Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3618 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. I, 16/02/2010, (ud. 12/10/2009, dep. 16/02/2010), n.3618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Holzbau s.p.a. in persona del legale rappresentante elettivamente

domiciliato in Roma, via Barberini 86 presso l’avv. Croce Marco,

rappresentata avv. Russo Marcello e Del Monte Manuel, in atti;

– ricorrente –

contro

Azienda di Soggiorno e Turismo di Pescara (AST) in persona del

lodatore, elettivamente domiciliata in via Paolo Emilio rappresentata

e difesa dall’avv. Osvaldo Prosperi giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 364/06 del

12.5.2006.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12.10.2009 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Del Monte per la ricorrente e Prosperi per l’Azienda

Autonoma;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Destro Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione dell’11.11.1997 l’Azienda di Soggiorno e Turismo di Pescara proponeva opposizione avverso il decreto con il quale, sull’istanza della Holzbau s.p.a., le era stato ingiunto il pagamento di L. 10.890.250.714, in relazione a lavori svolti dall’intimante.

In particolare l’opponente eccepiva l’illegittimità e/o l’inefficacia dei sette contratti con i quali erano state commesse in appalto opere di ristrutturazione del complesso sportivo “Le Naiadi” e su cui si fondava il credito, polche conclusi nell’inosservanza delle regole relative alla stipulazione dei negozi da parte di enti pubblici.

Sarebbe stato infatti accertato che l’Azienda di Soggiorno, negli anni in cui erano sorti i rapporti, era stata gestita in un contesto di illegalità diffusa (come emerso anche da due sentenze penali) mentre, per quanto specificamente riguardava i contratti in oggetto, veniva rilevato che i primi tre erano stati stipulati sulla scorta di delibere consiliari non sottoposte a controllo degli organi regionali e alle quali era mancato anche il controllo successivo e, per gli altri quattro, che erano stati conclusi in assenza di delibera consiliare di autorizzazione alla stipula. Sollecitava quindi l’annullamento o la declaratoria di nullità dei contratti in questione, contestando comunque anche la quantificazione del credito azionato. La Holzbau si costituiva chiedendo il rigetto dell’opposizione e, in via riconvenzionale, la rivalutazione; del credito riconosciuto, la condanna generica del liquidatore dell’Azienda di Soggiorno al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. oltre che, subordinatamente, la condanna dell’intimata al pagamento della medesima somma richiesta con il decreto a titolo di indebito arricchimento.

Il tribunale di Pescara adito dichiarava inammissibile la domanda di condanna del liquidatore e quella subordinata di indebito arricchimento, annullava i contratti di appalto e respingeva infine la domanda di pagamento svolta in sede monitoria.

La decisione, impugnata dalla Holzbau, veniva confermata dalla Corte di Appello dell’Aquila, che riteneva insussistenti i vizi denunciati osservando in particolare: a) per quello di ultrapetizione (terzo motivo), rappresentato sotto il profilo dell’avvenuto annullamento dei contratti pur a fronte di una richiesta di invalidità dei negozi, che l’Azienda di Soggiorno nelle conclusioni dell’atto di citazione avrebbe richiesto in via alternativa la nullità o l’annullamento dei contratti; b) per quello concernente il mancato rispetto delle norme procedurali da parte dell’ente pubblico, la relativa rilevabilità, l’esistenza di un rapporto organico del dipendente o dell’amministratore con l’ente pubblico – che in quanto tale avrebbe sollevato il contraente soggetto privato dall’onere di ulteriori controlli – (secondo e terzo motivo), che la normativa vigente (segnatamente L.R. Abruzzo n. 20 del 1972, art. 3) avrebbe assegnato alla Giunta regionale il controllo sugli atti degli Enti Provinciali del Turismo (sicchè la relativa mancanza avrebbe comportato l’annullabilità dei negozi in questione); che l’esigenza del controllo sarebbe stata particolarmente elevata poichè i detti contratti, per il loro valore, avrebbero potuto essere conclusi solo all’esito di procedura di evidenza pubblica; che la richiesta di pagamento nei confronti dell’ente pubblico sotto il profilo dell’esistenza di un rapporto organico con il proprio amministratore o dipendente sarebbe risultata incompatibile con quella di pagamento viceversa formulata, sulla base della domanda di adempimento di contratti di cui era stata dichiarata la nullità; c) per quello attinente alla domanda di arricchimento svolta nella comparsa di costituzione in via riconvenzionale e subordinata, che nel giudizio di cognizione instaurato a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo l’opposto non avrebbe potuto far valere domande diverse da quelle formulate con la richiesta di ingiunzione.

