Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3632 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/02/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 13/02/2020), n.3632

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16349-2014 proposto da:

B.G.F. LEGATORIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO

69, presso lo studio degli avvocati PAOLO BOER e GIUSEPPE SAIA, che

la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

– I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati RAFFAELA FABBRI e

LORELLA FRASCONA’, che lo rappresentano e difendono;

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, ESTER ADA SCIPLINO, LELIO

MARITATO;

– controricorrenti –

contro

EQUITALIA NORD S.P.A., (già ESATRI S.P.A.);

– intimata –

avverso la sentenza n. 234/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/06/2013 R.G.N. 218/2009.

Fatto

RILEVATO

che:

1. B.G.F. Legatoria srl proponeva opposizione avverso due cartelle esattoriali, aventi ad oggetto la prima il pagamento di contributi previdenziali relativi al periodo dal gennaio 2002 al maggio 2006 e relativi oneri accessori dovuti all’INPS per il complessivo importo di Euro 849.866,34, la seconda il pagamento di premi INAIL relativi ai medesimi periodi e somme aggiuntive per il complessivo importo di Euro 23.790,01. La pretesa per contributi e premi traeva origine da accertamenti ispettivi posti in essere nei confronti della società appellante da ispettori dell’INPS, dell’INAIL e della DPL di Milano, che avevano ritenuto non genuini i contratti d’appalto intercorsi tra la società, esercente attività di legatoria per conto di editori di libri e riviste, e diverse cooperative e società per far a fronte a commesse urgenti e a picchi di richieste.

2. Il primo giudice, richiamata la disciplina normativa in materia di contratto di appalto e di somministrazione di manodopera e l’evoluzione della giurisprudenza in materia, aveva ritenuto che nel caso di specie tra B.G.F. Legatoria srl e le cooperative e società sopraindicate che si erano succedute nel tempo non potessero configurarsi genuini contratti di appalto ed in proposito aveva evidenziato che dalle risultanze dei verbali ispettivi e dalle deposizioni dei testi escussi nel corso dell’istruttoria era chiaramente emerso che dette società non disponevano di alcuna organizzazione di mezzi idonei al raggiungimento del risultato.

3. La Corte d’appello riteneva che la decisione del primo giudice fosse fondata su una condivisibile valutazione delle prove orali e documentali raccolte nel corso dell’istruttoria e delle risultanze dei verbali ispettivi e della documentazione agli stessi allegata, che avevano trovato riscontro nelle deposizioni della maggior parte dei testi escussi. Riteneva che tali risultanze deponessero per la ricorrenza della contestata ipotesi di somministrazione illecita di manodopera, non potendo configurarsi tra B.G.F. Legatoria srl e le società formalmente datrici di lavoro dei dipendenti impiegati alcun lecito contratto di appalto. Valorizzava la circostanza che il potere di organizzazione, direzione e controllo del personale formalmente assunto dalle cooperative e società esterne ed operante presso la B.G.F. Legatoria srl fosse esercitato da addetti della società utilizzatrice e non da rappresentanti delle società esterne, che anzi, secondo quando constatato dagli ispettori, costituivano delle mere scatole vuote prive di un’effettiva struttura organizzativa. La società appellante neppure aveva prodotto in giudizio alcuno dei contratti di appalto che la stessa asseriva di avere stipulato con le diverse società che si erano via via succedute nel tempo al fine di provarne l’effettiva esistenza, mentre il generico riferimento a “prestazioni effettuate per vostro ordine” contenuto nelle fatture rilasciate dalla B.G.F. Legatoria srl alle predette società non appariva in alcun modo riferibile all’oggetto di un lecito contratto di appalto. A fronte delle risultanze istruttorie doveva ritenersi quindi provato l’impiego da parte di B.G.F. Legatoria srl di personale per lavori svolti all’interno dell’azienda in contrasto con il disposto della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 con conseguente fondatezza della pretesa contributiva di INPS e per premi INAIL. Aggiungeva in motivazione che era invece fondata la doglianza di parte appellante relativa al mancato riconoscimento nel dispositivo della sentenza impugnata dell’efficacia satisfattiva del pregresso versamento di contributi da parte dei datori di lavoro apparenti e in particolare di quelli corrisposti dalla CDP s.r.l. e, in accoglimento del detto motivo di appello, dichiarava non dovuta la somma complessiva di 137.184,52, di cui Euro 86.719,00 a titolo di contributi e il residuo a titolo di somme aggiuntive, richiesta con la cartella di pagamento numero (OMISSIS).

