Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3614 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 16/02/2010), n.3614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31194-2006 proposto da:

C.A., già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN

BARTOLOMEO DE VACCINARI 19, presso lo studio dell’avvocato RILLO

COSINO, rappresentato e difeso dagli avvocati CAMMARANO ANTONIO,

MIGLIORINO ENZO, giusta mandato a margine del ricorso e da ultimo

domiciliato d’ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

E.T.R. S.P.A.;

– intimata –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore avv.to Gian

S.P., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati COSSU

ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, CORETTI ANTONIETTA, giusta mandato in

calce alla copia notificata del ricorso;

– resistenti con mandato –

avverso la sentenza n. 1706/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 14/11/2005 r.g.n. 1199/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato SGROI ANTONINO per delega CORETTI ANTONIETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Salerno rigettò l’opposizione proposta dall’avvocato C.A. avverso la cartella esattoriale emessa dalla ETR spa e relativa ad un credito dell’Inps per contributi e somme aggiuntive inerenti alla posizione lavorativa di tale G. C., siccome ritenuta dipendente, in regime di subordinazione, del professionista.

La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza del 12.10 – 14.11.2005, rigettò l’appello proposto dal C., ritenendo, a sostegno del decisum e per quanto ancora qui specificamente rileva, quanto segue:

– il Giudice di primo grado aveva sufficientemente sviluppato la parte relativa allo svolgimento del processo, poichè ogni elemento di fatto posto a base del decidere era comprensibile dalla lettura complessiva della sentenza, ed aveva dato esaustivamente conto, nella motivazione, di avere preso in considerazione le argomentazioni delle parti, indicando, con riferimento alle risultanze istruttorie, le fonti del suo convincimento, basato su una valutazione globale del materiale acquisito, rendendo perciò palese il procedimento logico – valutativo seguito;

– la prospettazione dell’Inps nasceva da un accertamento ispettivo del Ministero del Lavoro allegato agli atti e il C., in data 26.8.2000, era stato notiziato del predetto rapporto “così come corredato di ogni più opportuna documentazione, della denunzia effettuata da G.C., delle dichiarazioni testimoniali di conoscenti”, in data 26.5.2000 era stato notificato al C. verbale di illecito amministrativo; l’Inps aveva quindi prodotto già in primo grado idonea documentazione a supporto del credito iscritto a ruolo e risultava di nessun pregio la doglianza relativa al mancato ricevimento della visita ispettiva;

– sulla base delle informazioni testimoniali assunte in sede ispettiva, doveva ritenersi che il rapporto di lavoro dedotto in giudizio fosse di natura subordinata, non essendo attribuibile valore di segno contrario al verbale di conciliazione concluso tra il C. e la lavoratrice, atteso che le transazioni non possono disporre del diritto dell’assicuratore, terzo rispetto al rapporto lavorativo, ovvero influenzare la debenza e l’entità dei contributi dovuti.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale C. A. ha proposto, nei confronti dell’Inps, della SCCI spa e della ETR spa, ricorso per cassazione fondato su due motivi. L’Inps ha depositato procura, partecipando alla discussione. La SCCI spa e l’ETR spa non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 132, 414 e 437 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, dolendosi che la Corte territoriale:

– abbia rigettato il motivo di gravame inerente alla nullità della sentenza di primo grado per la mancata esposizione dello svolgimento del processo e l’indicazione degli elementi giustificativi delle ragioni del decidere;

– abbia trascurato di considerare che l’unica documentazione allegata ritualmente agli atti di causa era quella prodotta da esso ricorrente, priva di eventuali allegati inerenti a sommarie informazioni testimoniali, le quali, peraltro, neppure risultavano allegate al verbale tardivamente prodotto in primo grado dall’Inps.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, dolendosi che l’Ente previdenziale avesse mancato di provare la natura subordinata del rapporto di lavoro dedotto in giudizio, dovendosi ritenere che le dichiarazioni informative, oltre che non utilizzabili sotto il profilo processuale, risultavano generiche e non indicative della fonte della asserita conoscenza delle circostanze riferite; le stesse, inoltre, risultavano superate dal contenuto del verbale di conciliazione ritualmente prodotto in giudizio.

2. Quanto alla prima censura svolta con il primo mezzo, si osserva che la Corte territoriale, pronunciando sul relativo motivo di gravame, ha escluso la pretesa nullità della sentenza di primo grado, osservando, nei termini già sinteticamente indicati nello storico di lite, la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4. La motivazione addotta al riguardo è immune da vizi giuridici, siccome fondata sull’assunto che la nullità della sentenza è ravvisabile solo allorquando resti impedito in radice di conoscere e di considerare gli elementi di fatto posti a base della decisione; trattasi inoltre di motivazione perfettamente comprensibile nel suo articolato svolgimento e priva di elementi di contraddittorietà.

