Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 363 del 10/01/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 363 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: CRISTIANO MAGDA

SENTENZA

sul ricorso 28777-2012 proposto da:
VELTRI

CORNELIO

(c.f.

VLTCNL38E08E677Y),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PUSIANO 10,
presso l’avvocato DE CATERINI PAOLO, che lo

Data pubblicazione: 10/01/2014

rappresenta e difende, giusta procura in calce al
ricorso;

2013

ricorrente

contro

1562

DI

PIETRO

ANTONIO

(c.f.

DPTNTN5ORO2F576M),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E. FAA’ DI

1

BRUNO 4, presso l’avvocato SERGIO SCICCHITANO, che
lo rappresenta e difende, giusta procura a margine
del controricorso;
SOCIETA’

EUROPEA

DI

EDIZIONI

S.P.A.

(P.I.

01790590150), in persona del legale rappresentante

SISTINA, 118, presso l’avvocato MUNARI ALESSANDRO,
che la rappresenta e difende, giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrentl

avverso la sentenza n. 1716/2011 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 16/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 23/10/2013 dal Consigliere
Dott. MAGDA CRISTIANO;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato DE CATARINI
PAOLO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito,

per

il

controricorrente

Di

Pietro,

l’avvocato TALOTTA RAFFAELLA, con delega avv.

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SCICCHITANO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Monza con sentenza del 22.2.010, condannò Cornelio Veltri, Felice
Manti, Mario Giordano e la Società Europea di Edizioni s.p.a. a pagare ad Antonio Di
Pietro, in via fra loro solidale, la somma di € 40.000, oltre accessori e spese, a titolo

un’intervista rilasciata da Veltri al giornalista Manti e pubblicata sul quotidiano II
Giornale, edito dalla Europea di Edizioni, di cui era, all’epoca, direttore Giordano.
Il giudice rawisò i fatti costitutivi di due distinti illeciti: l’uno, commesso solo da Manti
e dal direttore del Giornale, consistente nell’affermazione, riportata nel titolo
dell’intervista, che Di Pietro aveva tesserato (per il partito IDV -Italia dei Valori, di cui
era leader) 241 criminali; l’altro, attribuito alla responsabilità di tutti i convenuti,
concretatosi nella dichiarazione di Veltri secondo cui i soldi del finanziamento
pubblico, anziché affluire nelle casse di quel movimento politico, finivano allo stesso
Di Pietro, alla moglie Susanna Mazzoleni ed a Silvana Mura, unici tre componenti
della distinta associazione Italia dei Valori che, secondo lo statuto dell’IDV,
promuoveva la realizzazione del partito nazionale.
La Corte d’appello di Milano, adita da tutte le parti soccombenti, ha parzialmente
riformato la decisione e, condivisa l’opinione del primo giudice in ordine alla
sussistenza di due distinti fatti diffamatori ed all’imputabilità del primo di essi ai soli
giornalisti, ha escluso che Felice Manti, che si era limitato a riportare le dichiarazioni
di Veltri, legittimamente esercitando il suo diritto di cronaca, dovesse rispondere
della diffamazione commessa dall’intervistato allorché aveva affermato che i soldi del
finanziamento pubblico finivano ai tre componenti dell’associazione “Italia dei Valori”,
anziché al partito dell’IDV. La corte territoriale ha pertanto condannato Manti,
Giordano e la Società Europea di Edizioni al pagamento in favore di Antonio Di
Pietro della somma di € 20.000, oltre interessi, a titolo di risarcimento del danno da
questi subito in conseguenza del primo illecito ed il solo Cornelio Veltri a pagare a Di

di risarcimento del danno da quest’ultimo subito per il contenuto diffamatorio di

Pietro la medesima somma a titolo di risarcimento del danno derivato dal secondo
illecito.
La sentenza, pubblicata il 16.5.2012, è stata impugnata da Cornelio Veltri con
ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui Antonio Di Pietro e Società
Europea di Edizioni s.p.a. hanno resistito con separati controricorsi.

