Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3630 del 12/02/2021

Cassazione civile sez. I, 12/02/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 12/02/2021), n.3630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 36072/2018 e 36074/2018 R.G.

proposti da:

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO e C.I.P.E. – COMITATO

INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, in persona dei

legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura

generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrenti –

contro

TOSCOGAS S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t.

M.M., + ALTRI OMESSI, rappresentate e difese dall’Avv. Roberto

Zazza, con domicilio eletto in Roma, viale G. Mazzini, n. 73;

– controricorrenti –

e

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.A.S. *DI (OMISSIS) RENATO & C.*, in

persona del curatore p.t. Dott. S.M., rappresentato e difeso

dagli Avv. Roberto Zazza, e Fabrizio Magliaro, con domicilio eletto

in Roma, viale G. Mazzini, n. 73;

– interventore volontario –

e

B.A. DI B.M.E. E C.M.L.

S.N.C.;

– intimata –

avverso le sentenze della Corte d’appello di Roma n. 7494/17,

depositata il 29 novembre 2017 e n. 4904/18, depositata 1111 luglio

2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 7 ottobre

2020 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Le imprese indicate in epigrafe, esercenti l’attività di distribuzione all’ingrosso e al dettaglio di prodotti petroliferi per il riscaldamento ed altri usi, convennero in giudizio il Ministero dell’industria, commercio ed artigianato ed il Comitato Interministeriale Prezzi, per sentirli condannare al risarcimento dei danni cagionati dal mancato adeguamento dei margini minimi obbligatori per la distribuzione dei prodotti petroliferi per il riscaldamento, assumendo di aver dovuto operare per circa dieci anni sulla base di un margine minimo obbligatorio mai adeguato.

Si costituirono i convenuti, ed eccepirono il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, la carenza di legittimazione del Ministero e la prescrizione della pretesa azionata, chiedendo il rigetto della domanda.

2. Con sentenza del 15 settembre 1997, il Tribunale di Roma dichiarò il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria.

2.1. L’impugnazione proposta dalle attrici fu accolta dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 4 dicembre 2000 rimise le parti dinanzi al Giudice di primo grado.

3. A seguito della riassunzione, il Tribunale di Roma, con sentenza del 22 giugno 2005, rigettò la domanda, dichiarando prescritto il credito.

3.1. La predetta decisione, impugnata dalle attrici, fu confermata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza del 7 marzo 2011.

3.2. Avverso la predetta sentenza le attrici proposero ricorso per cassazione, accolto da questa Corte con sentenza del 19 giugno 2015, n. 12701, la quale cassò la sentenza impugnata, per aver fatto decorrere il termine di prescrizione dalla data dell’ultimo provvedimento di fissazione dei margini minimi obbligatori, risalente al mese di ottobre 1982, enunciando il seguente principio di diritto: “l’omesso adeguamento da parte del CIP dei margini minimi obbligatori per la distribuzione del petrolio per il riscaldamento (a seguito dell’annullamento da parte del Giudice amministrativo della Delibera che delegava la predetta funzione ad un’apposita commissione), bloccando per un decennio il margine di guadagno delle imprese di distribuzione, integra un comportamento dannoso avente natura di illecito permanente e quindi generatore di un diritto al risarcimento, il quale sorge in modo continuo e in modo continuo si prescrive, se non esercitato dal momento in cui si produce, sicchè il termine prescrizionale decorre de die in diem, man mano che i danni stessi si verificano”.

4. Riassunta nuovamente la causa, la Corte d’appello di Roma, con sentenza non definitiva del 29 novembre 2017, ha accolto l’appello, rigettando l’eccezione di prescrizione del credito, e disponendo, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio per la liquidazione del risarcimento.

