Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3611 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 16/02/2010), n.3611

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11776-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANGELO

BRUNETTI 33, presso lo studio dell’avvocato VALENZI FABRIZIO, che la

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 628/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 18/04/2005 r.g.n. 12/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato DE MARINIS NICOLA per delega FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato VALENZI FABRIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI COSTANTINO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe specificata la Corte d’appello di Torino, in relazione alla domanda proposta da S.M. intesa ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto a termine con il quale era stata assunta dalle Poste Italiane s.p.a., a decorrere dal 3 ottobre 1998, in parziale riforma della decisione di primo grado ha accertato la nullità della clausola di apposizione del termine – giustificata dalla società in ragione di esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali connessa alla privatizzazione dell’ente – e, per l’effetto, ha dichiarato che fra le parti si è instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dalla predetta data, condannando la società convenuta alla riammissione in servizio e al pagamento delle retribuzioni maturate dal momento di offerta della prestazione lavorativa dopo la disdetta, e cioè dalla data di svolgimento del tentativo di conciliazione.

2. La società propone ricorso per cassazione, con un unico motivo, illustrato con successiva memoria, deducendo che il contratto a termine doveva ritenersi legittimo alla stregua dell’accordo collettivo 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.

del 1994, da intendersi – secondo la giurisprudenza di legittimità – espressione della autonomia collettiva, autorizzata, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, a introdurre ipotesi diverse di contratto a termine, in ragione delle esigenze connesse alla ristrutturazione dell’ente, senza necessità di provare che la singola posizione lavorativa fosse assegnata a termine perchè coinvolta nella detta ristrutturazione. La lavoratrice resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va respinto, previa correzione della decisione impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Come questa Corte ha più volte affermato, e come va anche qui enunciato, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, 27-3-2008 n. 7979, 18378 del 2006).

In base a tale principio, va quindi confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo, essendo invece irrilevante la sussistenza, o meno, della prova di esigenze giustificative dell’apposizione del termine, sulla cui carenza la decisione impugnata ha invece fondato la sua statuizione.

Il ricorso va dunque respinto e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 19,00 per esborsi e in Euro duemilacinquecento per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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