4. Confermava nel resto la sentenza impugnata.

5. Per la Cassazione della sentenza B.G.F. Legatoria srI ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui hanno resistito con controricorso INPS e INAIL.

6. La società ricorrente ha depositato anche memoria ex art. 380-bis. 1 c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

7. B.G.F. Legatoria srl deduce come primo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova in relazione all’art. 420 c.p.c., comma 5 e ss. e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 la nullità del procedimento per mancato svolgimento di attività istruttoria e l’illogica motivazione e in subordine l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta che la Corte d’appello non abbia deciso in base alla regola legale di riparto dell’onere della prova e, oltre a non dar peso alle evidenze contrarie delle prove testimoniali, abbia attribuito decisivo valore probatorio alle valutazioni di carattere presuntivo espresse dagli ispettori, omettendo l’istruttoria giudiziale intesa a verificare le dichiarazioni e/o chiarirne il contenuto, come sarebbe stato necessario stante la presenza di difformi deposizioni testimoniali.

8. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., la nullità della sentenza e del procedimento e in subordine l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta la sommarietà dell’accertamento ispettivo e la mancata indicazione delle generalità complete dei lavoratori, che non consentirebbe l’accredito della contribuzione.

9. I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.

Il D.Lgs. n. 276 del 2003 ha disciplinato la figura dell’appalto, che ai sensi dell’art. 29 si distingue dalla somministrazione di lavoro sulla base dei criteri, già enucleati con riferimento alla disciplina previgente, dell’autonomia organizzativa e funzionale dell’attività dell’appaltatore, precisandosi che questa può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonchè per l’assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa.

10. Nel caso in cui il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto sia invece svolto dall’appaltante, potrà configurarsi un appalto illecito, ovvero una somministrazione irregolare.

11. Già nel vigore della L. n. 1369 del 1960, in caso di appalto caratterizzato da uno scarso apporto di mezzi materiali comunemente definiti a bassa intensità organizzativa e ad alta intensità di lavoro – per accertare la sussistenza della fattispecie vietata dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1 la giurisprudenza di questa Corte aveva attribuito rilievo preponderante alla diretta organizzazione, direzione di controllo dei dipendenti assunti dall’interposto da parte del committente (v. Cass. n. n. 12201 del 06/06/2011, Cass. n. 15693 del 03/07/2009).

12. Si è poi precisato che nell’interposizione illecita le disposizioni impartite debbano essere riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, e non al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto (v. Cass. 12/4/2018 n. 9139).

13. In caso di somministrazione irregolare, la previsione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27 secondo cui legittimato a far valere l’illegittimità della somministrazione è il solo lavoratore somministrato, non preclude poi agli enti previdenziali o assicurativi di agire nei confronti dell’effettivo utilizzatore della manodopera, per l’accertamento della sussistenza dei presupposti delle obbligazioni contributive gravanti in capo a quest’ultimo (v. Cass. 02/07/2019, n. 17705).

14. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha fatto coerente applicazione dei principi sopra enunciati, valorizzando il potere direttivo ed organizzativo esercitato direttamente dalla società committente sui lavoratori impiegati negli appalti, suffragata anche dall’assenza dei rappresentanti dei datori di lavoro nel corso dell’attività lavorativa, e dell’assenza in capo alle appaltatrici di alcuna struttura produttiva.

15. Il motivo, nella parte in cui formula una critica della ricostruzione delle risultanze fattuali, è parimenti infondato.

Occorre premettere che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. dalla L. n. 134 del 2012, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, nè può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito. Secondo le S.U., l’omesso esame deve quindi riguardare un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), non un mezzo di prova il cui esito si lamenti travisato e male interpretato.

16. E’ però da escludere che nel caso ci si trovi innanzi a una delle indicate patologie estreme dell’apparato argomentativo, considerato che gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati tutti esaminati dalla Corte territoriale, ma ritenuti superati dalle ulteriori risultanze o comunque non decisivi. Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione può dirsi omessa, nè può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze.

