Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3633 del 14/02/2011

Cassazione civile sez. II, 14/02/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 14/02/2011), n.3633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.G. e T.F., rappresentati e difesi, in forza di

procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. TITOMANLIO

Federico, elettivamente domiciliati nel suo studio in Roma, Via

Terenzio, n. 7;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI ANCONA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e

difeso, in forza di procura speciale a margine del controricorso,

dall’Avv. FABIANI Maurizio, elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avv. Elio Vitale in Roma, viale Mazzini, n. 6;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona in data 17 giugno 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3

dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito l’Avv. Maurizio Fabiani;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso: “concorda con la

relazione”.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, pronunciando in sede di opposizione alla liquidazione del compenso, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, il Tribunale di Ancona, con ordinanza in data 17 giugno 2009, accogliendo l’opposizione del Comune di Ancona, ha liquidato al collegio dei c.t.u. composto dall’ing. C.G. e dal geom.

T.F. l’onorario base di euro 9.851,73, riformando il provvedimento del giudice istruttore che aveva liquidato in favore di detti professionisti l’importo di Euro 86.854,65;

che per la cassazione della ordinanza resa in sede di opposizione il C. ed il T. hanno proposto ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost., con atto notificato l’8 febbraio 2010, sulla base di tre motivi;

che l’intimato Comune di Ancona ha resistito con controricorso.

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 6 agosto 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: “Il primo motivo denuncia violazione della L. 8 luglio 1980, n. 319, art. 11, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

Anche il secondo motivo censura violazione della L. 8 luglio 1980, n. 319, art. 11, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

Il terzo mezzo è rubricato violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 352 del 1988, art. 11 e del successivo decreto ministeriale 30 maggio 2002, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

Tutti i motivi sono inammissibili, perchè, in violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile, nessuno di essi si conclude con la formulazione del prescritto quesito di diritto.

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”.

Lette le memoria dei ricorrenti e del controricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., non essendo meritevoli di accoglimento le critiche ad essa rivolte dai ricorrenti con la memoria depositata in prossimità della Camera di consiglio;

che va innanzitutto precisato che – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Cass., Sez. 3^, 21 settembre 2007, n. 19487; Cass., Sez. 2^, 27 giugno 2008, n. 17683) – l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, il quale prescrive che ogni motivo di ricorso si concluda con la formulazione di un esplicito quesito di diritto, si applica anche al ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., giacchè questo è assoggettato, per quanto riguarda le forme, i termini e le condizioni di ammissibilità dell’impugnazione, alla disciplina della legge processuale civile stabilita per il ricorso ordinario per cassazione;

che detta, applicazione manifestamente non contrasta con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., atteso che la finalità nomofilattica sottesa all’introduzione del quesito di diritto – la quale risponde all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione istituzionalmente devoluta alla Corte di cassazione – è rinvenibile anche là dove il ricorso si rivolga contro un provvedimento decisorio dotato del carattere della definitività, sicchè è ragionevole, e al contempo conforme al principio di parità di trattamento e di giusto processo, che la legge, nella interpretazione risultante dal diritto vivente, abbia fissato regole uniformi concernenti la formulazione delle censure che con il ricorso, sia esso ordinario o straordinario, vengono veicolate;

che, diversamente da quanto sembrano presupporre i ricorrenti nella loro memoria illustrativa, il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass., Sez. 1^, 26 ottobre 2009, n. 22578; Cass., Sez. 3^, 24 marzo 2010, n. 7119);

che la sollevata questione di legittimità costituzionale della persistente applicabilità dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., è manifestamente infondata, in quanto rientra nella discrezionalità del legislatore disciplinare nel tempo l’applicabilità delle disposizioni processuali e non appare irragionevole nè contrastante con il diritto di difesa il mantenimento della pregressa disciplina per i ricorsi per cassazione promossi avverso provvedimenti pubblicati prima dell’entrata in vigore della novella (Cass., Sez. lav., 16 dicembre 2009, n. 26364);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dal Comune controricorrente, che liquida in complessi Euro 2.700,00 di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2011

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