Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3625 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/02/2020, (ud. 31/01/2019, dep. 13/02/2020), n.3625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15760-2015 proposto da:

INTESA SAN PAOLO S.P.A., (quale società incorporante di CASSA DI

RISPARMIO DI VENEZIA S.P.A.), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32,

presso lo studio dell’avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANDREA UBERTI, PAOLO

TOSI;

– ricorrente –

contro

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOTERA 29,

presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO GIUDICE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALFREDO ZABEO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 777/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 25/03/2015 R.G.N. 185/2014.

Fatto

RILEVATO

che la Corte territoriale di Venezia, con sentenza pubblicata il 25.3.2015, ha confermato la pronunzia n. 1093/2014 resa dal Tribunale della stessa sede, con la quale era stata accolta la domanda proposta da P.L., nei confronti della Cassa di Risparmio di Venezia S.p.A., della quale era dipendente, volta ad ottenere l’accertamento del diritto al computo nel TFR del c.d. premio di fedeltà previsto dalla contrattazione collettiva aziendale;

che la Corte di merito, per quanto ancora in questa sede rileva, ha osservato che il premio di fedeltà doveva essere computato nella base del calcolo del TFR, in quanto trovava la propria fonte nella protrazione dell’attività lavorativa per un certo lasso di tempo ed era altresì rigorosamente collegato allo svolgimento del rapporto di lavoro: per la qual cosa, aveva i requisiti di dipendenza da quest’ultimo e di non occasionalità di cui all’art. 2120 c.c.; inoltre, dalle disposizioni dei CCNL del 1994 e del 1991 non discendeva in modo certo ed inequivoco la volontà di escludere il predetto premio dal TFR, anche in considerazione del fatto che lo stesso era contraddistinto da uno scopo gratificativo ed altresì connesso alla protrazione dell’attività lavorativa per un certo tempo;

che per la cassazione della sentenza ricorre la Intesa San Paolo S.p.A.(quale società incorporante la Cassa di Risparmio di Venezia S.p.A.) articolando due motivi, cui resiste con controricorso P.L.;

che sono state depositate memorie nell’interesse di entrambe le parti;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c. e art. 12 disp. gen., comma 1, in combinato disposto con l’art. 28 CIA Carive del 3.4.1992 ed in sostanza si lamenta che la sentenza impugnata abbia interpretato il requisito della “non occasionalità” dell’erogazione ai sensi dell’art. 2120 c.c. come componente necessaria della natura retributiva e generalizzata dell’erogazione stessa in connessione con il rapporto di lavoro; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 45 CCNL ACRI 19.12.1994 in relazione all’art. 2120 c.c., nonchè la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 in relazione all’art. 45 del CCNL ACRI 19.12.1994 e si deduce che, “in subordine, ove l’esclusione del premio di fedeltà dal computo del TFR non sia accertata già ai sensi di legge, deve riconoscersi che tale esclusione discende comunque dalla norma contrattuale applicabile ratione temporis al caso di specie (art. 45 CCNL ACRI 1994), a ciò legittimata dall’art. 2120 c.c., comma 2”;

che i motivi – da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione – non sono fondati. E’ da premettere che la sentenza della Corte di merito è del tutto in linea con gli ormai granitici arresti giurisprudenziali nella materia (cfr., ex plurimis, Cass. 23856/2015; 24373/2015; 24166/2015; 24937/2015; 24058/2015; 25297/2015; 23855/2015; 23799/2015; 24061/2015), del tutto condivisi da questo Collegio che non ravvisa alcuna ragione per discostarsene;

che, ciò premesso – e facendo integrale riferimento alle motivazioni delle pronunzie innanzi citate – si ribadisce in questa sede che “l’abbandono da parte del legislatore del 1982 della nozione di continuità ravvisabile nel vecchio testo dell’art. 2120 c.c. e la sostituzione del sistema di determinazione del trattamento di fine rapporto non più basato, come in passato, sull’ultima retribuzione percepita, ma sulla sommatoria di quote di retribuzione annue accantonate, ha condotto la prevalente giurisprudenza a non assegnare rilievo alla ripetibilità e/o alla frequenza delle erogazioni, ma a fare leva sulla qualità dell’emolumento corrisposto, dando così rilevanza al titolo della erogazione, riscontrando detta connessione ogni volta che vi sia un collegamento tra un certo evento correlato al rapporto lavorativo e l’emolumento stesso: è stato dato, così, decisivo rilievo, come da ultimo annotato da Cass. 21 luglio 2014, n. 16591, alla derivazione eziologica tra erogazione della prestazione e rapporto lavorativo escludendo solo quelle prestazioni collegate a ragioni aziendali del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite (cfr., ex plurimis, Cass. 5 giugno 2000, n. 7488; Cass. 2 agosto 2002, n. 11607; Cass. 5 febbraio 2003, n. 1693; 9 aprile 2008, n. 9252; 21 aprile 2008, n. 10303)” (v. Cass. n. 23854/2015);

che, nella fattispecie, è indubbio che “l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale delle disposizioni contrattuali indicate dalla ricorrente, e cioè gli artt. 40 del CCNL ACRI del 19.3.1987 e 45 del CCNL ACRI del 19.12.94, non contrastando con il loro tenore letterale, sia corretta per quanto riguarda l’identificazione della comune intenzione delle parti trovando questa riscontro, ex art. 1362 c.c., u.c., nel successivo CCNL del 1999 (art. 65) le parti, a differenza della precedente contrattazione collettiva, definiscono la retribuzione di riferimento per il calcolo del TRF con analitica elencazione dei singoli elementi utili” (Cass. n. 23854/2015, cit.);

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 31 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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