Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3619 del 14/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 14/02/2018, (ud. 21/11/2017, dep.14/02/2018),  n. 3619

Fatto

CONSIDERATO

1. Che la Corte d’Appello di Campobasso, con la sentenza in epigrafe rigettava l’impugnazione proposta da F.M. nei confronti dell’INPDAP avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Campobasso.

2. Il F., funzionario C3 alle dipendenze INPDAP (proveniente dall’ex INADEL) fino al 1 maggio 2002, aveva adito il Tribunale lamentando che, in sede di liquidazione delle competenze di fine rapporto (indennità premio di servizio L. n. 70 del 1975, art. 13), l’Istituto non aveva considerato, omettendo di includerlo nella base di calcolo, il compenso incentivante la produttività di cui alla L. n. 346 del 1983, art. 14 elemento della retribuzione erogato in maniera fissa e continuativa che avrebbe dovuto essere computato nella retribuzione da porre alla base dei calcoli per la quantificazione dell’indennità.

Chiedeva, pertanto la condanna dell’INPDAP al pagamento dell’indennità suddetta previa inclusione, nella base di calcolo, del premio incentivante la produttività.

3. Il Tribunale rigettava la domanda.

4. La Corte d’Appello, non riconosceva la chiesta estensione del giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Campobasso n. 531 del 2000, rigettava l’impugnazione del lavoratore affermando che la natura accessoria del premio era evidente non solo avendo riguardo alla relativa disciplina normativa (L. n. 346 del 1983, art. 14 e successivamente L. n. 88 del 1989, art. 18), ma alla contrattazione collettiva che l’aveva escluso dal trattamento fondamentale che concorre a strutturare la retribuzione dei dipendenti degli enti pubblici economici (art. 32 del CCNL 1994/1997) e dal computo per il calcolo di previdenza e quiescenza (art. 28 del CCNL 1998/2001 che, come l’art. 32 cit., distingue lo stipendio dalla retribuzione, includendo in quest’ultima i compensi incentivanti ove spettanti, ma escludendoli, ai sensi del successivo art. 29, comma 3, dal computo per il calcolo dei trattamenti di previdenza e quiescenza).

La L. n. 70 del 1975, art. 13 fa riferimento allo stipendio e non alla retribuzione, di cui lo stipendio è una delle componenti.

In tal senso Cass., S.U., n. 7158 del 2010 che ha affermato: in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 13 di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 c.c.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicchè deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (quali l’indennità di funzione L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2, e il compenso incentivante erogati ai dipendenti dell’INAIL) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti, come quello dell’INAIL, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo.

Tali principi, ad avviso della Corte d’Appello (cfr., ord. n. 4749 del 2011) avevano valenza generale e potevano trovare applicazione anche nel caso di specie, come già rispetto ai dipendenti INPS (Cass., n. 19299 del 2008).

5. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il lavoratore prospettando tre motivi di ricorso.

6. Resiste con controricorso l’INPS, quale successore INPDAP.

7. In prossimità dell’adunanza camerale il lavoratore ha depositato memoria.

Diritto

RITENUTO

1. Che con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., in specie per violazione e falsa interpretazione e mancata applicazione del giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Campobasso n. 531 del 2000. Omesso esame di un punto decisivo ed omessa motivazione. In subordine: motivazione illogica, insufficiente ed erronea.

2. Assume il ricorrente che la Corte d’Appello aveva negato al secondo periodo di lavoro con l’INPDAP l’estensione della decisione presa dal Tribunale di Campobasso con la sentenza n. 531 del 2000 resa tra le stesse parti ed avente effetto di giudicato, che aveva accertato che il compenso di produttività era diventato parte integrativa della retribuzione tabellare ed aveva condannato I’INPDAP, quale successore INADEL a corrispondere al lavoratore le differenze retributive dovute sull’indennità di premio servizio erogata al ricorrente al momento della soppressione dell’INADEL.