Nè, in questa sede di legittimità, è consentito svolgere censure direttamente rivolte avverso la sentenza di prime cure, poichè il controllo di legittimità, al di fuori di ipotesi specifiche che qui non ricorrono, può avere ad oggetto soltanto la sentenza di appello e, pertanto, è inammissibile la doglianza, proposta dal ricorrente per Cassazione, che investa non già la sentenza di appello bensì quella di primo grado (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 5637/2006;

5714/1996; 722/1989).

2.1 Quanto alla seconda censura svolta con il primo mezzo, deve osservarsi che la Corte territoriale ha espressamente accertato che l’Inps aveva prodotto già in primo grado “idonea documentazione a supporto del credito iscritto a ruolo”, esaminando poi nel dettaglio le dichiarazioni degli informatori che, sempre secondo quanto espressamente affermato, erano già state poste a corredo del verbale ispettivo notificato alla parte datoriale (e, al riguardo, deve evidenziarsi che, già nell’atto d’appello, così come trascritto in ricorso, era stato dato atto dell’avvenuta notifica di tale verbale ispettivo).

A fronte di tali affermazioni il ricorrente assume che le dichiarazioni raccolte in sede ispettiva ed esaminate nel loro contenuto dalla Corte territoriale non risultavano allegate al verbale prodotto in prime cure dall’Inps e che i Giudici d’appello avrebbero “visionato la documentazione allegata agli atti in modo distorto o peggio ancora travisando la stessa”; deve quindi riconoscersi che, sotto tale profilo, il vizio addebitato alla sentenza impugnata non può essere ricondotto alla illegittima (in tesi) acquisizione di fonti documentali probatorie prodotte solo in grado d’appello, ma, piuttosto, ad un travisamento del fatto (processuale) inerente i tempi e i modi della produzione dei documenti medesimi; nel che deve però essere ravvisato un vizio di natura revocatoria, come tale inammissibile nel giudizio di cassazione.

2.2 Quanto al rilievo che l’Inps avrebbe comunque depositato la propria documentazione tardivamente e, perciò, irritualmente, deve rilevarsi che l’avvenuta valorizzazione di tale documentazione da parte del Giudice di primo grado ai fini del decidere configurava tacita, ma inequivoca, acquisizione processuale della stessa in forza dei poteri istruttori di cui all’art. 421 c.p.c. sicchè, sotto questo aspetto, legittimamente la Corte territoriale, anche a prescindere dai poteri officiosi di cui era a sua volta munita ai sensi dell’art. 437 c.p.c. ne ha tenuto conto, senza che da tanto possa farsi derivare l’obbligo di ammissione delle prove testimoniali articolate dall’odierno ricorrente solo in grado d’appello.

2.3 Il primo motivo, nei distinti profili in cui si articola, non può pertanto essere accolto.

3. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte l’esistenza del vincolo della subordinazione va concretamente apprezzata dal giudice del merito con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che, in sede di legittimità, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – come tale incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 4036/2000; 4171/2006).

Nella fattispecie la Corte territoriale, con motivazione priva di elementi di contraddittorietà, ha riconosciuto, sulla base del contenuto delle esaminate informazioni testimoniali, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, evidenziando l’avvenuto inserimento della lavoratrice nell’altrui organizzazione con la messa a disposizione delle energie lavorative, e tenendo al contempo conto dei cosiddetti elementi sussidiari, rappresentati dall’osservanza dell’orario, dalla continuità per alcuni anni e dalla regolarità mensile dei pagamenti.

Sicchè si rileva inammissibile in questa sede di legittimità, siccome rivolta ad un non consentito riesame del merito, la censura inerente alla concreta efficacia probatoria che dovrebbe essere riconosciuta alle ridette informazioni, in contrapposizione con quanto risultante dal verbale di conciliazione concluso fra il datore di lavoro e la lavoratrice, posto che, per consolidato orientamento di questa Corte, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti; con la conseguenza che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 13045/1997; 5802/1998).

Anche il secondo mezzo non può pertanto trovare accoglimento. 4. In forza delle considerazioni che precedono il ricorso va dunque rigettato.

Le spese a favore dell’Inps, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Non è luogo a provvedere sulle spese quanto agli altri intimati, stante la mancanza di attività difensiva da parte degli stessi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese a favore dell’Inps, che liquida in Euro 20,00 oltre ad Euro 1.000,00 (mille) per onorari e agli accessori di legge; nulla per le spese quanto agli altri intimati.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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