Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3619 del 04/02/2022
Cassazione civile sez. I, 04/02/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 04/02/2022), n.3619
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 24046/2017 proposto da:
P.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via
Premuda, 1 presso lo studio dell’Avvocato Sergio Fedeli, che la
rappresenta e difende per procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
O.I., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pierluigi da
Palestrina, 19 presso lo studio dell’Avvocato Maria Cristina
Cialdini, che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce
al controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 3064/2016 della Corte d’Appello di Roma,
pubblicato il 22/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/12/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.
Fatto
RILEVATO
CHE:
1. La Corte d’Appello di Roma, con decreto in data 1 febbraio 2012, in parziale accoglimento del reclamo proposto da O.I. contro il provvedimento del Tribunale di Latina che aveva rigettato il ricorso da lui avanzato per ottenere la modifica delle condizioni della sua separazione da P.M.A. (o M.), definite con accordo consensuale omologato il (OMISSIS), dichiarò cessato a far data dal (OMISSIS) l’obbligo del reclamante di corrispondere alla moglie l’assegno di mantenimento, fissato nell’accordo in Euro 700,00 mensili.
2. Entrambe le parti proposero ricorso per la cassazione del decreto.
2.1. Questa Corte, con l’ordinanza n. 17874 del 12 agosto 2014, accolse il ricorso principale di P. e cassò il capo del provvedimento impugnato col quale la corte del merito aveva revocato l’obbligo di versamento dell’assegno, rilevando che non risultava che il coniuge richiedente la modifica, sul quale gravava il relativo onere, avesse fornito prova del miglioramento della situazione economica della ricorrente rispetto alla data della separazione, non essendo detto miglioramento desumibile dalla mera iscrizione della stessa all’albo degli avvocati; dichiarò invece inammissibile il ricorso incidentale di O., che aveva lamentato l’erroneità della pronuncia nella parte in cui il giudice a quo aveva escluso il peggioramento della sua condizione patrimoniale e reddituale.
3. La Corte d’Appello di Roma, dinanzi alla quale il procedimento è stato riassunto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con decreto del 22 novembre 2016, nel pronunciare quale giudice del rinvio, ha accolto il reclamo di O. nei medesimi termini in cui l’aveva accolto il decreto cassato ed ha pertanto dichiarato cessato a far data dal (OMISSIS) l’obbligo del reclamante di corrispondere alla moglie l’assegno di mantenimento.
I giudici capitolini hanno:
a) da un canto, apprezzato il deterioramento delle condizioni patrimoniali di O., in ragione del fallimento di una delle sue società e della dismissione di immobili in comproprietà;
b) dall’altro, ritenuto che l’onere dell’obbligato di provare la sopraggiunta autonomia economica di P. doveva ritenersi notevolmente attenuato dalla clausola, contenuta nell’accordo consensuale omologato, con la quale, nello stabilire la misura dell’assegno, si dava atto che l’avente diritto era all’inizio della carriera di avvocato e si auspicava il miglioramento della sua posizione professionale; secondo il giudice del rinvio tale clausola, che trovava presupposti di ragionevolezza nella breve durata del matrimonio e nella giovane età della signora, andava interpretata quale manifestazione della volontà di entrambi i coniugi di limitare il contributo del marito al mantenimento della moglie al periodo di tempo necessario alla stabilizzazione del già avviato percorso professionale di quest’ultima, la quale avrebbe dunque fornire riscontro dell’operosità profusa al fine di assicurare il superamento della condizione, anche temporale, cui l’assegno era collegato; P. aveva invece concentrato le proprie difese sulla posizione e sulle risorse del coniuge, senza dar conto di quanto da lei attuato sotto il profilo professionale nei circa dieci anni trascorsi dalla separazione e si era limitata a produrre documentazione che non consentiva una verifica delle sue effettive capacita di produrre reddito.
4. P.M.A. propone ricorso per la cassazione del decreto, affidato a tre motivi e illustrato da memoria, cui O.I. resiste con controricorso, anch’esso corredato da memoria.
Diritto
RITENUTO
CHE:
1. Con il primo motivo P. deduce la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 384c.p.c. e dell’art. 143 disp. att. c.p.c.