Veltri e Di Pietro hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo Cornelio Veltri, denunciando violazione degli artt. 21 Cost.,
2043 e ss. c.c. e 1 II. nn. 515/93 e 157/99, contesta che le sue dichiarazioni in ordine
alla destinazione dei fondi del finanziamento, così come riportate nell’intervista,
integrassero gli estremi del reato di diffamazione. Osserva a riguardo che la stessa
corte territoriale ha riconosciuto che si trattava di dichiarazioni rientranti nell’ambito
della critica politica e che dai documenti prodotti emergeva una gestione in parte non
trasparente dei fondi dell’associazione “Italia dei Valori” ed afferma che il fatto
essenziale, non colto dal giudice del merito, e di per sé sufficiente a giustificare la
sua denuncia, è che i fondi pubblici possono essere chiesti e gestiti solo dai partiti e
dai movimenti politici e non da un soggetto giuridico diverso, quale la predetta
associazione; deduce, ancora, che egli non ha mai affermato che i tre componenti
dell’associazione si fossero appropriati dei fondi della stessa sottraendoli totalmente
al partito, ma che si era limitato a sottolineare l’anomalia di una situazione in cui,
accanto al partito IDV, unico, legittimo, destinatario del finanziamento, tre sole
persone avevano dato vita ad un distinto organismo, avente la medesima
denominazione, che, profittando dell’assenza di controlli e/o dell’acquiescenza dei
dirigenti del partito, aveva riscosso in parte le somme destinate al movimento politico
e le aveva gestite in maniera poco trasparente; rileva che di tanto costituirebbero
prova sia il bilancio “per milioni di euro” dell’Associazione relativo all’esercizio 2004,
anno nel quale si svolsero le elezioni europee, sia i due rimborsi elettorali, per ben

Felice Manti e Mario Giordano non hanno svolto attività difensiva.

423.000 euro, che Di Pietro, quale presidente dell’associazione, si era autoliquidato
senza alcuna pezza d’appoggio; sostiene, infine, che, non essendo mai stata data
pubblicità ai dati relativi all’utilizzo del finanziamento ed essendo egli fuoriuscito
dall’IDV sin dal 2001, gli elementi in suo possesso rendevano del tutto legittime le
conclusioni cui era pervenuto.

Va intanto precisato che, anziché prospettare l’erronea ricognizione da parte del
giudice del merito delle astratte fattispecie normative di cui è denunciata la
violazione – ovvero a sollevare un problema di interpretazione delle indicate
disposizioni — il motivo si limita a contestare l’applicabilità delle norme in questione
alla concreta fattispecie dedotta in giudizio, in ragione dell’errata valutazione delle
risultanze di causa.
Il fatto che il mezzo di censura sia stato qualificato esclusivamente ai sensi
dell’art.360 I comma n. 3 c.p.c. non osta, tuttavia, al suo esame sotto il diverso, e
corretto, profilo del vizio di motivazione.
Ebbene, la decisione impugnata si fonda sulla premessa che l’affermazione di Veltri

“i soldi del finanziamento vanno a loro tre e non al partito” era inequivocabilmente
diretta a far intendere al lettore che i soldi in questione, lungi dall’essere devoluti a
scopi politici, erano sottratti all’IDV e fatti propri dai tre soci dell’associazione, per il
tramite di questa, posto che nel caso contrario – in cui i finanziamenti, pur se
materialmente percepiti dall’associazione, fossero stati girati al partito — sarebbe
stata incomprensibile la rilevanza pubblica della notizia.
La corte territoriale ha poi accertato che la circostanza denunciata non rispondeva a
verità, in quanto dall’esame dei documenti acquisiti agli atti non solo non emergeva
che i fondi pubblici finivano tutti all’associazione anziché al partito, ma risultava, al
contrario, che, per la parte pervenuta all’associazione, Di Pietro provvedeva alla loro
ripartizione ed utilizzazione per il movimento politico e per l’assegnazione di incarichi
retribuiti in seno all’IDV; ha infine escluso che l’odierno ricorrente potesse ritenersi

Il motivo non merita accoglimento.

scriminato dal reato per aver ragionevolmente reputata vera la circostanza, atteso
che da nessuno degli elementi di fatto di cui egli era a conoscenza (o che avrebbe
dovuto conoscere prima di spingersi ad attribuire a Di Pietro la condotta distrattiva),
avrebbe potuto trarsi tale convincimento.
Il percorso motivazionale, chiaro e coerente, che sorregge la decisione impugnata

