Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3635 del 24/02/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 3635 Anno 2016
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 20936-2010 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015

contro

4635

RISALITI ROBERTO C.F. RSLRRT68DO5D612L, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo
studio

dell’avvocato

SERGIO

VACIRCA,

che

lo

Data pubblicazione: 24/02/2016

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO
LALLI, giusta delega in atti;
– controrícorrente –

avverso la sentenza n.

1305/2009

della CORTE

D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/10/2009 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

02/12/2015

dal Consigliere Dott. PIETRO

VENUTI;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale
Avvocato PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
in persona del Sostituto Procuratore

366/2007;

R.G. n. 20936/10
Ud. 2 dic. 2015

t

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

ottobre 2009, ha confermato la decisione di primo grado che aveva
accolto la domanda proposta da Roberto Risaliti nei confronti di Poste
Italiane S.p.A., volta alla declaratoria di nullità del termine apposto a
due contratti, alla conversione del rapporto in rapporto a tempo
indeterminato, alla riammissione in servizio e alla condanna della
società al pagamento delle retribuzioni a decorrere dalla data di
offerta delle prestazioni lavorative.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione Poste Italiane
sulla base di quattro motivi. Resiste il lavoratore con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società, denunciando violazione e
falsa applicazione degli artt. 1 D. Lgs. n. 368 del 2001, 11 e 15 delle
disposizioni sulla legge in generale e 136 Cost., censura la sentenza
impugnata per avere ritenuto che le ragioni indicate nel contratto per
giustificare l’assunzione a termine fossero prive del requisito della
specificità.
Tale assunto, ad avviso della ricorrente, è errato posto che il
requisito della specificità deve essere collegato a situazioni aziendali
non più standardizzate ma oggettive, con riferimento alle realtà
specifiche in cui il contratto viene ad essere calato. In particolare,
tale requisito, nell’ambito di una situazione complessa, può ritenersi
soddisfatto dall’enunciazione dell’esigenza di sostituire i lavoratori
assenti, integrata dall’indicazione di elementi ulteriori, quali l’ambito
territoriale di riferimento e il luogo della prestazione lavorativa, che
consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire,
ancorchè non identificati nominativamente. Né, aggiunge la

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 14

2

ricorrente, può avere alcuna incidenza nel presente giudizio
l’affermazione della Corte Costituzionale contenuta nella sentenza
interpretativa di rigetto n. 214/09 – secondo cui l’onere di
specificazione previsto dall’art. 1 D. Lgs. n. 368/01 impone, tutte le
volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare
ragioni di carattere sostitutivo, che risulti per iscritto anche il nome

sentenze interpretative di rigetto non hanno efficacia erga omnes e
non vincolano i giudici.
2. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa
applicazione di norme di diritto nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, la ricorrente deduce che la nullità della
clausola apposta al contratto non poteva giustificare la
trasformazione del rapporto in rapporto in rapporto a tempo
indeterminato.
Ed infatti, nel silenzio del D. Lgs. n. 368/01, trova applicazione
il principio generale della nullità parziale sancito dall’art. 1419 cod.
civ., con la conseguenza che, essendo incontestabile che la società
non avrebbe stipulato il contratto senza l’apposizione della clausola
contenente il termine, una volta accertata l’illegittimità della stessa
doveva essere dichiarata la nullità dell’intero contratto e non solo
della predetta clausola.
3. Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e
falsa applicazione di norme di diritto nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, deduce che la Corte di merito ha
riconosciuto alla lavoratrice le retribuzioni a decorrere dalla data di
messa in mora, nonostante non fosse stata fornita la prova dei danni
subiti; che, per il principio di corrispettività delle prestazioni, le
retribuzioni erano dovute solo dalla effettiva ripresa del servizio; che
l’offerta della prestazione lavorativa non poteva essere identificata
con la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione.
4. Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione e
falsa applicazione degli artt. 210 e 421 cod. proc. civ. nonché nullità
della sentenza e/o del procedimento deduce che erroneamente la
Corte di merito ha respinto l’eccezione di aliunde perceptum. Al
riguardo era stata formulata istanza di esibizione del libretto di

del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione – poiché le

i

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lavoro e delle busta paga del lavoratore al fine di accertare le
eventuali retribuzioni dal medesimo percepite dopo la conclusione del
rapporto, ma sul punto la Corte ha omesso “qualsivoglia decisione”.
5. Il primo motivo non è fondato.
La Corte di merito, premesso che, a norma dell’art. 1 D. Lgs.
n. 368/01, l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta,

specificate le ragioni a sostegno dell’assunzione, ha ritenuto che tali
ragioni fossero nella specie prive del requisito di specificità perché
non era stata assicurata la trasparenza e la veridicità della causa
dell’apposizione del termine, elementi questi che presuppongono
l’indicazione del lavoratore sostituito, della causa della sostituzione e
del periodo.
Ha aggiunto che tale onere non era stato assolto dalla società
“e non poteva esserlo in carenza di una specificazione della causale
negoziale che, ovviamente, deve costituire un prius imprescindibile
formale”.
Inoltre non era stata dimostrata “l’esistenza di un preciso
nesso causale tra assunzione e mansioni”.
La ricorrente contesta tali assunti e, richiamando la
giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1576/10 e Cass. n.
1577/10), deduce che il requisito della specificità deve essere
collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma oggettive,
con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad
essere calato, e che tale requisito, nell’ambito di una situazione
complessa, può ritenersi soddisfatto dall’enunciazione dell’esigenza di
sostituire i lavoratori assenti, integrata dall’indicazione di elementi
ulteriori che consentano di determinare il numero dei lavoratori da
sostituire, ancorchè non identificati nominativamente.
Tali elementi ulteriori sono costituiti, secondo la citata
giurisprudenza, dall’ambito territoriale di riferimento, dal luogo della
prestazione lavorativa, dalle mansioni dei lavoratori da sostituire, dal
diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro.
Nella specie, la ricorrente non trascrive puntualmente le
ragioni che hanno dato luogo all’assunzione, limitandosi ad affermare
nel ricorso (pag. 2) che “Entrambi i contratti sono stati stipulati ai

direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono

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.

