Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3626 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/02/2020, (ud. 31/01/2019, dep. 13/02/2020), n.3626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7530-2016 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8,

presso lo studio degli avvocati MAURIZIO MARAZZA, MARCO MARAZZA,

DOMENICO DE FEO, che la rappresentano e difendono;

– ricorrenti –

contro

D.M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA CONTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 553/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 24/09/2015 r.g.n. 805/2014.

Fatto

RILEVATO

che la Corte territoriale di Firenze, con sentenza pubblicata il 24.9.2015, ha respinto l’appello principale interposto da Telecom Italia S.p.A., nei confronti di D.M.G., avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede che aveva parzialmente accolto il ricorso con il quale il lavoratore – dipendente della predetta società sin dal 1999, con inquadramento nel 5 livello e con il compito di Key Account – aveva chiesto, tra l’altro, che fosse accertato e dichiarato il proprio diritto all’inquadramento nella categoria professionale di 7 livello e, conseguentemente, il diritto al relativo trattamento economico, oltre al risarcimento dei danni patiti a causa della dedotta dequalificazione;

che, in parziale accoglimento dell’appello incidentale interposto dal D.M., la Corte ha, altresì, accertato che la qualifica di 7 livello deve avere decorrenza dall’1.7.2008 ed ha stabilito, invece, la decorrenza delle differenze retributive, riconosciute con la sentenza di primo grado, dall’1.4.2008, poichè il lavoratore ha svolto, sin da tale ultima data, le dedotte mansioni superiori, definitivamente acquisite, ai sensi dell’art. 2103 c.c., una volta decorsi tre mesi dalla predetta data;

che, per la cassazione della sentenza, ricorre Telecom Italia S.p.A. articolando un motivo, cui resiste con controricorso D.M.G.;

che sono state depositate memorie nell’interesse di entrambe le parti;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103,1362 e 1363 c.c. e dell’art. 23 del Contratto Collettivo 23.10.2009 per il personale esercente i servizi di telecomunicazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e si lamenta che la Corte distrettuale non abbia tenuto conto, nell’ambito del citato contratto collettivo, delle declaratorie dei livelli e della descrizione delle diverse mansioni di ciascuna delle posizioni di lavoro proprie dei singoli livelli, e che non abbia effettuato il raffronto dei risultati di tali indagini, come da costante giurisprudenza; in particolare, si deduce che, nella sentenza impugnata, non si dà conto della differenza sostanziale che intercorre tra un NKA (che ha una professionalità commerciale) ed un Product Manager (che, invece, dovendo ideare nuovi prodotti, ha una professionalità tecnica), nè che l’impiegato di 7 livello si caratterizza per la conduzione e controllo di rilevanti unità organizzative, mentre, per quanto è emerso dall’istruttoria, il D.M. si avvaleva di un addetto al lavoro burocratico di inserimento dati al terminale; pertanto, a parere della società ricorrente, la professionalità più prossima a quella di un NKA è quella del venditore (che rientra nel 5 livello), mentre la riconducibilità al 7^ livello risulta esclusa dalla relativa declaratoria (caratterizzata dalla conduzione e dal controllo di rilevanti unità organizzative ovvero dal fornire contributi professionali a carattere progettuale innovativo di particolare complessità ed alta specializzazione); invece, l’assimilazione delle mansioni di un NKA a quelle di un Product Manager, erroneamente operata dai giudici di merito, anzichè a quelle di un venditore (5 livello), è derivata da una non condivisibile interpretazione della declaratoria di 7 livello che ha condotto i giudici a scindere inspiegabilmente i compiti descritti nella detta declaratoria, senza considerare che “le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto”; si lamenta, poi, che, nella sentenza oggetto del presente giudizio, non si sia considerato che l’inquadramento di un lavoratore deve essere desunto dalle norme che, nel contratto collettivo, regolano l’istituto, e non anche per relationem, e si deduce, al proposito, che il contratto collettivo di categoria (art. 23, sub D), a pag. 49, in ordine alla mobilità orizzontale, prevede che “in relazione alle esigenze tecnico-produttive e di mercato il lavoratore può essere adibito a tutte le mansioni relative al livello nel quale risulta inquadrato, anche in ambienti organizzativi diversi da quello di provenienza”, mentre, i giudici di merito non avrebbero tenuto conto del fatto che, fin dalla memoria difensiva, Telecom Italia S.p.A. avesse dedotto, senza contestazione, che la riorganizzazione era finalizzata “a rendere più efficiente l’attività dei lavoratori NKA sia dal punto di vista economico che gestionale, tenuto anche conto della contrazione delle vendite”;

che il motivo è fondato; con esso, all’evidenza, si censura, nella sostanza, il fatto che i giudici di merito avrebbero omesso il procedimento logico-giuridico c.d. trifasico, ritenuto necessario, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, per il corretto inquadramento del lavoratore; non avrebbero, cioè, accertato quali attività lavorative svolgesse in concreto il dipendente, non avrebbero proceduto all’individuazione delle qualifiche previste dai CCNL di categoria applicabili alla fattispecie ed infine (e conseguentemente), non avrebbero operato il raffronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie contrattuali individuate nella seconda;

