L52H501S,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2015
4637

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585,

in persona del

legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio

dell’avvocato

FIORILLO

LUIGI,

che

la

Data pubblicazione: 24/02/2016

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente avverso la sentenza n. 5139/2012 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 21/08/2012 r.g.n. 2342/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

VENUTI;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale
Avvocato FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udienza del 02/12/2015 dal Consigliere Dott. PIETRO

R.G. n. 5210/13
Ud. 2 dic. 2015

La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 21
agosto 2012, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva
respinto la domanda proposta da Ornella Cragnotti nei confronti di
Poste Italiane s.p.a., volta alla declaratoria di illegittimità del termine
apposto ai due contratti stipulati dalle parti, al ripristino del rapporto
e al risarcimento dei danni.
Entrambi i contratti erano stati stipulati ai sensi dell’art. 1 D.
Lgs. 368/01, per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla
specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale
addetto al servizio di recapito/smistamento e trasporto presso il Polo
Corrispondenza Lazio, assente con diritto alla conservazione del
posto, relativamente ai periodi 15 giugno 2003 – 15 settembre 2003
e 16 marzo 2004 – 31 maggio 2004.
La Corte di merito ha osservato che il contratto rispettava
tutti i presupposti richiesti per la verifica delle effettive ragioni che
avevano determinato l’assunzione a termine; che, in particolare, era
stato indicato “specificamente il personale da sostituire e, quindi, le
mansioni da affidare al contraente (sostituzione del personale
addetto al servizio smistamento e movimentazione carichi), il luogo
di svolgimento della prestazione lavorativa (il Polo Corrispondente
Lazio), il periodo di assunzione”.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre la lavoratrice sulla
base di tre motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso la
società.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando nullità della
sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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civ., lamenta che la Corte di merito non si è pronunciata sulla
censura, dedotta in appello, con la quale era stata invocata la nullità
del termine apposto ai contratti per la mancata effettuazione della
valutazione dei rischi prevista dall’art. 4 del D. Lgs. n. 626 del 1994
e successive modifiche.
Trascrive la ricorrente il motivo di appello con il quale è stata

valutazione dei rischi presso l’unità di applicazione del lavoratore
assunto a termine costituisce una condizione di validità del termine
apposto al contratto.
La società, aggiunge, non ha allegato né dimostrato di avere
ottemperato a detto adempimento, omettendo peraltro di prendere
posizione sul punto sia in primo che in secondo grado.
2. Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando nullità della
sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 115 cod. proc.
civ., ribadisce che la valutazione dei rischi presso l’unità di
applicazione del lavoratore rappresenta una condizione di validità del
termine apposto al contratto di lavoro, aggiungendo che la mancata
effettuazione della valutazione dei rischi comporta la nullità del
termine per contrarietà a norma imperativa.
3. Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e
falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, D. Lgs. n. 368 del 2001,
deduce che la sentenza impugnata è errata per avere ritenuto che la
clausola di apposizione del termine fosse specifica in ragione della
indicazione nel contratto del personale da sostituire, delle mansioni
da affidare alla lavoratrice, del luogo di svolgimento della prestazione
lavorativa, del periodo di assunzione.
Tali indicazioni, ad avviso della ricorrente, non erano idonee ad
integrare il requisito della “specificità” dovendo a tal fine essere
indicato il nome del lavoratore da sostituire, come affermato peraltro
dalla Corte Costituzionale con la sentenza interpretativa di rigetto n.
214/09, secondo cui l’attuale normativa deve essere interpretata nel
senso che in caso di assunzioni per necessità sostitutive, nel
contratto devono essere indicati sia il nome del lavoratore o dei
lavoratori da sostituire sia la causa della sostituzione.

dedotta detta censura, rilevando che l’obbligo di effettuare la

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4. Deve innanzitutto essere respinta l’eccezione, proposta dalla
controricorrente, secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile per
avere violato l’art. 366, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., che impone
l’esposizione sommaria dei fatti di causa.
Il ricorso contiene infatti l’esposizione dei fatti sostanziali e
processuali che hanno preceduto il presente giudizio di legittimità,

processuali, esposizione che è funzionale alla piena comprensione e
valutazione delle censure, le quali indicano con specificità e
completezza quali siano i vizi da cui si assume essere affetta la
sentenza impugnata.
5. I primi due motivi del ricorso, che in ragione della loro
connessione vanno trattati congiuntamente, sono fondati.
La sentenza impugnata non prende in esame la questione
proposta dalla lavoratrice in primo grado e reiterata in appello,
relativa alla dedotta violazione dell’art. 4 D. Lgs. n. 626 del 1994 e
successive modifiche, che impone al datore di lavoro, in relazione
alla natura dell’attività dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, di
effettuare la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei
lavoratori.
La ricorrente censura la sentenza impugnata sul punto,
indicando puntualmente, con i due motivi in esame, gli atti
processuali in cui era stata proposta, peraltro trascritti nello stesso
ricorso.
Trattasi di censura avente il carattere della decisività, atteso
che il D. Lgs. n. 368 del 2001, art. 3, stabilisce che l’apposizione di
un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è
ammessa, tra l’altro, “da parte delle imprese che non abbiano
effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del D. Lgs. 19 settembre
1994, n. 626, art. 4, e successive modificazioni”.
L’omesso esame della censura comporta raccoglimento dei
motivi in questione e la conseguente cassazione della sentenza
impugnata, dovendosi aggiungere che incombe sul datore di lavoro
che intenda sottrarsi alle conseguenze della violazione della indicata
disposizione, l’onere di provare di aver assolto specificamente

ancorchè accompagnata dalla trascrizione dei relativi atti

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all’adempimento secondo quanto richiesto dalla normativa (cfr., sul
punto, Cass. n. 5241/12).
6. Il terzo motivo è infondato.
La Corte di merito ha respinto la censura relativa alla mancata
specificazione del nominativo o dei nominativi dei dipendenti da
sostituire, rilevando che la lettera di assunzione indicava il personale

svolgimento della prestazione lavorativa e il periodo di assunzione,
aggiungendo che tali elementi erano idonei a consentire, e
consentivano, il riscontro della effettività delle ragioni poste alla base
dell’assunzione a termine.
Così facendo, la sentenza impugnata ha applicato i principi
affermati in materia da questa Corte, secondo cui, in tema di
assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere
sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214
del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 368 del
2001, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla
finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa
dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso
del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la
sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una
funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta,
l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se
l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola
insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse
– risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito
territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le
mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla
conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il
numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati
nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della
sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (Cass.
n. 1576/10; Cass. n. 1577/10; Cass. n. 23119).
7. In conclusione, accolti i primi due motivi e respinto il terzo,
la sentenza impugnata va cassata, in relazione alle censure accolte,

da sostituire, le mansioni da affidare al lavoratore, il luogo di

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con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale provvederà anche
sulle spese del presente giudizio di legittimità.
8. Non ricorrono i presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso (art. 13, comma 1 – quater D.P.R. n. 115
del 2002).

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e rigetta il terzo;
cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e
rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Firenze in diversa
composizione.
Ai sensi all’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto
che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma in data 2 dicembre 2015.

P.Q.M.

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