Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 361 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 10/01/2017, (ud. 14/10/2016, dep.10/01/2017),  n. 361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4111-2013 proposto da:

B.A.M., (OMISSIS), P.S. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CESI 21, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMILIANO TORRISI, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIORGIO ASSENZA giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, V. CASILINA

1799/S, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA DE ANGELIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE BIAGIO CIRICA giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1578/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

emessa il 29/10/2012 e depositata il 06/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA.

Fatto

FATTO E RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con atto di citazione notificato il 26.9.2003, G.G. conveniva in giudizio, davanti il Tribunale di Ragusa, i coniugi P.S. e B.A.M., sostenendo di essere comproprietario, insieme ai convenuti, di un vano scala, facente parte di un edificio sito in (OMISSIS); chiedeva che gli fosse riconosciuto il diritto di aprire una porta che gli avrebbe consentito di accedere dal vano scala al secondo piano (terzo fuori terra) dell’edificio da costruire sull’adiacente area di terreno di sua proprietà.

Secondo quanto sostenuto dall’attore G., il diritto da lui vantato trovava fondamento in una clausola di un atto di compravendita stipulato dai convenuti.

I convenuti si costituivano in giudizio, sostenendo che tale diritto era già stato esercitato dall’attore poichè l’apertura era già stata realizzata.

2) Il Tribunale di Ragusa, con sentenza n. 539 del 22.6.2009, rigettava la domanda.

2.1) G.G. proponeva appello.

Gli appellati P. e B. si costituivano in giudizio.

2.2) La Corte di appello di Catania, con sentenza n. 1578 del 6.11.2012, ha accolto l’appello.

3) P.S. e B.A.M. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 31.1.2013, articolato su due motivi.

G. ha resistito con controricorso.

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio; ha proposto il rigetto del ricorso.

Parte resistente ha depositato memoria.

4) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano “nullità della sentenza e del giudizio di secondo grado, violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 4)”.

Sostengono la nullità della sentenza della Corte di appello di Catania per error in procedendo.

Il Giudice di secondo grado, rilevata la sussistenza del vizio di motivazione nella sentenza di primo grado, avrebbe dovuto rimettere la causa al primo Giudice e non, come poi aveva fatto, sostituirsi ad esso, “privando in tal modo la parte di un secondo grado del giudizio”.

4.1) La censura è infondata.

La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che: “La rimessione della causa dal giudice di appello al primo giudice è un’ipotesi eccezionale e tassativamente prevista dagli artt. 353 e 354 cit. codice.

Questo comporta che le invalidità di carattere processuale che si sono verificate nel giudizio di primo grado sono irrilevanti ed il giudice ha il potere-dovere di superarle attraverso la rinnovazione e di pronunciarsi sull’intera causa” (cfr. Cass. 1071/2000).

In particolare, “il vizio di nullità della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione non rientra fra quelli, tassativamente indicati, che ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comportano la rimessione della causa al primo giudice, dovendo il giudice del gravame, ove ritenga la sussistenza del vizio, porvi rimedio pronunciando nel merito della domanda, senza che a ciò osti il principio del doppio grado di giurisdizione, che è privo di rilevanza costituzionale” (cfr. Cass.13733/2014; Cass. 13426/2004).

Pertanto, il Giudice di appello, in virtù del cd. effetto devolutivo, ha “il potere di ridecidere, con gli stessi poteri dell’organo che ha emesso l’atto impugnato ed attraverso una nuova verifica di tutte le questioni che questo aveva già esaminato, con una pronuncia che ha natura ed effetto sostitutivi di quella gravata” (cfr. Cass. 8929/2005).

Nel caso in esame, la Corte di appello ha rilevato un “palese” vizio di motivazione nella sentenza del Giudice di primo grado, riscontrando “l’insufficiente esame dei punti decisivi della controversia prospettati dalle parti, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione”.

A fronte di ciò, la Corte si è correttamente sostituita al giudice di prime cure con il rifacimento integrale della motivazione.

4.2) Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano: “nullità della sentenza per contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)”. Sostengono che: “l’iter argomentativo che ha indotto la Corte di appello ad accogliere l’impugnazione proposta dal G. si appalesa del tutto illogico e in contraddizione con le risultanze probatorie”.

4.3) Il motivo risulta inammissibile, in quanto formulato sulla base del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c..

Il provvedimento impugnato è stato emesso il 6.11.2012, per cui trova applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 3, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile alle sentenze pubblicate dopo l’11.9.2012).

Alla luce della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 il vizio di motivazione è denunciabile solo “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Pertanto “è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali” (SU Cass. 8053/2014).

Al fine di considerare se può ricondursi tale motivo alla nuova formulazione della norma, occorre rilevare che i ricorrenti si sono limitati (pag. 5-6 del ricorso) ad affermare che: “La Corte sembra, infatti, non valutare il tenore letterale della scrittura privata del 19.2.2002”; “Nell’atto pubblico di compravendita, non si deduce…ma si conferisce al G. il diritto di…”;

“Appare, pertanto, evidente che i Giudici di secondo grado non hanno valutato correttamente le risultanze probatorie”.

Non è dato comprendere quale sia l’esatto contenuto della scrittura privata richiamata, nè tantomeno dell’atto pubblico di compravendita.

Non vengono precisate le risultanze probatorie in relazione alle quali viene prospettata la doglianza, limitandosi i ricorrenti a parlare di “prove documentali e testimoniali”.

5) Al fine di consentire a questa Corte la valutazione del vizio lamentato, seppur nei limiti della riforma, i ricorrenti avrebbero dovuto fornire tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito (ex multis Cass. 14784/2015) e non, come invece hanno fatto, limitarsi ad un richiamo generico, che si risolve in sostanza nella richiesta di un nuovo giudizio di merito, inammissibile in questa sede.

Tale è la pretesa, esposta a pag. 6 del ricorso, che il giudice di legittimità accerti che con “tutta evidenza” le parti avevano definito ogni rapporto con la sottoscrizione della scrittura 19.2.2002, senza che potesse “rilevare la circostanza che le nuove aperture realizzate andavano sostituire aperture già preesistenti”.

Non essendo stato neppure prospettato alcun vizio ermeneutico, ex art. 1362 c.c. e ss., nell’interpretazione della scrittura de qua, non v’è margine per alcun riesame da parte della Corte di Cassazione.

6) Il Collegio condivide pertanto le conclusioni cui era pervenuta la relazione preliminare.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.

Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato, che si applica ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, dovendosi aver riguardo al momento in cui (nella specie il 31 gennaio 2013) la notifica del ricorso per cassazione si perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario e non a quello in cui è stata richiesta la notifica, nella specie il giorno 30 (cfr. Cass. 14515/15).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 2.500 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione Sesta civile – 2, il 14 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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