,

sensi dell’art. 1 dlgs 368/01 per ragioni di carattere sostitutivo
correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione di
personale inquadrato nell’Area Operativa e addetto al servizio si
recapito/smistamento e trasporto(…..)”,

senza alcuna altra

specificazione.
La mancata, specifica indicazione di dette ragioni, che

non consente a questa Corte di verificare la sussistenza degli
“ulteriori elementi” sopra indicati, idonei ad integrare l’enunciazione
dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti, “da sola insufficiente ad
assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse” (cfr. Cass. n.

1576/10 e n. 1577/10 cit.).
Nè la ricorrente produce, unitamente al ricorso, la lettera di
assunzione (art. 369, comma 2, n. 4 cod. proc. civ.).
Di conseguenza il motivo deve essere respinto.
6. Anche il secondo motivo è privo di fondamento.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l’art. 1 del
D. Lgs. n. 368 del 2001, anche anteriormente alla modifica introdotta
dall’art. 39 della legge n. 247 del 2007, ha confermato il principio
generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente
a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine
un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della
previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del
termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo”. Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni
giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni
espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi
generali in materia di nullità parziale del contratto e di
eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonché alla stregua
dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato
dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato
decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto
di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n.
283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola
di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla

nemmeno risultano puntualmente indicate nella sentenza impugnata,

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sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato (cfr., per tutte, Cass. n. 12985/08; Cass. n. 7244/14).
9. Il terzo motivo è inammissibile.
La Corte di merito, nell’accogliere la domanda della
lavoratrice, ha affermato che la illegittimità del termine apposto al
contratto comportava, sin dalla stipula dello stesso, la sua

conversione, ha aggiunto, la lavoratrice aveva diritto al ripristino del
rapporto e al pagamento delle retribuzioni, ma ciò solo dal momento
in cui aveva offerto al datore di lavoro le proprie prestazioni
lavorative, e cioè dalla data di messa in mora costituita dal tentativo
obbligatorio di conciliazione.
La ricorrente contesta tali affermazioni, invocando il principio
della “corrispettività delle prestazioni” e la mancata prova dei danni.
Ma, la censura non appare correlata alle ragioni della decisione,
avendo la Corte spiegato, applicando i principi affermati in materia
da questa Corte (cfr. Cass. n. 15515/09; Cass. n.15612/11), che il
diritto alle retribuzioni spetta dal momento dell’offerta della
prestazione lavorativa e non già dall’effettivo ripristino del rapporto,
determinandosi da tale momento una situazione di mora accipiendi
del datore di lavoro, da cui deriva il diritto del lavoratore al
risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni perdute a
causa dell’ingiustificato rifiuto della prestazione.
Inammissibile è altresì il motivo in esame, laddove si sostiene
che il tentativo obbligatorio di conciliazione non poteva considerarsi
quale offerta delle prestazioni lavorative, non avendo la ricorrente, in
violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione,
dimostrato tale circostanza, limitandosi ad una mera affermazione di
segno diverso rispetto a quella contenuta nella sentenza impugnata.
10. Anche il quarto motivo è inammissibile.
La Corte di merito, contrariamente a quanto assume la
ricorrente, non ha ignorato la richiesta di esibizione proposta dalla
medesima al fine di accertare l’aliunde perceptum, ma ha respinto
tale richiesta, rilevando che non poteva “darsi corso ad attività
istruttorie di tipo esplorativo, come è l’istanza ex art. 210 cpc quando
resta generico l’oggetto dell’esibizione”.

trasformazione in rapporto a tempo indeterminato. Per effetto di tale

6

e

11.

Risultando

inammissibili

i

motivi

riguardanti

le

conseguenze economiche, non può trovare applicazione nel presente
giudizio lo ius superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010,
n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.
Al riguardo, come più volte affermato da questa Corte, per
poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che

rapporto controverso, è necessario non solo che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui
perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass.
17974/11; Cass. 9583/11 cit; Cass. 10547/06; Cass. 4070/04), ma
anche che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il
tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, sia ammissibile secondo
la disciplina sua propria (v., fra le altre, Cass. 80/11; Cass. 9583/11;
Cass. 17974/11 cit.).
Non ricorrendo nella specie tale ultima condizione, la
normativa sopravvenuta non è applicabile.
12. In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in
dispositivo, con distrazione a favore dei difensori del resistente
dichiaratisi a ntistatari .

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, che liquida in C 100,00 per esborsi ed C
3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, con
distrazione a favore degli Avv.ti Sergio Vacirca e Claudio Lalli,
difensori del resistente.

2046.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 dicembre
IL

IDENTE

abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del

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