Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3620 del 04/02/2022
Cassazione civile sez. I, 04/02/2022, (ud. 10/12/2021, dep. 04/02/2022), n.3620
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 22620/2020 R.G. proposto da:
K.Y., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour,
presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e
difeso dall’Avvocato Paolo Righini, giusta procura speciale in calce
al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura
generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 3481/2019 della Corte d’appello di Bologna
depositata il 9/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
10/12/2021 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.
Fatto
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Bologna, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c. del 20 marzo 2018, rigettava il ricorso proposto da K.Y., cittadino del (OMISSIS) (il quale aveva raccontato di essersi allontanato dal proprio paese di origine perché non aveva i mezzi di sussistenza), avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale.
2. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza pubblicata in data 9 dicembre 2019, respingeva l’impugnazione presentata dal K..
In particolare, riteneva che l’esigenza del migrante di migliorare la propria condizione personale di vita non consentisse di riconoscere la protezione umanitaria.
Ne’ era possibile individuare profili di vulnerabilità all’esito di una valutazione della condizione del migrante in Italia in comparazione con la situazione personale vissuta prima della partenza, tenuto conto, da una parte, della generica descrizione del proprio stato di vita in patria offerta dal migrante, dall’altro dalla mancata dimostrazione del fatto che il K. si fosse attivato, all’interno del paese ospitante, per cercare un’occupazione al di fuori di progetti di formazione e lavoro.
3. Per la cassazione di questa statuizione ha proposto ricorso K.Y. prospettando quattro motivi di doglianza.
Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte sollecitando l’accoglimento del ricorso.
Diritto
CONSIDERATO
che:
4. Risulta inammissibile – ai sensi dell’art. 372 c.p.c. – il deposito, in allegato al ricorso e nel corso del giudizio di legittimità, di documentazione non prodotta nelle precedenti sedi processuali e concernente il merito della controversia.
5. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, commi 3 e art. 5, e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, commi 2 e 3: la Corte di merito, dopo essersi soffermata su un giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni del migrante che non trovava alcuna giustificazione, dato che il Tribunale non aveva minimamente posto in dubbio il racconto del K., si era ritenuta esonerata – in tesi di parte ricorrente – dal dovere di cooperazione istruttoria, omettendo di assumere d’ufficio informazioni aggiornate sulle condizioni di un paese poverissimo, incapace di garantire il rispetto dei diritti fondamentali e dal quale i giovani fuggivano a causa della forte disoccupazione e dei cambiamenti climatici.
6. Il motivo non è fondato.
Non erra l’odierno ricorrente nel sottolineare che la Corte d’appello si è impegnata in una valutazione della credibilità delle dichiarazioni del migrante che non trovava giustificazione nei motivi di impugnazione.
Ciò nonostante, non si può non considerare che in materia di protezione internazionale il giudice del merito è tenuto ad esaminare la possibilità di riconoscere una delle forme di protezione previste dalla legge tenendo conto della prospettazione da parte del richiedente asilo di situazioni concrete che consentano di configurare il ricorrere dei relativi presupposti (Cass. 8819/2020).
Il principio dispositivo, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova, infatti, alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni in fatto dell’attore.
I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono, quindi, essere necessariamente indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale.
Nel caso di specie la Corte d’appello ha constatato – del tutto correttamente, dato che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia (Cass., Sez. U., 24413/2021) – che dalle allegazioni del migrante non emergeva la descrizione di una situazione di povertà diffusa o comunque coinvolgente la situazione personale del ricorrente, così come era assente ogni riferimento a situazioni di fame o estrema povertà riconducibili a catastrofi naturali o a rovine dell’ambiente per crisi derivanti da un periodo di siccità.
Essendo stata addotta la sola esigenza personale “di voler migliorare la propria condizione di vita” (da parte di chi proveniva da una famiglia che era mantenuta da un padre impegnato in un business di commercio di tessuti africani), nessuna indagine doveva essere compiuta, in mancanza dell’allegazione una particolare condizione di vulnerabilità personale ricollegata alle condizioni generali del paese di origine.
6. Il secondo motivo di ricorso prospetta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, quale conseguenza della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, commi 3 e 5, e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, commi 2 e 3, in quanto la Corte di merito, malgrado l’appellante si fosse limitato a richiedere la protezione umanitaria, non poteva omettere di verificare se sussistessero i presupposti per accordare la protezione sussidiaria; l’omessa indagine sulla situazione di sicurezza esistente in (OMISSIS) ha comportato – in tesi di parte ricorrente – la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c).
7. Il motivo è inammissibile.
Non vi è dubbio che in questa materia ciò che rileva non è l’indicazione precisa del nomen iuris della fattispecie di protezione internazionale che s’invoca, ma esclusivamente la prospettazione di una situazione che possa configurare i presupposti di una delle forme di protezione previste dalla legge (Cass. 8819/2020, Cass. 14998/2015).
Questo principio, tuttavia, vincolava il giudice di primo grado, non la Corte di merito, la quale ha espressamente dato conto che il richiedente asilo aveva circoscritto i motivi di appello alla sola misura della protezione umanitaria.
In mancanza di alcuna impugnazione del diniego della protezione sussidiaria, sul punto si era oramai formato il giudicato, a mente dell’art. 324 c.p.c., rimanendo così preclusa la possibilità di assumere alcuna statuizione a questo proposito.
8. Il terzo mezzo lamenta la violazione dell’art. 5, comma 6 T.U.I., in quanto la Corte di merito non ha tenuto conto, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, che il K. aveva lavorato già nel 2017 a tempo pressoché pieno ed era stato poi impiegato in maniera costante, ininterrottamente dal 2018.
9. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente assume che la documentazione prodotta in primo grado dimostrava il suo stato di occupazione lavorativa sin dal 2017.
La sentenza impugnata non fa il minimo cenno a una simile questione (ed anzi osserva che il K., “come rilevato dal primo giudicante, non ha dimostrato di attivarsi per cercare un lavoro al di fuori dei progetti di formazione e lavoro, avanzando ad esempio domande di lavoro interinale anche presso agenzie”), che dalla lettura del contenuto della decisione non risulta essere stata posta dall’appellante; né dalla narrativa del ricorso per cassazione, come pure dallo svolgimento dei motivi, risulta che il richiedente asilo, nel corso del giudizio di impugnazione, avesse allegato la propria condizione di occupazione.
Sicché trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di questa asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013).
10. Il quarto motivo sostiene che il giudizio di merito si sia svolto senza che la Corte distrettuale si sia preoccupata di dar seguito al proprio dovere di cooperazione e indagine e di considerare elementi decisivi.
Questo deficit istruttorio ha ingenerato – a dire del ricorrente – una decisione sommaria fondata su una motivazione di carattere apparente, dato che il collegio di appello ha trascurato di acquisire agli atti e ponderare elementi decisivi onde valutare, nel merito, la domanda del richiedente asilo.
11. Il motivo non è fondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte la motivazione assume carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 22232/2016).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha fornito una chiara ed inequivoca spiegazione delle ragioni poste a base della propria decisione laddove, dopo aver registrato il tenore delle allegazioni del migrante, ha ritenuto che le stesse non fossero sufficienti per riconoscere una condizione di vulnerabilità, in mancanza dell’allegazione di situazioni personali di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario e di una condizione di occupazione lavorativa nel paese di accoglienza.
La doglianza non può quindi che essere rigettata, dato che nella sentenza impugnata una motivazione esiste ed è ben comprensibile. 12. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto. La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2022