Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3633 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 13/02/2020), n.3633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27043-2015 proposto da:

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DELLA CROCE ROSSA 1, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA

CARINO, rappresentata e difesa dall’avvocato BRUNA BARRECA;

– ricorrente –

e contro

P.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2301/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/05/2015, R. G. N. 3694/2013.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha condannato Trenitalia s.p.a. a corrispondere a P.M. la somma di Euro 293,35, oltre interessi legali sulla somma annualmente rivalutata, così quantificata la somma dovuta a titolo di E.D.R. prevista dall’accordo aziendale dell’8 novembre 1995 da includere sull’assegno personale pensionabile di cui all’art. 82 del c.c.n.l. 1998/1999, come accertato con sentenza n. 597 del 2011 resa tra le parti dalla stessa Corte di appello e passata in giudicato.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che tale giudicato sull’an debeatur condizioni il successivo giudizio sul quantum anche nell’ipotesi in cui si tratti di domande non proposte contestualmente atteso che coincidono le premesse di fatto e di diritto di entrambi i giudizi.

3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso Trenitalia s.p.a. articolando quattro motivi. P.M. non ha opposto difese rimanendo intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 434 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e. Sostiene la società ricorrente che la Corte territoriale avrebbe trascurato di esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 434 c.p.c., nel testo novellato, formulata nella memoria di costituzione che, attenendosi all’interpretazione data dalla Cassazione alla disposizione denunciata, avrebbe invece dovuto essere accolta.

5. La censura è in parte infondata ed in parte inammissibile.

5.1. Non è ravvisabile la denunciata violazione della disposizione in relazione all’art. 360, n. 4 ove si consideri che la Corte di appello, come riferisce anche l’odierna ricorrente, seppure con motivazione essenziale, ha ritenuto ammissibile il gravame così pronunciando sull’eccezione di inammissibilità formulata.

5.2. Peraltro, anche ove non si fosse affatto pronunciata su tale eccezione preliminare, comunque non sarebbe ravvisabile la violazione denunciata atteso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata, come nella specie, comporti una statuizione implicita di rigetto (cfr. Cass. nn. 29191 del 2017 e 20718 del 2018. Recentemente v. anche Cass. n. 23583 del 2019).

5.3. Con riguardo poi alla pretesa violazione di legge si osserva che, per tale aspetto, la censura è inammissibile. La società ricorrente trascura di riprodurre il contenuto delle censure di appello, che si assumono essere generiche e perciò inammissibili, restando così preclusa al Collegio la possibilità di apprezzare, ex actis, la fondatezza della doglianza. Ed infatti l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Corte ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti. (cfr. Cass. del 25/09/2019 n. 23834, 08/06/2016n. 11738).

6. Con il secondo motivo di ricorso la società deduce che la sentenza sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c.. Sostiene la ricorrente che il giudicato formatosi sulla sentenza che ha accertato l’an debeatur non avrebbe precluso l’accertamento della inclusione di una determinata voce retributiva nella base di calcolo di un diverso istituto, cosa diversa rispetto all’accertamento della sussistenza in concreto del diritto ad un aumento retributivo che postula un procedimento contabile nell’ambito del quale viene in rilievo la questione del riassorbimento dell’e.d.r. che include poste positive ma anche le dovute sottrazioni.

7. Anche tale censura è inammissibile atteso che la ricorrente ha, ancora una volta, trascurato di riprodurre il contenuto della sentenza passata in giudicato ed ha così impedito alla Corte l’apprezzamento della fondatezza dell’errata interpretazione del giudicato denunciata.

8. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, con i quali è denunciata la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per avere la Corte di merito trascurato di procedere alla lettura sollecitata delle disposizioni collettive applicabili (gli artt. 73, 80, 82 del CCNL 6 febbraio 1998 e dell’accordo 8 novembre 1995 sull’EDR in relazione all’accordo sindacale del 6 febbraio 1998 istitutivo della 14 sull’EDR) e di considerare, per l’effetto, che i conteggi allegati al ricorso erano stati contestati dalla Società ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. violato norme di diritto ed accordi e contratti collettivi nazionali sono in parte inammissibili e comunque infondati.

8.1. Inammissibile laddove deduce l’omesso esame di un fatto decisivo ma nella sostanza denuncia una mancata interpretazione delle disposizioni collettive richiamate. Infondato ove si consideri che la Corte di merito, una volta ritenuto che sull’an debeatur si era formato il giudicato, ha conseguentemente ritenuto assorbita la censura con la quale si contestava ancora una volta la spettanza del compenso.

8.2. Quanto alla dedotta avvenuta contestazione dei conteggi anche in appello il motivo è del pari infondato atteso che la Corte territoriale ha escluso che la società li avesse contestati e tanto risulta confermato dalla lettura della censura formulata nel presente ricorso nella quale si dà atto del fatto che, più che di una contestazione della somma, ciò che si afferma è che nulla era dovuto al lavoratore a tale titolo proprio perchè non spettava il compenso.

9. In conclusione per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato. Non occorre provvedere sulle spese atteso che P.M. è rimasto intimato. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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