Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3633 del 12/02/2021

Cassazione civile sez. I, 12/02/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 12/02/2021), n.3633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17407/2019 R.G. proposto da:

U.F.O., rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Rosa

Oddone, con domicilio in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 161/19,

depositata il 25 gennaio 2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 7 ottobre

2020 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

RILEVATO

che U.F.O., cittadino della (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 25 gennaio 2019, con cui la Corte d’appello di Torino ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 31 gennaio 2018 dal Tribunale di Torino, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che dalla sentenza impugnata non emergono valutazioni critiche in ordine alle censure proposte con l’atto di appello, ma semplici enunciazioni di conferma dell’ordinanza di primo grado, contrastanti con l’attenuazione dell’onere della prova e il beneficio del dubbio operanti nella materia in esame;

che in particolare, nel valutare la vicenda personale allegata a sostegno della domanda, la Corte d’appello non ha tenuto conto della complessità della società africana, non valutabile secondo criteri propri di società evolute, avendo attribuito rilevanza a elementi che un accurato approfondimento di luoghi e circostanze avrebbe consentito di superare, e non avendo preso in considerazione le condizioni di arretratezza e le abitudini di vita della popolazione nigeriana;

che il motivo è inammissibile, in quanto, nel lamentare il mancato esame dei motivi di appello, il ricorrente si limita ad evidenziare la genericità della motivazione della sentenza impugnata, recante a suo dire la mera conferma della decisione di primo grado, astenendosi dal fornire la dimostrazione del proprio assunto mediante l’indicazione del contenuto delle censure mosse a quest’ultima e la trascrizione almeno dei passi salienti dell’atto di appello, nonchè mediante la specificazione dei punti in ordine ai quali ritiene che la sentenza impugnata abbia contravvenuto ai principi richiamati;

che tale modalità di articolazione delle censure si pone in contrasto con i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla sentenza impugnata che devono contraddistinguere i motivi del ricorso per cassazione, quale mezzo d’impugnazione a critica vincolata, i quali esigono che il ricorrente individui le affermazioni in diritto che ritiene in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla dottrina, spiegando il modo in cui, a suo avviso, il giudice di merito se ne è discostato (cfr. Cass., Sez. Un., 28/10/2020, n. 23745; Cass., Sez. I, 5/08/2020, n. 16700; Cass., Sez. VI, 24/02/2020, n. 4905);

che, nel dolersi dell’omesso approfondimento della situazione esistente nel suo Paese di origine, il ricorrente fa inoltre riferimento ad aspetti non riconducibili al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in quanto non riflettenti uno stato di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato interno o internazionale, ma condizioni di arretratezza, la cui rilevanza, ai fini della valutazione della vicenda personale allegata a sostegno della domanda, non risulta neppure precisata;

che la deduzione del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 2, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, richiede invece l’individuazione di un fatto storico, che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e sia stato trascurato dalla sentenza impugnata, idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, in relazione alla fattispecie prospettata ed alle norme di diritto invocate (cfr. Cass., Sez. VI, 4/10/2017, n. 23238; Cass., Sez. I, 8/09/2016, n. 17761);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata ha omesso di valutare la situazione di estrema vulnerabilità in cui versa esso ricorrente a causa dei contrasti insorti con la comunità locale per motivi legati alla proprietà dei suoi beni, essendosi limitata a richiamare informazioni desunte da siti internet, senza consultare materiale informativo cartaceo agevolmente reperibile;

che, nel dare atto dell’abrogazione dell’istituto della protezione umanitaria ad opera del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, la sentenza impugnata non ha considerato che la nuova disciplina non trova applicazione alle domande di protezione internazionale presentate in data anteriore alla sua entrata in vigore;

che il motivo è inammissibile;

che, nel censurare l’accertamento compiuto dalla sentenza impugnata in ordine alla sussistenza di una condizione di vulnerabilità personale idonea a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, il ricorrente si limita infatti ad insistere sulla vicenda personale allegata a sostegno della domanda, la cui credibilità è stata esclusa dalla sentenza impugnata, con apprezzamento non validamente censurato in questa sede, nonchè ad affermare l’insufficienza delle informazioni utilizzate dalla Corte territoriale, senza specificare la fonte ed il contenuto del materiale informativo di cui lamenta l’omessa acquisizione;

che, in tema di protezione internazionale, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che, ove intenda censurare l’apprezzamento compiuto dal giudice di merito sulla base di informazioni desunte dalle fonti di cui del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, il ricorrente ha l’onere di dimostrare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla base delle quali è stata assunta la decisione, in violazione del dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate oppure dovevano considerarsi non più attuali, in quanto superate da altre più aggiornate e decisive anch’esse fornite da fonti qualificate (cfr. Cass., Sez. I, 20/10/ 2020, n. 22769; 18/02/2020, n. 4037);

che, nell’escludere la fondatezza della domanda anche alla stregua della disciplina introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, la Corte territoriale ha precisato di averla richiamata soltanto “per completezza”, avendo precedentemente ritenuto insussistenti i presupposti richiesti dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dal D.L. n. 113 cit., ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

che, in quanto svolta ad abundantiam, la predetta affermazione deve ritenersi estranea alla ratio della sentenza impugnata, e quindi non censurabile in questa sede, non avendo spiegato alcuna incidenza sulla decisione adottata, e risultando pertanto priva di effetti giuridici, con la conseguenza che il ricorrente non aveva l’onere nè l’interesse ad impugnarla (cfr. Cass., Sez. I, 10/04/2018, n. 8755; Cass., Sez. lav., 22/10/2014, n. 22380; 22/ 11/2010, n. 23635);

che il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021

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