Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3616 del 14/02/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 3616 Anno 2018
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA

sul ricorso 23463-2016 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. C.F. 01585570581, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE TUPINI 113,
presso lo studio dell’avvocato NICOLA CORBO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2017
contro

4291

LUCARINI RENATO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 16/2016 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 14/02/2018

di ANCONA, depositata il 04/04/2016 R.G.N. 8/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/11/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato NICOLA CORBO.

Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso

r.g. n. 23463/2016

FATTI DI CAUSA

..

1. La Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa
città che, in accoglimento del ricorso proposto da Renato Lucarini, aveva dichiarato
illegittimo il licenziamento intimatogli da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. in data 24
ottobre 2006, ordinando la reintegrazione del lavoratore nel posto in precedenza
occupato e condannando la società datrice al risarcimento del danno, pari alle

di interessi legali e rivalutazione monetaria.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che alla dichiarazione unilaterale del lavoratore di
voler risolvere il rapporto, seppur reiterata nel tempo, era seguita una condotta del
tutto contrastante che le aveva fatto perdere di significatività. Ha poi verificato che il
licenziamento, intimato in relazione all’inidoneità del lavoratore al servizio ferroviario,
era illegittimo poiché non era risultata provata una incompatibilità delle condizioni di
salute del Lucarini con le mansioni elementari di supporto amministrativo svolte. Ha
evidenziato che eventuali intemperanze o conflitti sul luogo di lavoro, da collegare ai
tratti della personalità rigida e narcisistica del lavoratore, ben potevano essere risolti
sul piano disciplinare ove se ne fossero verificate le condizioni.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. con tre
motivi. Renato Lucarini è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo è denunciata la violazione degli artt. 1463 e 1464 cod. civ.
anche in relazione all’art. 5 della legge 20 maggio 1970 n. 300 ed agli artt. 41 e 42
del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81 per avere la Corte di appello ritenuto che la impossibilità
di esecuzione della prestazione da parte del lavoratore, a cagione del grave disturbo
della personalità da cui lo stesso era risultato affetto, ostasse alla risoluzione del
rapporto di lavoro, sebbene la prestazione fosse resa impossibile da tale grave
disturbo.
5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione
dell’art. 61 e ss. cod. proc. civ. anche in relazione all’art. 111 Cost. e la violazione
degli artt. 1463 e 1464 cod. civ. anche in relazione all’art. 5 della legge n. 300 del
1970 ed all’ art. 81 del d.lgs. n. 81 del 2008. Sostiene la ricorrente che la Corte
territoriale si sarebbe discostata dalle conclusioni alle quali era pervenuto il collegio
3

retribuzioni maturate e non erogate dal licenziamento alla reintegrazione maggiorate

r.g. n. 23463/2016

medico nominato in appello e non avrebbe adeguatamente chiarito le ragioni per le
quali aveva ritenuto preferibile la valutazione operata dal primo consulente nominato
in appello, che aveva confermato il giudizio espresso dal consulente di primo grado.
6. Con il terzo motivo di ricorso – nel rammentare che la condotta tenuta dal Lucarini
prima del recesso era incompatibile con un interesse a proporre una impugnazione del
provvedimento e che, conseguente,la domanda avrebbe dovuto essere dichiarata

elaborati dalla giurisprudenza in tema di abuso del diritto. Evidenzia infatti che la
scelta di impugnare il licenziamento era incompatibile con la sollecitazione,
proveniente dallo stesso ricorrente, di essere collocato in quiescenza per inabilità
totale ad ogni attività ferroviaria. Inoltre il comportamento tenuto dal lavoratore, che
aveva atteso quasi cinque anni per impugnare il recesso percependo medio tempore la
pensione correlata alla sua inabilità al servizio, rivelerebbe un sostanziale disinteresse
alla prosecuzione del rapporto e si porrebbe in contrasto con la scelta poi coltivata di
impugnare il recesso non conforme a correttezza e buona fede.
7. Le censure prima ancora che infondate sono tutte inammissibili.
7.1. Con il primo motivo di ricorso, pur formulato con riguardo ad una denunciata
violazione di legge, si pretende da questa Corte un diverso e più favorevole esame
delle emergenze istruttorie tutte compiutamente prese in esame dalla Corte di appello
con una ricostruzione che, sebbene non favorevole alla società che oggi la censura,
tuttavia non incorre nelle denunciate violazioni di legge. Il giudice di appello ha
correttamente applicato i principi ripetutamente affermati da questa Corte,che ha più
volte precisato che, anche in caso di sopravvenuta infermità permanente del
lavoratore, l’impossibilità della prestazione lavorativa quale giustificato motivo di
recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato (artt. 1 e 3 legge n.
604 del 1966 e artt. 1463 e 1464 cod. civ.) non è ravvisabile per effetto della sola
ineseguibilità dell’attività attualmente svolta dal prestatore di lavoro, perché può
essere esclusa dalla possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa attività, che sia
riconducibile – alla stregua di un’interpretazione del contratto secondo buona fede alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti (art. 2103 cod. civ.) o, se
ciò è impossibile, a mansioni inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile
nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito
dall’imprenditore. (cfr. Cass. s.u. 07/08/1998 n.7755 e recentemente 23/02/2016 n.
3485). Ed infatti l’esercizio dell’attività economica privata, garantito dall’art. 41 Cost.,
4

inammissibile – la società ricorrente si duole della mancata applicazione dei principi

r.g. n. 23463/2016

non é sindacabile nei suoi aspetti tecnici dall’autorità giurisdizionale e tuttavia deve
svolgersi nel rispetto dei diritti al lavoro e alla salute. Non viola allora la norma citata il
giudice che dichiara illegittimo il licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità
fisica alle mansioni assegnate, senza che il datore di lavoro abbia accertato se il
lavoratore potesse essere addetto a mansioni diverse e di pari livello, evitando