che questo Collegio osserva, al riguardo, che, laddove si verifichi la corretta applicazione dei criteri che regolano il detto procedimento valutativo, “per consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte, nessuna ulteriore censura trova spazio, poichè l’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione” (cfr., tra le molte, Cass. nn. 27212/2011; 26234/2008);

che, nella fattispecie, però, la Corte di Appello non ha fatto corretta applicazione dei criteri che regolano il detto procedimento valutativo, in quanto ha omesso di uniformarsi ai granitici arresti giurisprudenziali di questa Corte, alla stregua dei quali il procedimento logico-giuridico che determina il corretto inquadramento di un lavoratore subordinato si compone, come innanzi anticipato, di tre fasi (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 21301/2017, nonchè, ex plurimis, Cass. nn. 17163/2016; 5128/2007; 14608/2001): l’accertamento in fatto dell’attività lavorativa svolta in concreto; l’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal CCNL di categoria; il raffronto dei risultati delle suddette fasi; pertanto, le doglianze mosse dalla parte ricorrente alla sentenza oggetto del presente giudizio risultano puntuali ed idonee a scalfire la validità della ratio decidendi sulla quale si incentra la pronunzia, non avendo la Corte di merito tenuto conto del contenuto effettivo delle mansioni realmente svolte dal lavoratore, nè identificato correttamente la qualifica contrattuale di riferimento, nè proceduto al raffronto delle prime con le previsioni della declaratoria contrattuale in relazione al periodo oggetto di causa; dalla qual cosa, consegue che è stato disatteso il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione del corretto inquadramento del D.M.. Ed invero, nella sentenza di secondo grado, si afferma sinteticamente che la società datrice, nei motivi di appello, non avrebbe “preso in considerazione l’assimilazione fatta dal Tribunale delle mansioni svolte da. D.M. a quelle del Product Manager – cioè la prima fra le figure professionali indicate dal CCNL pur segnalandone i limiti con riferimento alla concreta realizzazione anche per chi fosse formalmente identificato con questa figura, nè: “avrebbe “spiegato per quale motivo dovrebbe essere ritenuto idoneo l’inquadramento nel 5 liv. – venditore” e si asserisce, inoltre, senza alcun riferimento alle mansioni svolte, nè alle declaratorie contrattuali, che il demansionamento vi sarebbe stato, perchè, una volta ritenuto, “come qui viene fatto”, che il lavoratore avrebbe dovuto essere inquadrato nel 7 livello, il detto demansionamento si sarebbe potuto “escludere soltanto se al D.M. fossero state assegnate mansioni comunque inerenti al livello guadagnato e non a quello di formale ma illegittimo inquadramento”;

che, in realtà, le affermazioni che precedono vengono date per postulato, in quanto non sono la conseguenza della verifica delle mansioni effettivamente svolte dal dipendente alla luce delle declaratorie contrattuali del 5 e del 7 livello del contratto collettivo di categoria, nè della reale riconducibilità delle stesse in un livello, il 7 appunto, che è caratterizzato “dalla conduzione e dal controllo di rilevanti unità organizzative ovvero dal fornire contributi professionali a carattere progettuale innovativo di particolare complessità ed alta specializzazione”: ed infatti, per quanto si evince dalla sentenza impugnata, il D.M. “coordinava” soltanto “un addetto al lavoro burocratico di inserimento dati al terminale”. Ed a tale riguardo, la Corte di merito ha del tutto omesso di verificare se l’attività svolta dal dipendente rientrasse tra quelle previste per il “venditore” (di 5 livello), “definito come il lavoratore che, in possesso di una elevata conoscenza del mercato di riferimento e dell’offerta di prodotti/servizi nonchè di soluzioni sistemiche complesse, gestisce il rapporto con il cliente finalizzando le azioni commerciali intraprese”. Infine, non ha neppure considerato che il contratto collettivo di categoria, con riguardo alla c.d. mobilità orizzontale, all’art. 23 sub D, stabilisce che “in relazione alle esigenze tecnico-produttive e di mercato il lavoratore può essere adibito a tutte le mansioni relative al livello nel quale risulta inquadrato, anche in ambienti organizzativi diversi da quello di provenienza” e che, pertanto, la riorganizzazione operata dalla società in ordine ai livelli ed alle qualifiche, nell’ambito della contrattazione collettiva, potesse essere “finalizzata a rendere più efficiente l’attività dei lavoratori NKA sia dal punto di vista economico che gestionale, tenuto anche conto della contrazione delle vendite”;

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, che si atterrà a quanto innanzi rilevato, provvedendo, altresì, alla regolazione delle spese del presente giudizio;

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 31 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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