Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3618 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 13/02/2020), n.3618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14292/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

CENTRO AUTO LIBERATI S.R.L., rappresentata e difesa dall’avv. Massimo

Ionà, elettivamente domiciliata in Roma, circonvallazione Clodia n.

36/A, presso lo studio dell’avv. Pietro Imbimbo.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

sezione n. 29, n. 322/29/11, pronunciata il 15/11/2011, depositata

il 2/12/2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 dicembre

2019 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate ricorre, con tre motivi, contro Centro Auto Liberati S.r.l., che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello dell’ufficio, avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto l’impugnazione, da parte della società contribuente, di due avvisi di accertamento IRES, IRAP, IVA, per gli anni 2004 e 2005, che recuperavano a tassazione (per ciascun periodo d’imposta) costi indeducibili e ricavi non dichiarati;

la Commissione laziale (per quanto tuttora rileva) ha affermato che: (a) con riferimento all’indebita deduzione di quote di ammortamento in misura superiore a quanto consentito, la contribuente aveva dimostrato che, dalla riduzione del termine di ammortamento, essa non aveva tratto un risparmio d’imposta, sicchè non ricorreva alcun danno erariale; (b) con riferimento alla deduzione dei canoni di leasing, trattandosi di un’operazione di sale and lease back, il fine di ottenere una certa liquidità è lecito anche ove l’Amministrazione finanziaria dimostri che la società già disponesse di una liquidità sufficiente per fare fronte alle proprie necessità operative; (c) la società aveva dato prova dell’effettività delle spese di consulenza; (d) la tesi degli accertatori dell’esistenza di ricavi non contabilizzati non era fondata perchè, riguardo alle poste dei conti “debiti vs soci” e “cassa contabile”, la contribuente aveva dimostrato di avere restituito, nel 2005, le relative somme, “onde apparentemente nessun ricavo sembra essere stato conseguito” (cfr. 5 della sentenza impugnata); (e) non erano state rilevate irregolarità formali nelle scritture contabili, tali da renderle, nel complesso, inattendibili, e da legittimare gli accertamenti, in via presuntiva, compiuti dall’Agenzia.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a. preliminarmente, è priva di fondamento l’eccezione della contribuente di tardività del ricorso per cassazione, la cui notifica, da parte dell’ufficio, è stata effettuata tempestivamente, nell’ultimo giorno utile, ex art. 327 c.p.c., comma 1, ossia il 4/06/2012, in quanto il termine semestrale per la notifica, con scadenza 3/06/2012 (una domenica), è stato prorogato di diritto al giorno successivo, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 4;

1. con il primo motivo del ricorso (1) Violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere affermato che l’indebita deduzione di quote di ammortamento superiori al dovuto non fosse idonea ad arrecare alla società alcun risparmio d’imposte e che non avesse causato alcun danno all’erario, in quanto, comunque, per effetto del disconoscimento dei maggiori ammortamenti nel 2004, gli accertatori avrebbero dovuto rettificare in diminuzione i redditi del 2007 e 2008, omettendo di considerare che, per costante giurisprudenza, non è consentito al contribuente ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo di reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza;

1.1. il motivo è fondato;

è utile riassumere (principi di diritto che presidiano la materia dei criteri d’ammortamento, alla luce del saldo indirizzo della Corte (Cass. 14/10/2015, n. 20680; conf.: 16478/2014; 22016/2014; 25758/2014, 451/2015): (a) ai fini della determinazione del reddito di impresa, la deduzione delle quote di ammortamento del costo dei beni strumentali deve avvenire in base alle inderogabili regole civilistiche di redazione del bilancio, operanti, in difetto di disposizioni specifiche di segno contrario, anche a fini fiscali; (b) ne consegue che, in sede di dichiarazione, il contribuente non può procedere discrezionalmente alla determinazione delle quote di ammortamento, giacchè, stante la previsione dell’art. 2426 c.c., comma 1, n. 2, l’ammortamento deve essere necessariamente improntato al criterio di sistematicità e le quote di ammortamento, dovendo essere rapportate in modo tendenzialmente uniforme alla durata normale di utilizzazione dei beni strumentali, non possono, in assenza di adeguata esposizione della relativa giustificazione economica nella nota integrativa di bilancio, variare in relazione alle diverse annualità; (c) sul piano fiscale, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 102, comma 2, (t.u.i.r.), lungi dal rimettere la gestione degli ammortamenti alla discrezionalità del contribuente e dal costituire deroga al principio sopra esposto, vincola strettamente detta gestione, anche sotto il profilo della “competenza” (art. 109, t.u.i.r.), a rigorosi parametri quantitativi, temporali e di bilancio; (d) la ratio delle norme che, in materia di imposte sui redditi, disciplinano l’ammortamento dei costi per beni strumentali è quella di garantire la corretta rappresentazione del reddito d’impresa, tanto in relazione al principio di competenza quanto in rapporto all’autonomia delle obbligazioni tributarie relative a ciascun periodo di imposta, e, quindi, quella di assicurare l’esatta determinazione della base imponibile nel caso di deduzione di spese afferenti a beni strumentali il cui impiego e sfruttamento sia durevole nel tempo; (e) l’ingiustificata adozione di un regime di ammortamento diverso da quello prescritto, implicando una deduzione non consentita, comporta l’indebita alterazione della stessa base imponibile;