Premesso che con Delib. 9 luglio 1982, n. 26, il CIP, nell’istituire il regime di sorveglianza dei prezzi al consumo dei prodotti petroliferi, aveva mantenuto il regime di prezzi amministrati per quelli alla distribuzione, prevedendo l’allineamento dei prezzi al consumo alla media Europea e la determinazione autoritativa dei margini minimi obbligatori dovuti per la distribuzione, e demandando ad un’apposita commissione interprofessionale la relativa revisione, la Corte ha rilevato che tale revisione aveva avuto luogo soltanto una volta nell’ottobre 1982, in quanto la commissione era stata dichiarata decaduta con sentenza del Tar del Lazio del 25 ottobre 1984, n. 517, a causa della non delegabilità della funzione attribuita al CIP. Precisato che per effetto di tale pronuncia il potere di procedere alla determinazione dei margini minimi obbligatori era tornato al CIP, il quale aveva omesso di provvedervi, ha affermato che l’aver dovuto operare per circa dieci anni sulla base di un margine non adeguato aveva impedito alle attrici di beneficiare degli aumenti collegati ai maggiori costi dei carburanti ed ai maggiori prezzi corrisposti ai raffinatori ed ai grossisti, con conseguente compressione dei ricavi. Ha escluso che la generica inerzia dell’Amministrazione, non accompagnata dalla volontà di realizzare un evento contra jus, consentisse di ravvisare un reato, ritenendo tuttavia sussistente, in conformità del principio enunciato dalla sentenza di cassazione, un illecito a carattere permanente, ed affermando quindi che il diritto delle attrici al risarcimento non poteva ritenersi prescritto quanto meno per i cinque anni antecedenti alla proposizione della domanda, avvenuta il 5 febbraio 1992.

4.1. Procedutosi poi a c.t.u., la Corte d’appello, con sentenza definitiva dell’11 luglio 2018, ha condannato il Ministero dello Sviluppo Economico (succeduto al Ministero dell’industria) al pagamento della somma di Euro 779.504,37 in favore della Toscogas, di Euro 213.303,28 in favore della Ca. Petroli, di Euro 336.810,67 in favore della CoBeL, di Euro 162.423,46 in favore della St.Se., di Euro 406.714,08 in favore della Fratelli L., di Euro 379.163,09 in favore della Ditta Eredi di Ci.Al., di Euro 1.098.965,96 in favore della (OMISSIS), di Euro 288.316,86 in favore della C.A. Carburanti, di Euro 292.789,25 in favore della Be. – Terni, e di Euro 120.590,83 in favore della B.A., oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme annualmente rivalutate.

Premesso di dover procedere esclusivamente alla quantificazione del danno subito dalle attrici, la Corte d’appello ha richiamato gl’importi determinati dal c.t.u. a tal fine nominato, osservando che quest’ultimo aveva provveduto per ciascuna società a stabilire il totale della perdita per mancato guadagno in relazione ai prodotti commercializzati, rettificando i coefficienti relativi ai margini e ai pesi applicati alle quantità prodotte. Ha ritenuto infondate le osservazioni formulate dai convenuti con riguardo alla mancata applicazione dei coefficienti di rivalutazione previsti dal provvedimento del 6 luglio 1982, richiamando la considerazione svolta dal c.t.u., secondo cui l’applicazione dei predetti margini a produzioni realizzate a partire dall’anno 1987 sarebbe risultata incoerente, comportando l’applicazione alle stesse tipologie di prodotto di valori fissati cinque anni prima. Ha precisato infine che la condanna doveva essere pronunciata esclusivamente nei confronti del Ministero, dal momento che il Tribunale, con la sentenza del 22 giugno 2005, aveva escluso la legittimazione passiva del CIPE, in quanto privo di personalità giuridica, quale organismo tecnico interno all’organizzazione governativa.

5. Avverso le predette sentenze hanno proposto distinti ricorsi per cassazione il Ministero ed il CIPE (succeduto al CIP), rispettivamente per cinque e sei motivi, illustrati anche con memoria. Le attrici hanno resistito con controricorsi, anch’essi illustrati con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disposta la riunione delle impugnazioni, aventi ad oggetto sentenze diverse ma destinate ad integrarsi reciprocamente, in quanto pronunciate nello stesso giudizio e volte a definire la medesima controversia, con la conseguente applicabilità dell’art. 335 c.p.c., trattandosi di un caso assimilabile a quello della proposizione di una pluralità di impugnazioni contro la medesima sentenza (cfr. Cass., Sez. I, 28/06/2019, n. 17603; 10/07/2001, n. 9377; Cass., Sez. II, 10/04/2017, n. 9192).