Viene censurata l’affermazione del Tribunale che non ha esteso il giudicato in quanto lo stesso riguarda il fatto ma non il principio di diritto espresso dal Tribunale peraltro con riguardo all’indennità di anzianità relativa a periodo precedente a quello oggetto del presente ricorso. Espone il ricorrente che l’accertamento contenuto nella suddetta sentenza non poteva essere rimesso in discussione atteso che l’accertamento della norma applicabile e non solo della situazione di fatto controversa, contenuti nella sentenza era diventato indiscutibile e incontestabile.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non ha allegato al presente ricorso la sentenza del Tribunale di Campobasso di cui invoca il giudicato, nè ha indicato in modo circostanziato la produzione della stessa nel giudizio di merito con conseguente violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, e non consentendo a questa Corte il vaglio di rilevanza della censura.

Peraltro, affinchè il giudicato esterno possa fare stato nel processo è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria (Cass., n. 6024 del 2017, n. 21469 del 2013).

3. Con il secondo motivo di impugnazione è prospettata la violazione della L. n. 70 del 1975, in particolare artt. 2,8,9,11,12,13,31, del D.P.R. n. 411 del 1976, art. 25,comma 1. Omesso esame ed omessa motivazione di un punto decisivo.

La Corte d’Appello non ha esaminato il motivo di impugnazione fondato sulla L. n. 70 del 1975 e sulla disciplina della soppressione di alcuni enti con l’istituzione di nuovi enti, in particolare con riguardo alle disposizioni che garantivano la salvaguardia del maggiore trattamento economico di carattere fisso e continuativo. Pertanto l’indennità di anzianità andava determinata sulla base della normale retribuzione di cui facevano parte lo stipendio e le indennità fisse e continuative come quella in questione.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Il vizio di omessa pronuncia ricorre ove manchi qualsivoglia statuizione su un capo della domanda o su una eccezione di parte, così dando luogo alla inesistenza di una decisione sul punto della controversia, per la mancanza di un provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto.

Tale vizio dà luogo ad error in procedendo, che deve essere dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c.. (Cass., 6835 del 2017), in quanto non venendo riportato il motivo di appello il cui esame sarebbe stato omesso la censura non rispetta la previsione dell’art. 366 c.p.c..

Così qualificando il motivo di impugnazione si rileva che lo stesso è inammissibile in quanto in caso di denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, del vizio di pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del giudice di merito, per non avere pronunciato su di un motivo di impugnazione proposto, il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente l’appello del giudizio, purchè ritualmente indicato ed allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, al fine di verificare contenuto e limiti della domanda azionata (Cass., n. 80908 del 2014), circostanza non verificatisi nel caso in esame.

4. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la inapplicabilità per mancata specificazione dei CCNL, indicati in sentenza in maniera generica e, in subordine, violazione, falsa interpretazione ed applicazione degli asseriti contratti collettivi dei dipendenti degli enti pubblici non economici (successivi da quello approvato con D.P.R. n. 346 del 1983), in specie 1994/1997 art. 32; 1998/2001, art. 28 e art. 29, comma 3. In subordine illegittimità dei citati articoli ove includano il C.I.P. nella retribuzione accessoria e non tabellare; inapplicabilità della giurisprudenza richiamata in sentenza, afferente enti diversi dall’INPDAP e basata su regolamenti applicabili ai loro dipendenti, ma non ai dipendenti INPDAP. Motivazione insufficiente ed illogica, falso presupposto. Vizio di extra petizione con riferimento all’estensione di giurisprudenza emessa in tema di illegittimità di regolamenti di altri enti.

Assume il ricorrente che le disposizioni pattizie sono state richiamate genericamente e che le stesse nulla aggiungono al D.P.R. n. 346 del 1983. Nè può farsi applicazione della giurisprudenza formatasi in ordine a enti diversi, senza un previo riscontro della identità delle relative disposizioni regolamentari.

Deduce il ricorrente che il compenso incentivante la produttività in quanto emolumento mensile, corrisposto tutti i mesi e tutti gli anni ha natura continua e stabile ed entra a far parte della retribuzione tabellare e non nella retribuzione accessoria (come affermato dal Tribunale di Campobasso nella sentenza di cui si invoca il giudicato), essendo correlata all’ordinario svolgimento della prestazione lavorativa (si richiama Cass., n. 12730 del 1998), a nulla rilevando la sua inclusione fatta nelle disposizioni collettive, nella retribuzione accessoria.