Avverso la decisione la Holzbau proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resisteva con controricorso l’Azienda di Soggiorno. Entrambe le parti depositavano infine memoria. La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 12.10.2009.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi di impugnazione la Holzbau ha rispettivamente denunciato: 1) violazione della L.R. 8 settembre 1972, n. 20, art. 5, del D.P.R. 27 agosto 1960, n. 1042, dell’art. 125 Cost., della L. 10 febbraio 1953, n. 62, artt. 41 e segg., per il fatto che l’eccepito mancato controllo da parte della Regione non avrebbe potuto essere rilevato dall’amministrazione che aveva dato causa al vizio in questione. Inoltre sarebbe stato insussistente il prospettato obbligo di controllo da parte della Regione, poichè la L.R. 8 settembre 1972, n. 20, art. 5 avrebbe disposto l’ultravigenza della legge statale fino alla regolamentazione della materia con legge regionale, regolamentazione avvenuta con la L.R. 19 marzp 1996 o, al più, con la L.R. 22 gennaio 1992 in materia di controlli. Viceversa secondo il D.P.R. n. 1042 del 1960, art. 6 le iniziative dirette alla costruzione, istituzione e miglioramento di impianti di interesse turistico non avrebbero dovuto essere sottoposte ad alcun controllo e pertanto la statuizione sarebbe errata sul punto.

2) violazione della L. n. 144 del 1989, atteso che prima della emanazione della detta legge (ed i contratti in questione erano stati stipulati in epoca antecedente) gli amministratori che ordinavano spese non regolarmente autorizzate ne rispondevano in proprio nei confronti dell’Amministrazione ed i vizi eventualmente riscontrabili al riguardo avrebbero potuto aver rilievo esclusivamente nell’ambito interno dell’organizzazione dell’ente, senza spiegare alcun effetto sulla validità ed efficacia del contratto privatistico.

3) violazione degli artt. 1441 e 1442 c.c., considerato che l’Azienda Turistica aveva dedotto la nullità dei contratti e non l’annullabilità degli stessi, che pertanto non avrebbe potuto essere rilevata di ufficio. Il rilievo era stato per vero disatteso dal giudice del merito, davanti al quale era stato sollevato, ma la motivazione adottata sul punto non sarebbe stata condivisibile perchè la formulazione letterale della richiesta contenuta nelle conclusioni dell’atto di citazione (“la declaratoria di invalidità ed inefficacia dei contratti di appalto anche per la violazione del combinato disposto dell’art. 1418 c.c. e L. n. 6464 del 1982 e della L. n. 57 del 1962, art. 13”) non avrebbe autorizzato l’interpretazione adottata.

4) illegittimità derivata della sentenza, nella parte in cui è stata negata la sussistenza dell’obbligazione principale, essendosi fatto da ciò discendere il mancato riconoscimento del maggior credito per danno ex art. 1224 c.c. e di quello per il pagamento dell’IVA. 5) violazione dell’art. 183 c.p.c. in tema di domande o eccezioni conseguenti a domanda riconvenzionale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in relazione alla domanda di indebito arricchimento proposta conseguentemente alle difese della controparte. Non vi sarebbe infatti motivo per escludere dall’oggetto della controversia concernente un rapporto creditizio un titolo ulteriore del credito tempestivamente dedotto, e ciò tanto più che l’opponente, pur dichiarando formalmente di non accettare il contraddittorio, aveva svolto ampia difesa sul merito della pretesa azionata.