2. Si rileva inoltre che, a seguito della dichiarazione di fallimento della (OMISSIS) S.a.s., pronunciata dal Tribunale di Treviso con sentenza del 28 febbraio 2020, ha spiegato intervento in entrambi i giudizi il curatore del fallimento, riportandosi alle difese svolte dalla società fallita.

Tale intervento, successivo alla notificazione ed al deposito del ricorso per cassazione, non può ritenersi ammissibile, avuto riguardo all’impulso di ufficio che contraddistingue il giudizio di legittimità, il quale esclude l’operatività dell’istituto dell’interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli artt. 299 c.p.c. e segg., con la conseguenza che, restando irrilevanti i mutamenti intervenuti nella capacità di stare in giudizio di una delle parti, e non essendo ipotizzabili gli adempimenti di cui all’art. 302 c.p.c., il curatore del fallimento non è legittimato a stare in giudizio in luogo del fallito (cfr. Cass., Sez. lav., 19/03/2014, n. 6329; Cass., Sez. I, 14/04/ 1999, n. 3697; 21/10/1995, n. 10989).

3. Con il primo motivo dell’impugnazione proposta contro la sentenza non definitiva, i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 Cost.,. comma 6 e dell’art. 132 c.pc., comma 2, n. 4 e art. 156 c.p.c., comma 2, osservando che il rigetto dell’eccezione di prescrizione, risultante dal dispositivo, si pone in contrasto insanabile con la motivazione, la quale ne afferma invece la fondatezza, quanto meno per i danni verificatisi fino al 4 febbraio 1987.

4. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono, in via subordinata, la violazione dell’art. 384 c.p.c. e dell’art. 2943 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, sostenendo che il rigetto totale dell’eccezione di prescrizione si pone in contrasto con il principio di diritto risultante dalla sentenza di cassazione, in applicazione del quale si sarebbe dovuto ritenere che, in mancanza di precedenti atti interruttivi, l’atto introduttivo del giudizio avesse comportato l’interruzione della prescrizione soltanto a decorrere dal 5 febbraio 1987, con la conseguente estinzione del diritto al risarcimento per il periodo anteriore.

5. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto profili diversi della medesima questione, sono infondati.

Nell’ordinario giudizio di cognizione, la portata precettiva della sentenza non dev’essere individuata sulla base delle sole statuizioni contenute nel dispositivo, ma integrando le stesse con le argomentazioni svolte nella motivazione, nella misura in cui risultino idonee a rivelare l’effettiva volontà del giudice che l’ha pronunciata, sicchè, ove non emerga un’assoluta inconciliabilità tra le due parti del provvedimento, deve attribuirsi la prevalenza a quella che risulti maggiormente attendibile e capace di fornire una ragionevole giustificazione del dictum giudiziale (cfr. Cass., Sez. VI, 18/10/2017, n. 24600; 17/07/2015, n. 15088; Cass., Sez. I, 10/09/2015, n. 17910). L’applicazione di tale principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, consente nella specie di ritenere superabile senza incertezze il contrasto segnalato dai ricorrenti, il quale risulta tutt’altro che insanabile, avuto riguardo al limpido tenore della motivazione: quest’ultima, infatti, affermando a chiare lettere che “il diritto delle parti attrici ad ottenere il risarcimento non è prescritto, quanto meno per i cinque anni antecedenti alla presentazione della domanda in data 5 febbraio 1992, e, dunque, con decorrenza dal 5 febbraio 1987”, consente di circoscrivere a tale periodo il rigetto dell’eccezione di prescrizione, risultante dal n. 1) del dispositivo. Gli stessi ricorrenti dimostrano d’altronde di non nutrire alcun dubbio in ordine all’effettiva portata della statuizione in esame, evidenziando, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 384 c.p.c., che il rigetto totale dell’eccezione di prescrizione comporterebbe, in contrasto peraltro con il ragionamento svolto in motivazione, che muove proprio dal richiamo del principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione.

5. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 156 c.p.c., rilevando che la sentenza impugnata risulta assolutamente priva di motivazione in ordine all’an debeatur, avendo disposto la prosecuzione del giudizio per la determinazione del quantum, senza pronunciarsi in alcun modo sulla sussistenza della responsabilità, non accertata neppure nei precedenti gradi di giudizio, i quali hanno avuto ad oggetto esclusivamente la risoluzione di questioni preliminari.

6. Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano, in subordine, la violazione dell’art. 2043 c.c., censurando la sentenza impugnata per aver accolto la domanda di risarcimento senza procedere all’accertamento degli elementi necessari per la configurabilità della responsabilità dell’Amministrazione, consistenti nella sussistenza di un evento dannoso, nell’ingiustizia del danno, da valutarsi alla stregua della protezione accordata dall’ordinamento alla situazione soggettiva fatta valere dal privato, nella riconducibilità del pregiudizio ad una condotta dell’Amministrazione e nell’imputabilità dello evento a dolo o colpa di quest’ultima.

7. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente ai primi due del ricorso proposto avverso la sentenza definitiva, in quanto aventi ad oggetto le medesime censure, sono fondati.

In tema di risarcimento dei danni per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che, in quanto derivante dalla violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, la responsabilità della Pubblica Amministrazione non è ricollegabile alla mera adozione ed esecuzione di un atto illegittimo nè alla negligenza o imperizia del funzionario agente, occorrendo invece l’accertamento di un evento dannoso incidente su un interesse rilevante per l’ordinamento ed eziologicamente connesso ad un comportamento dell’Amministrazione connotato da dolo o colpa (cfr. Cass., Sez. I, 22/11/2017, n. 27800; Cass., Sez. III, 31/10/2014, n. 23170; Cass., Sez. lav., 8/03/2010, n. 5561). E’ stato precisato al riguardo che il giudice investito della relativa domanda deve procedere, in ordine successivo, alle seguenti indagini: a) in primo luogo, deve accertare la sussistenza di un evento dannoso, b) deve, poi, stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento (indipendentemente dalla qualificazione formale dello stesso come diritto soggettivo), c) deve inoltre accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della Pubblica Amministrazione, d) deve infine verificare se l’evento dannoso sia imputabile a responsabilità della Pubblica Amministrazione, tenendo presente che, come si è detto, tale imputazione non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità del provvedimento, ma richiede una più penetrante indagine in ordine alla sussistenza della colpa (che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana) (cfr. Cass., Sez. I, 20/06/2018, n. 16196; Cass., Sez. III, 28/10/2011, n. 22508; 27/05/ 2009, n. 12282), dovendosi valutare, in particolare, la conformità del comportamento dell’Amministrazione alle regole cui deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali in punto di imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in punto di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell’ordinamento, in punto di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza (cfr. Cass., Sez. III, 21/10/2005, n. 20358; 10/08/2002, n. 12144).