5. Il motivo non è fondato. Occorre premettere che la ratio decidenti della pronuncia di appello è costituita dall’interpretazione della L. n. 70 del 1975, art. 13mentre le disposizioni contrattuali sono richiamate ad abundantiam rimanendo tuttavia estranee alla medesima.

Correttamente la Corte d’Appello ha applicato la suddetta disposizione secondo i principi enunciati da questa Corte, che se pure affermati in controversie instaurate da lavoratori di enti diversi, per le argomentazioni che le sostengono, hanno carattere generale.

Come affermato da questa Corte, infatti, (Cass., n. 4749 del 2011, Cass., S.U., n. 7158 del 2010) in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del cosiddetto parastato, la L. n. 70 del 1975, art. 13 di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 c.c.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicchè deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (nella specie, l’indennità di funzione L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2, per la responsabilità di struttura rurale) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello dell’Inps, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo.

Pertanto, il compenso incentivante di produttività in questione, riconducibile alla previsione di cui all’art. 14 (la cui rubrica reca “Compensi incentivanti la produttività”) del D.P.R. n. 346 del 1983 (Disposizioni sul rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70), che al comma 1 prevede “Per il conseguimento degli obiettivi di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza degli enti, sono istituiti, con apposita deliberazione del consiglio di amministrazione, previa contrattazione di cui al terzo comma del precedente art. 2, compensi incentivanti la produttività”, esulando dallo stipendio complessivo annuo, non può essere incluso nella base di calcolo in questione.

Il compenso incentivante, previsto dal D.P.R. n. 346 del 1983, art. 14 infatti non costituisce una componente fissa e necessaria dello stipendio, ma è stato introdotto al fine del conseguimento degli obiettivi di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza degli enti ed è subordinato alla formulazione dì programmi di attività delle singole unità organiche ed alla introduzione di tecniche di rilevazione della produttività (Cons. Stato, 6^ Sezione, decisione n. 6297 del 2007).

Dal vaglio del D.P.R. 25 giugno 1983, n. 346, art. 14 che subordina la corresponsione del compenso incentivante alla formulazione di programmi di attività delle singole unità organiche alle ore di presenza in servizio, al motivato giudizio del dirigente in ordine al grado di impegno dimostrato ed alla valutazione dei risultati conseguiti, nonchè del successivo D.P.R. 8 maggio 1987, n. 267, art. 13 che non ha mutato nella sostanza le caratteristiche del premio o compenso incentivante, in quanto ha confermato che tale premio viene corrisposto a seguito di verifica, anche qualitativa, del conseguimento dell’obiettivo programmato e viene quantificato in relazione al grado di realizzazione degli obiettivi, al numero di ore di lavoro ordinario effettivamente prestate nel periodo di riferimento del piano ed alla valutazione del dirigente responsabile del progetto, risulta che detto premio incentivante non viene corrisposto in maniera fissa e continuativa al dipendente, ma dipenda nell’an e nel quantum da diverse variabili, che attengono alla produttività del dipendente stesso; pertanto esso non è computabile nel trattamento di quiescenza e previdenza (cfr., Cons. Stato, 6 Sezione, decisone n. 2691 del 2002). Nè i criteri di erogazione stabiliti ai sensi dell’art. 14, comma 3 (secondo cui: I criteri per l’attribuzione individuale dei compensi in rapporto ai risultati conseguiti rispetto a quelli programmati per le singole unità organiche sono stabiliti in sede di contrattazione decentrata ove prevista, o con deliberazione del consiglio di amministrazione, tenendo conto del parametro retributivo, delle ore di presenza in servizio e del motivato giudizio del dirigente in ordine al grado dell’impegno dimostrato da ciascun dipendente nell’esecuzione del programma di attività), possono incidere sulla natura giuridica dell’istituto in questione nei termini anzidetti, come delineato dal legislatore.

6. Il ricorso deve essere rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2018

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