17. Occorre inoltre qui ribadire che il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonchè alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante nè ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (Cass. n. 23800 del 07/11/2014). Pur non essendo forniti di efficacia probatoria privilegiata in ordine alle circostanze di fatto che essi segnalino di aver accertato nel corso dell’inchiesta per averle apprese da terzi, nè in ordine alla veridicità del contenuto di quanto agli ispettori riferito, i verbali dei pubblici ufficiali possono fornire utili elementi di valutazione anche sotto tale aspetto nell’eventuale successivo giudizio di opposizione, costituendo elementi di convincimento con i quali il giudice deve criticamente confrontarsi (Cass. n. 15208 del 03/07/2014).

18. Ne deriva che sfugge al sindacato di legittimità la valutazione compiuta dal giudice di merito che ha valorizzato le dichiarazioni rese dagli informatori agli ispettori, confrontandole con le ulteriori emergenze processuali, tra cui le deposizioni testimoniali rese in giudizio, e fornendo dell’esito di tale valutazione compiuta motivazione, sindacabile nei soli limiti del novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

19. Non vi è stata pertanto alcuna violazione dell’onere della prova, ma una valutazione complessiva delle risultanze acquisite.

20. In merito poi alla mancata indicazione nominativa dei lavoratori, basta qui ribadire che “l’interposizione illecita di manodopera in un contratto di appalto determina l’instaurazione del rapporto contributivo tra l’ente previdenziale e l’utilizzatore, restando irrilevante la mancanza di una specifica indicazione, da parte di quest’ ultimo, del nominativo dei lavoratori dell’impresa fornitrice, posto che l’individuazione dell’importo dovuto si ricava dal numero dei lavoratori impiegati nell’appalto e dai minimali contributivi fissati dal c.c.n.l. e configurandosi l’imputazione soggettiva dei contributi da parte dell’INPS come adempimento successivo al sorgere dell’obbligazione e al pagamento dell’importo dovuto da parte del datore di lavoro” (Cass. n. 19098 del 01/08/2017, conf. Cass. n. 28312 del 07/11/2018).

21. Come terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e lamenta che la Corte d’Appello abbia rigettato la richiesta di detrazione di ulteriori Euro 67.227,55 corrispondenti agli importi addebitati per i lavoratori extracomunitari della PMC srl e regolarizzati dalla stessa ai sensi del D.L. n. 195 del 1992, motivando sulla mancata produzione di attestazioni di pagamento da parte dell’opponente, trascurando il fatto che il pagamento sarebbe stato attestato addirittura nel verbale ispettivo di riferimento.

22. Il terzo motivo è inammissibile in quanto la parte, nel contestare la motivazione della Corte che ha ritenuto non provata la regolarizzazione di ulteriori posizioni contributive per un ammontare di Euro 67.227,55, valorizza un passaggio del verbale ispettivo che conterrebbe il riconoscimento del pagamento, che non viene trascritto, nè riportato, nè allegato al ricorso, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso che risulta ora tradotto nelle puntuali e definitive disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

23. In particolare la norma di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, ponendo come requisito di ammissibilità “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”, richiede la specificazione dell’avvenuta produzione in sede di legittimità, accompagnata dalla doverosa puntualizzazione del luogo all’interno di tali fascicoli, in cui gli atti o documenti evocati sono rinvenibili. Merita puntualizzare che le SS. UU. (sentenza 3 novembre 2011 n. 22726), intervenendo sull’esegesi dell’onere di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, hanno confermato, anche per gli atti processuali, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, del contenuto degli stessi atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari al loro reperimento. Invero il tenore della disposizione non lascia adito a dubbi sull’estensione dell’onere di “specifica indicazione” di cui al n. 6 della norma a tutti gli atti e documenti (negoziali e non) necessari alla decisione sul ricorso, espressamente ricomprendendo nel relativo ambito oggettivo gli “atti processuali” generalmente intesi.

24. Segue coerente il rigetto del ricorso.

25. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

26. L’esito del giudizio determina la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore di ciascuno dei controricorrenti in complessivi Euro 13.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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