10/03/2015 n. 4757). La Corte di merito, infatti, ha preso in esame la situazione fisica
del lavoratore ed ha dato atto degli esiti delle consulenze disposte escludendo, in
conformità alle conclusioni formulate, che fosse ravvisabile una inidoneità assoluta al
lavoro in relazione all’esistenza di una patologia psichica. Con giudizio di merito a lei
riservato e che, in questa sede, non può essere censurato, la Corte territoriale ha
quindi concluso che il comportamento difficilmente adattabile del lavoratore non era
tale da integrare una inidoneità a svolgere qualsiasi mansione, tenuto conto del
carattere elementare delle stesse che ne avrebbero consentito l’utilizzazione in
mansioni di mero supporto nell’ambito degli uffici amministrativi ai quali pure era
stato destinato. In sostanza avrebbe dovuto essere offerta una prova, di cui nella
specie è stata accertata l’insussistenza, della inutilizzabilità del lavoratore in mansioni
diverse, ed in mancanza della quale, correttamente, la Corte ha escluso che il
licenziamento potesse essere considerato legittimo.
7.2. Ancora è inammissibile la censura contenuta nel secondo motivo di ricorso che
pur denunciando una pretesa violazione di legge 7 si duole del fatto che il giudice di
appello, nella valutazione delle risultanze della consulenza tecnica non abbia esercitato
il suo ruolo di peritus peritorum disattendendo le conclusioni alle quali erano pervenuti
gli ausiliari nominati. Osserva al riguardo il Collegio che nella specie non è ravvisabile
alcuna violazione dell’art. 61 del cod. proc. civ. che, come è noto, dispone che
“Quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o
per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica” e che
“La scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente fatta tra le persone iscritte
in albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione al presente codice”. Ciò
che è chiesto alla Corte è, piuttosto, che sia disatteso il ragionamento della sentenza
che ha escluso l’esistenza di una sopravvenuta impossibilità della prestazione da parte
del lavoratore. Orbene se è vero che nel nostro ordinamento vige il principio “judex
peritus peritorum”, in virtù del quale è consentito al giudice di merito disattendere le
5

trasferimenti di altri lavoratori o alterazioni dell’organigramma aziendale (Cass.

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argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio,
e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il
giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni
tecniche (cfr. Cass. 07/08/2014 n. 17757), tuttavia, ove come nel caso in esame, la
Corte di merito abbia dato compiutamente conto delle ragioni per le quali ha ritenuto
condivisibili le conclusioni alle quali erano pervenuti i consulenti la richiesta di un
diverso esame e di una differente ricostruzione delle risultanze istruttorie è preclusa in

modificato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in I. n. 134 del 2012, si è avuta

infatti una riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla
motivazione. Pertanto è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che
si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all’esistenza della motivazione in sé (sempre che il vizio risulti dal testo della sentenza
impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si
esaurisce quindi nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
Resta invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione (cfr. Cass. 07/04/2014 n. 8353 cui si rinvia, oltre a molte altre
successive). Nessuna di tali ipotesi è ravvisabile nel caso in esame atteso che la Corte
ha diffusamente motivato il suo convincimento e non è incorsa in alcun irriducibile
contrasto. Tantomeno, poi, la Corte di merito ha omesso l’esame di un fatto storico,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere
decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia) (cfr. ancora la citata Cass. s.u. n. 8353/2014 e molte altre successive).
Semplicemente, pur tenendo conto dei tratti caratteriali del lavoratore, in ciò
supportato da ben due consulenze tecniche d’ufficio che hanno confermato la
compatibilità delle difficoltà caratteriali con lo svolgimento dell’attività lavorativa
compatibile con le sue abilità, il giudice di appello è motivatamente pervenuto ad una
conclusione diversa da quella auspicata dalla società che, tuttavia, in questa sede non
è più censurabile. La denunciata violazione di legge si risolve allora in una richiesta di
un diverso e più favorevole esame delle emergenze istruttorie che, come si è
ricordato, qui nonYpiù consentito.
6

sede di legittimità. Ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ., nel testo

r.g. n. 23463/2016

7.3. Da ultimo va dichiarato inammissibile anche l’ultimo motivo di ricorso con il quale
si deduce che in violazione dei doveri di correttezza e lealtà il lavoratore avrebbe
impugnato il licenziamento sebbene avesse chiesto più volte di essere esonerato dal
servizio a cagione della riconosciuta – da lui stesso – inidoneità ed avesse comunque
fatto trascorrere, tra il licenziamento e l’impugnazione, un importante lasso
temporale (quasi cinque anni). Osserva al riguardo il Collegio che, mentre è pacifico
che la società avesse allegato che il lavoratore avesse in passato chiesto di essere

tardiva impugnazione del licenziamento quale elemento qualificante la volontà del
lavoratore di non proseguire nel rapporto. Non solo infatti la sentenza non ne tiene
affatto conto ma neppure la ricorrente precisa se dove e quando tale specifica
circostanza fosse stata allegata. Ne consegue che per tale profilo la censura è nuova
e, perciò, inammissibile.
8. In conclusione, per le considerazioni sopra esposte il ricorso è inammissibile.
Quanto alle spese la mancata costituzione del Lucarini rimasto intimato esonera la
Corte dal provvedere. Deve essere invece dato atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento
da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R..
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi dell’art. 13
comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato
d.P.R..
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 7 novembre 2017
Il Consigliere estensore
Fabrizia Garri

esonerato dal servizio, non risulta che sia stata denunciata in tale prospettiva una

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