nella fattispecie, la Commissione regionale, laddove ha semplicisticamente affermato che la: “deduzione delle quote di ammortamento in misura superiore al dovuto” (cfr. pag. 3 della sentenza) non ha prodotto alcun risparmio d’imposta per la società e non ha causato un danno erariale, ha infranto i canoni giuridici sopra precisati, con specifico riferimento al principio di competenza (art. 109, t.u.i.r.) e, in definitiva, non ha considerato che l’applicazione (da parte della contribuente) di coefficienti d’ammortamento del costo dei beni strumentali maggiori di quelli stabiliti con D.M. 31 dicembre 1988, si pone in aperto contrasto con l’art. 102, comma 2, t.u.i.r., per il quale: “La deduzione (delle quote di ammortamento del costo dei beni materiali strumentali per l’esercizio dell’impresa) è ammessa in misura non superiore a quella risultante dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (…). I coefficienti sono stabiliti per categorie di beni omogenei in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi.”;

2. con il secondo motivo (2) Insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’Agenzia assume che aveva contestato (per il 2004 e per il 2005) ricavi non dichiarati sul presupposto che, da un lato, nel 2004, erano stati ritrovati assegni, per un ammontare di Euro 70.000,00, non contabilizzati in alcun conto; dall’altro, nel 2005, vi erano Euro 90.000,00 contabilizzati, ma non giustificati; imputa, quindi, alla Commissione regionale di avere aderito acriticamente alla tesi difensiva della società, senza considerare che quest’ultima aveva opposto, esclusivamente per il 2005, giustificazioni generiche, puntualmente disattese nell’atto impositivo;

2.1. il motivo è fondato;

la Commissione regionale è incorsa nel prospettato vizio motivazionale in quanto, in sostanza, essa ha aderito, in modo acritico, alla linea difensiva della contribuente – che, per altro, riguardava soltanto il 2005 – senza minimamente apprezzare le specifiche circostanze di fatto sulle quali l’ufficio aveva fondato i due recuperi a tassazione (per il 2004 e per il 2005), quali ricavi non dichiarati, di importi (Euro 70.000,00 ed Euro 90.000,00) che, rispettivamente, nel 2004, risultavano da assegni non contabilizzati; nel 2005, invece, erano stati contabilizzati, in assenza del necessario titolo giustificativo; al riguardo si osserva che, per il 2005, la CTR afferma, genericamente, che la contribuente avrebbe dimostrato di avere restituito queste somme, nel corso del medesimo esercizio, senza spiegare in che modo sarebbe stata data tale dimostrazione che si pone in contrasto con l’assunto dell’ufficio, per il quale non erano stati prodotti assegni o estratti conto attestanti la restituzione della somma di Euro 90.000,00 a Cars Tuscolana;

3. con il terzo motivo (3) Violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. a, b e d) e del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 54, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Omessa motivazione su fatti decisivi e controversi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’Agenzia premette che gli avvisi di accertamento contenevano alcune riprese, il cui annullamento, da parte del giudice di prima istanza, era stato oggetto d’appello, vale a dire: (a) doppia contabilizzazione di spese bancarie; (b) indebita deduzione di compensi corrisposti all’amministratore; (c) indebita deduzione di perdite; (d) indebita deduzione di spese di rappresentanza; (e) indebita deduzione di spese di assicurazione automezzi; in relazione a tali riprese, l’ufficio, innanzitutto, censura la sentenza impugnata che si è limitata a constatare che la contabilità della società era regolare e, pertanto, attendibile, il che rendeva illegittimo l’accertamento fiscale, fondato su mere presunzioni; sotto altro aspetto, ascrive alla C.T.R. di avere omesso di motivare sulla sussistenza o meno dei presupposti di fatto di ciascuna delle precisate riprese a tassazione;

3.1. il motivo è inammissibile;

è sufficiente ricordare l’orientamento della Sezione tributaria di questa Corte (Cass. 27/05/2014, n. 11876), al quale il Collegio intende aderire, in assenza di ragioni ostative, per il quale: “in tema di ricorso per cassazione è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse. A tali principi deroga solo l’ipotesi che il motivo comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 9793/13); ipotesi che, tuttavia, non è ravvisabile nelle concrete modalità di formulazione del motivo in esame, giacchè esso non indica specificamente nè le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme che si pretendono violate (Cass. 21659/05, 5076/07, 14832/07 e altre) nè i fatti storici controversi e decisivi su cui sarebbe stata omessa la motivazione (Cass. 2805/11: “Il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il ‘fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per ‘fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo.”).”;

alla stregua di queste considerazioni, fondati il primo e il secondo motivo, inammissibile il terzo, la sentenza è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo e il secondo motivo, dichiara inammissibile il terzo motivo, cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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