Imputa alla corte di merito: 1) di non essersi attenuta al principio di diritto, fissato dalla sentenza rescindente, secondo il quale l’onere della prova dei fatti sopravvenuti, migliorativi o peggiorativi delle condizioni delle parti, grava su chi richieda la modifica delle condizioni della separazione; 2) di non aver tenuto conto che nella precedente fase di reclamo era stato già escluso il peggioramento delle condizioni patrimoniali di O.; 3) di avere apprezzato l’evoluzione in senso positivo della sua condizione economica e professionale sulla scorta di una “ragionevole presunzione” priva di riscontri probatori ed anzi smentita dai documenti da lei versati in atti.
2. Con il secondo motivo la ricorrente fa valere: l’erronea e/o omessa interpretazione dei fatti di causa e della pronuncia di primo grado e l’erronea e mancata valutazione delle prove documentali, in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; il difetto di logicità, l’apparenza di motivazione e l’omesso esame dei fatti decisivi emergenti dai documenti versati in atti.
3. Con il terzo motivo deduce omessa pronuncia, violazione dell’art. 112 c.p.c. e/o carenza di motivazione, oltre che violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in ordine alla statuizione di compensazione delle spese di lite.
4. Il primo motivo è fondato.
4.1. E’ bene ribadire che, per solido indirizzo di legittimità, i limiti dei poteri attribuiti al giudice del rinvio sono differenti a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni.
Nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (in termini, ex multis, cfr.: Cass. 14/01/2020, n. 448).
4.2. Con l’ordinanza n. 17874 del 2014, questa Corte, nel ribadire che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., nel procedimento introdotto per la modifica delle condizioni della separazione, l’onere di provare i fatti sopravvenuti, peggiorativi o migliorativi delle condizioni economiche delle parti e rilevanti ai fini della modifica, grava sul coniuge richiedente, ha:
a) accolto il ricorso principale, ritenendo sussistente il denunciato vizio di motivazione del decreto impugnato là dove la corte del merito aveva desunto l’effettivo svolgimento da parte di P. dell’attività di avvocato dal mero fatto della sua iscrizione all’albo professionale.
b) dichiarato inammissibile il ricorso incidentale di O. fissando in modo non più controvertibile l’accertamento con cui il giudice del reclamo aveva escluso il peggioramento delle condizioni economiche del coniuge obbligato.
L’ordinanza di questa Corte ha dunque definito i termini del nuovo accertamento rimesso al giudice del rinvio individuandoli nella sola verifica dell’assolvimento, da parte del reclamante, dell’onere di provare il miglioramento della situazione economica della beneficiaria dell’assegno rispetto alla data di omologazione della separazione.
5. La Corte d’appello di Roma, con il decreto del 22 novembre 2016, ha invece palesemente travisato la portata della pronuncia rescindente, non rispettando i limiti della cognizione devolutale, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., in sede rescissoria.
La corte ha infatti ritenuto l’onere del richiedente la modifica attenuato dal contenuto dell’accordo consensuale omologato, che attribuiva l’assegno alla moglie per “un tempo limitato al superamento dell’avvio della professione”, stimando, su questa premessa, venuto meno “trascorsi cinque anni dalla separazione” l’obbligo di corresponsione, in ragione del comprovato deterioramento delle condizioni patrimoniali di O. e di una presunzione – di avvenuta evoluzione in senso positivo della posizione economica e professionale di P. – tratta dall’incompletezza della produzione documentale di quest’ultima: i giudici romani hanno dunque, sotto un primo profilo, esorbitato dall’accertamento loro demandato, traendo argomenti di convincimento da una nuova valutazione della posizione economica del reclamante preclusa dal giudicato interno formatosi sull’accertamento compiuto, in ordine al medesimo punto, nel provvedimento cassato; sotto altro profilo, hanno violato il disposto dell’art. 2697 c.c., nonostante questa Corte si fosse fatta carico di precisare in qual modo andasse ripartito in giudizio l’onere della prova, omettendo totalmente di verificare se O. avesse dedotto o documentato precise circostanze dalle quali poter desumere il miglioramento delle condizioni economiche della moglie e, sostanzialmente, gravando P. dell’onere di fornire la prova negativa contraria, laddove hanno tratto la presunzione della positiva evoluzione della sua posizione professionale dall’inadeguatezza della documentazione dalla stessa prodotta.
All’accoglimento del primo motivo di ricorso conseguono la cassazione del decreto impugnato, l’assorbimento dei restanti motivi e il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà alle statuizioni della prima ordinanza rescindente e provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile, il 15 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2022