Questi, infatti, deduce di non aver mai affermato che Di Pietro si fosse appropriato
dei fondi dell’associazione, laddove ciò che gli è stato addebitato è di aver accusato
Di Pietro di essersi appropriato, per il tramite dell’associazione, dei fondi del
finanziamento pubblico; continua poi a sostenere che tali fondi non possono essere
richiesti e percepiti da soggetti diversi dai partiti (e che tanto basterebbe a connotare
di rilevanza pubblica la sua denuncia), senza considerare che l’assunto trova
smentita nella stessa ordinanza del tribunale di Roma da lui richiamata, che ha
riconosciuto la legittimazione dell’associazione IDV a costituirsi in un giudizio in cui
era controverso fra quali soggetti andassero ripartiti i rimborsi elettorali spettanti alla
lista Di Pietro—Occhetto per le elezioni europee del 2004 proprio perché il divieto di
cessione del rimborso elettorale, previsto dall’art. 6 della I. n. 195/74, è stato
espressamente abrogato dall’art. 39 quaterdecies della legge di conversione n.
51/06; afferma, ancora, che le risultanze istruttorie proverebbero la gestione
personale, e sottratta ad ogni controllo, dei fondi del finanziamento pubblico da
parte dello stesso Di Pietro e degli altri componenti dell’associazione, ma non indica
a riguardo elementi istruttori decisivi che il giudice del merito avrebbe omesso di
valutare e non chiarisce perché il rimborso elettorale di € 423.000 che Di Pietro ha
ricevuto dall’associazione dimostrerebbe, contrariamente a quanto ritenuto dalla
corte territoriale, l’utilizzazione di fondi pubblici per fini personali da parte dell’allora
deputato.
Ben può dirsi, in definitiva, che le doglianze del ricorrente si risolvano nella richiesta,
inammissibile nella presente sede di legittimità, di un riesame del merito della

non risulta scalfito dalle argomentazioni difensive del ricorrente.

controversia e

nella

pretesa,

ugualmente inammissibile,

di

sostituire

all’interpretazione dei fatti di causa compiuta dal giudice d’appello la propria
personale interpretazione.
2) Col secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio
di motivazione, lamenta di essere stato condannato al pagamento, a titolo di

condannati l’autore ed i responsabili civili dell’altro illecito, nonostante dovesse
ritenersi coperto da giudicato l’accertamento del primo giudice concernente la lesività
attenuata del fatto diffamatorio attribuitogli.
Il motivo è infondato, in quanto attraverso la proposizione del gravame, con il quale
Veltri aveva contestato la stessa natura diffamatoria della frase incriminata, è stata
devoluta alla corte d’appello la cognizione dell’intera materia controversa. Il giudice
di secondo grado ha pertanto correttamente proceduto ad una nuova valutazione dei
fatti e della loro valenza lesiva ed ha altrettanto correttamente quantificato il danno,
in misura non manifestamente sproporzionata, in base al proprio apprezzamento
discrezionale, non sindacabile in sede di legittimità siccome sorretto dall’indicazione
dei criteri adottati per la liquidazione.
3) Il terzo motivo di ricorso, con il quale Veltri sostiene, in via del tutto generica ed
assertiva, che la corte d’appello avrebbe errato nell’escludere la responsabilità di
Felice Manti e di Mario Giordano nella commissione dell’illecito, va dichiarato
inammissibile per difetto del requisito di cui all’art. 366 n. 4 c.p.c.
4) Resta, infine, assorbita dal rigetto del primo motivo la censura illustrata nel quarto
motivo. Il ricorrente è infatti privo di interesse a dolersi dell’affermazione della corte
di merito secondo cui era coperta da giudicato, perché non espressamente
impugnata, la statuizione della sentenza di primo grado che lo aveva condannato al
pagamento della sanzione pecuniaria di cui all’art. 12 I. n. 47/48, atteso che, a
prescindere dalla correttezza dell’assunto in discussione, l’accertata commissione
dell’illecito diffamatorio comporta la sua soggezione alla sanzione nella misura

risarcimento del danno, di una somma pari a quella al cui pagamento sono stati

determinata dal primo giudice e da lui non contestata in sede d’appello.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, liquidate in favore di ciascuno dei controricorrenti in € 2.200, di cui € 200

Roma, 23 ottobre 2013.

per esborsi, oltre accessori dovuti per legge.

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