Nessuno dei predetti profili può ritenersi adeguatamente approfondito dalle sentenze impugnate, le quali, nell’affermare la responsabilità del Ministero, si sono limitate a richiamare le considerazioni svolte nella sentenza di cassazione, riguardanti esclusivamente l’individuazione della decorrenza del termine di prescrizione, in relazione alla natura dell’illecito prospettato dalle attrici, senza procedere all’accertamento dell’ingiustizia del danno da queste ultime lamentato e del nesso eziologico con la condotta addebitata all’Amministrazione, nè alla valutazione dell’antidoverosità di tale condotta, in riferimento ai principi che informano l’azione amministrativa. In particolare, la sentenza non definitiva si è limitata a riassumere brevemente lo svolgimento della vicenda amministrativa, richiamando la sentenza del Giudice amministrativo che aveva annullato la delega del compito di provvedere alla revisione periodica dei margini minimi obbligatori, e rilevando che a seguito di tale annullamento il relativo potere era tornato al CIP, il quale aveva omesso di provvedere all’adeguamento per circa dieci anni; sulla base di tale accertamento, essa ha escluso la configurabilità di tale comportamento come reato ed ha ribadito la natura permanente dell’illecito, negando conseguentemente l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, per il periodo successivo al 5 febbraio 1987. Nessuna considerazione è stata svolta in ordine all’ingiustizia del danno, essendosi la Corte territoriale limitata a dare atto dell’affermazione delle attrici, secondo cui esse non avevano potuto beneficiare degli aumenti collegati ai maggiori costi dei carburanti ed ai maggiori prezzi corrisposti ai raffinatori ed ai grossisti, senza fornire alcuna precisazione riguardo alla posizione soggettiva dalle stesse vantata in relazione all’adeguamento dei margini minimi obbligatori. Insufficiente deve ritenersi, in proposito, il richiamo alla sentenza di annullamento della delega ed a quella successiva che ha affermato la permanenza a carico del CIP dell’obbligo di provvedere periodicamente all’adeguamento (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30/01/1991, n. 42), potendo le stesse venire in considerazione esclusivamente ai fini dell’accertamento dell’illegittimità della condotta tenuta dall’Amministrazione, inidoneo, come si è detto, a giustificare da solo l’affermazione della sua responsabilità. Peraltro, anche a voler desumere dal predetto richiamo il riconoscimento di un interesse legittimo all’adeguamento, la natura pretensiva dello stesso avrebbe imposto di verificare, attraverso un giudizio prognostico condotto in base alla normativa in concreto applicabile, le prospettive di accoglimento della richiesta delle attrici, al fine di stabilire se queste ultime fossero titolari di una mera aspettativa non tutelabile ovvero di una pretesa destinata ad un esito favorevole, secondo un criterio di normalità (cfr. Cass., Sez. I, 13/10/2011, n. 21170; 29/01/2010, n. 2122; 8/02/2007, n. 2771). Tale valutazione non può ritenersi validamente sostituita dal mero riscontro dell’intervenuto aumento dei costi, compiuto dalla sentenza definitiva sulla base delle risultanze della relazione depositata dal c.t.u., trattandosi di un dato puramente fattuale, la cui incidenza sulle possibilità di soddisfazione dell’interesse delle attrici avrebbe dovuto essere apprezzata anche alla stregua dei criteri stabiliti dalla legge per il riconoscimento dell’adeguamento e dei margini di discrezionalità a tal fine spettanti all’Amministrazione. Inesplorata è rimasta infine la questione concernente il profilo soggettivo della responsabilità, essendosi la Corte territoriale limitata ad evidenziare la durata decennale del ritardo nell’adeguamento dei margini obbligatori, senza indagare in ordine alle ragioni di tale inadempimento ed alla condotta concretamente tenuta dal CIP e dal Ministero.

8. Le sentenze impugnate vanno pertanto cassate, nella parte concernente l’affermazione della responsabilità del Ministero, restando assorbito il quinto motivo del ricorso proposto avverso la sentenza non definitiva e gli ultimi quattro motivi di quello proposto avverso la sentenza definitiva, con cui il Ministero ha lamentato la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1124 c.c., comma 2, artt. 1277, 2043 e 2697 c.c., nonchè l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver provveduto alla liquidazione del risarcimento in mancanza di prova dei prodotti commercializzati dalle attrici, delle quantità vendute e degli aumenti non praticati, per aver incluso nel pregiudizio risarcibile danni relativi a tipologie di prodotti diverse da quelli petroliferi ad uso riscaldamento e per aver omesso di valutare atti con cui l’Amministrazione aveva interrotto la propria inerzia, nonchè per aver riconosciuto sulle somme dovute la rivalutazione monetaria, benchè si trattasse di debito di valuta.

La causa va conseguentemente rinviata alla Corte d’appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

riuniti i ricorsi, rigetta i primi due motivi del ricorso proposto avverso la sentenza non definitiva, accoglie il terzo ed il quarto motivo del medesimo ricorso ed i primi due motivi del ricorso proposto avverso la sentenza definitiva, dichiara assorbiti gli altri motivi dei due ricorsi, cassa le sentenze impugnate, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021

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