Osserva il Collegio che le censure sono infondate. Prendendo dapprima in esame il terzo motivo di impugnazione, poichè pregiudiziale sul piano logico, la questione sollevata verte sulla corretta qualificazione della domanda, avendo la Holzbau sostenuto che l’Azienda di Soggiorno aveva dedotto la nullità dei contratti, sicchè la decisione di annullamento pronunciata di ufficio sarebbe stata “ultra petita”. In proposito tuttavia la Corte territoriale, alla quale era stata specificamente sottoposta la relativa questione, aveva negato la sussistenza della violazione dell’art. 112 c.p.c. in ragione del fatto che l’Azienda di Soggiorno aveva sollecitato la revoca del decreto ingiuntivo, “previa pronuncia di illegittimità/inefficacia” delle delibere autorizzative dei contratti “con conseguente declaratoria di invalidità/inefficacia dei sette contratti di appalto anche per violazione del combinato disposto dell’art. 1418 c.c., L. n. 646 del 1982, art. 21”, e desumendo in particolare dalla locuzione “anche” la volontà della parte di richiedere alternativamente la nullità o annullabilità dei negozi, circostanza che avrebbe escluso in radice l’astratta configurabilità del vizio denunciato.

Si tratta dunque di valutazione di merito sufficientemente motivata e contestata in modo del tutto generico, atteso che la Holzbau si è limitata a ritenere non condivisibile l’interpretazione data all’avverbio “anche”, senza però indicare il canone ermeneutico asseritamente violato e finendo quindi per contrapporre la propria interpretazione a quella data dalla Corte di appello.

Da qui, conseguentemente, l’inconsistenza della doglianza.

Con il primo motivo di impugnazione, come detto, è stata denunciata violazione di legge con riferimento all’affermata necessità che i contratti di appalto oggetto di giudizio fossero sottoposti al controllo della Giunta regionale ed alla conseguenza (declaratoria di invalidità) fatta derivare dalla mancanza di tale adempimento.

In proposito giova innanzitutto precisare che la questione prospettata rileva esclusivamente con riferimento ai tre contratti stipulati in data 6.7.87, 5.1.88, 22.1.88, poichè per gli altri quattro del 20.7.1987, 27.8.87, 16.9.87, 28.10.87 la Corte di appello ne ha affermato l’invalidità anche in quanto non conclusi all’esito della procedura di evidenza pubblica come si sarebbe dovuto, e la statuizione non è stata oggetto di impugnazione.

Per quanto concerne dunque i tre contratti sopra citati il problema (risolto dalla Corte di appello nei termini indicati) è sorto con riferimento all’interpretazione della L.R. Abruzzo 8 settembre 1972, n. 30, che con l’art. 3 ha attribuito alla Giunta regionale la funzione del controllo sulle Aziende di turismo e Soggiorno (oltre che sugli Enti Provinciali di Turismo) e con l’art. 5 ha stabilito l’ultravigenza delle norme statali nel settore del Turismo, in quanto applicabili, fino a quando non diversamente disposto con legge regionale. L’inesistenza di una specifica e dettagliata disciplina sui controlli degli atti delle Aziende di turismo all’epoca della stipulazione dei contratti in esame ha indotto dunque la Holzbau a sostenere l’applicabilità della preesistente disciplina statale che in particolare, nell’assegnare i compiti demandati alle Aziende di turismo, escludeva dal controllo le iniziative dirette alla costruzione, istituzione e miglioramento degli impianti di interesse nel settore (D.P.R. n. 1042 del 1960, artt. 6 e 10).

Ciò premesso, occorre considerare al riguardo che per quanto la Carta Costituzionale (art. 117) attribuisse alle Regioni le competenze in materia di turismo, il trasferimento in loro favore da parte dello Stato si è realizzato soltanto con il D.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6. Fino ad allora la trattazione della materia era affidata al Ministero specificamente competente (del Turismo e dello Spettacolo), i cui compiti amministrativi erano assolti in sede provinciale dagli Enti Provinciali del Turismo e localmente, nei siti riconosciuti con decreto come stazioni di cura, soggiorno e turismo, dalle aziende di cura, soggiorno e turismo, sotto il controllo di Ministero, Prefettura e Enti Provinciali del Turismo.

Con la sopra citata L.R. 8 settembre 1972, n. 20 il legislatore ha poi attribuito le rispettive funzioni al Consiglio Regionale (art. 2), alla Giunta Regionale (art. 3), al Presidente della Giunta Regionale (art. 4), facendo richiamo alla disciplina statale se compatibile, stante l’incompletezza della regolamentazione, e fissando inoltre il termine ordinatorio e acceleratorio di un anno (poi prorogato di ulteriori nove mesi, ai sensi della L.R. 17 gennaio 1974, n. 2, art. 1) per la predisposizione di un’organica disciplina regionale (art. 1).

Orbene ritiene il Collegio che il riferimento alla normativa statale (e quindi nella specie al D.P.R. 27 agosto 1960, n. 1042) debba valere soltanto nei limiti in cui la legge regionale nulla abbia disposto sul punto, e ciò in quanto, diversamente, si verrebbe a determinare un inammissibile vuoto normativo. Nel caso in esame, viceversa, il legislatore ha preso in considerazione il profilo relativo al controllo, indicando in particolare la Giunta regionale quale organo competente in proposito, sicchè una difforme interpretazione al riguardo si porrebbe in contrasto con il chiaro dettato normativo e la volontà del legislatore.

inoltre va pure evidenziato che, anche ove permanesse un margine di incertezza in ordine all’apprezzamento dell’ambito di estensione della L.R. n. 20 del 1972, art. 5 (ipotesi peraltro non ravvisata nella specie per la ragione sopra indicata), l’interpretazione della disposizione dovrebbe essere necessariamente improntata a criteri restrittivi poichè, come visto, la disciplina statale in materia di turismo di cui si invoca l’applicazione si inseriva in un differente quadro normativo, realizzato in epoca antecedente alla attuazione delle Regioni e ispirato a superati criteri centralistici, affermati in un contesto assolutamente diverso.

La riviviscenza della normativa statale, laddove non strettamente necessaria, si porrebbe dunque in contrasto con il dettato costituzionale, rappresenterebbe una indebita opposizione al processo di attuazione delle Regioni imposto dalla Costituzione, non sarebbe in sintonia con la normativa statale successivamente entrata in vigore, finalizzata alla concreta realizzazione della Carta costituzionale sul punto.

Deve dunque concludersi che, stante il non equivoco dettato normativo risultante dalla L.R. n. 20 del 1972, artt. 3 e 5, i contratti in questione avrebbero dovuto essere sottoposti al controllo della Giunta regionale. Nè vale in senso contrario il fatto – ritenuto ostativo all’applicazione della L. n. 20 del 1972, art. 3 – che mancasse “una norma che stabilisse tempi e modalità del controllo”, e ciò sotto il duplice aspetto che comunque l’Azienda di Soggiorno si sarebbe dovuta attivare per assicurarsi il consenso dell’organo di controllo (e cioè la Giunta), formulando in tal senso espressa richiesta corredata della indispensabile documentazione, evento viceversa non verificatosi, ed inoltre poichè l’assenza di regolamentazione specifica al riguardo non costituisce fatto idoneo a precludere l’esercizio del dovere di controllo attribuito alla Giunta, essendo comunque applicabile la disciplina di carattere generale relativa al suo funzionamento, contenuta nei regolamenti dell’organo regionale. Quanto poi alla doglianza attinente alla non rilevabilità del vizio dell’atto da parte Pubblica Amministrazione che lo aveva determinato, trattandosi di violazione attinente ad una norma di azione, la questione è mal posta (come, sia pur con non calibrata motivazione, ha già ritenuto la Corte di appello) poichè nella specie i contratti sono stati stipulati dalla P.A. “iure privatorum”, l’operatività dell’accordo è venuta meno per effetto della mancata approvazione tutoria, il negozio risulta dunque inefficace (C. 95/1885, C. 91/7529), rilievo assorbente rispetto all’ulteriore deduzione secondo cui “Non può la P.A. chiedere al giudice civile la disapplicazione in proprio favore di atti da lei stessa posti in essere”.

Il secondo motivo è parzialmente connesso con il primo, essendo incentrato sulla antecedenza cronologica dei contratti in esame alla L. n. 144 del 1989, che aveva introdotto una frattura nel rapporto organico fra l’Amministrazione e l’operato dei suoi amministratori, circostanza questa che, nella vigenza dell’automatico riferimento alla prima dell’attività di questi ultimi, avrebbe escluso ogni obbligo di controllo rispetto ad un atto alla cui formazione, sia pur viziata, la parte privata era rimasta estranea.

La Corte di appello, per vero, era già stata investita della questione, risolta negativamente in ragione del fatto che l’accertata invalidità di un contratto stipulato anche dalla P.A. avrebbe comportato solo la possibilità di chiedere il pagamento di un indennizzo a titolo di indebito arricchimento, e non anche quella di chiedere la condanna all’esecuzione del contratto, sicchè la doglianza, focalizzata come detto sull’irrilevanza dell’iter procedimentale della P.A. per il privato e l’inesistenza a suo carico di un obbligo di controllo, appare generica e non in sintonia con la “ratio decidendi”, poichè sviluppata sostanzialmente sulla inopponibilità del vizio. Peraltro nel merito risulta infondata sotto un duplice aspetto, e cioè in quanto: a) la questione non è quella – di connotazione pubblicistica – se sia o meno configurabile un obbligo di controllo a carico del privato in ordine ad un atto emesso all’esito di un procedimento amministrativo, ma quella – di rilevanza privatistica – se si sia o meno verificata la condizione cui la legge subordina l’efficacia del contratto, in modo tale che questo possa costituire fonte di obbligazione per i contraenti; b) contrariamente a quanto sostenuto, i vizi del procedimento amministrativo che accompagnano il compimento dell’attività negoziale della P.A. sono rilevabili soltanto da quest’ultima, essendo prescritte le formalità omesse nel suo esclusivo interesse (C. 06/21019, C. 89/1682, C. 84/1578, C. 72/244, C. 70/1061, C. 62/1092).

Il quarto motivo di impugnazione è poi inammissibile, essendo sostanzialmente privo di censura, atteso che l’omessa pronuncia di condanna per le obbligazioni accessorie (pagamento dell’IVA e maggior credito per danno da rivalutazione monetaria) è riconducibile al mancato riconoscimento del credito principale da inadempimento contrattuale, che ha determinato l’assorbimento delle ulteriori domande.

Resta infine il quinto ed ultimo motivo relativo all’affermata inammissibilità della domanda di indebito arricchimento, statuizione che appare viceversa corretta tenuto conto che nel giudizio di cognizione instaurato a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può far valere domande diverse da quelle originariamente rappresentate (C. 03/17440, C. 02/14267), ne si tratta nella specie di riconvenzionale conseguente ad una riconvenzionale dell’opponente (che al contrario non ha formulato alcuna domanda), ipotesi sola che, astrattamente, avrebbe potuto consentire una deroga al principio sopra indicato (C. 07/8077, C. 06/21245).

Conclusivamente il ricorso va rigettato, con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 30.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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