Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3608 del 14/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 3608 Anno 2018
Presidente: DIDONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

sul ricorso 18468/2010 proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,
domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n.12, presso l’Avvocatura
Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
-ricorrente contro

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Data pubblicazione: 14/02/2018

Curatela del Fallimento di Ventura Giovamluttista, in persona del
Curatore dott. Paolo Cosentino, elettivamente domicillat3 in Roma,
Via C. Poma n.2, presso lo studio dell’avvocato Amodeo Roberto,
rappresentata e difesa dall’avvocato Bevilacqua Francesco, giusta
procura a margine del controricorso;

avverso la sentenza n. 404/2009 della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO, depositata il 27/05/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
29/11/2017 dal cons. FRANCESCO TERRUSI.

Rilevato che:
l’amministrazione finanziaria dello Stato, tramite l’ufficio del registro
di Lamezia Terme, propose nell’anno 1998 domanda di insinuazione
al passivo del fallimento di Giovambattista Ventura, esattore delle
imposte, per la somma di lire 2.218.650.923, a titolo di residui di
gestione per i carichi tributari senza obbligo del non riscosso come
riscosso;
a seguito di contestazione della curatela fallimentare, la causa fu
decisa dal tribunale di Lamezia Terme con sentenza di rigetto della
domanda;
detta sentenza è stata confermata dalla corte d’appello di Catanzaro
sulla scorta di un duplice rilievo: (a) perché i crediti in questione
erano relativi a ruoli emessi nei confronti di contribuenti già a loro
volta falliti, come tali soggetti, ex art. 4 del d.P.R. n. 603 del 1973, al
principio dell’affidamento all’esattore senza obbligo del non riscosso
come riscosso; sicché all’esattore incombeva soltanto di curare gli
adempimenti necessari per il riconoscimento del credito e la
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-controricorrente –

successiva sua riscossione, obblighi che la c.t.u. aveva consentito di
appurare in effetti adempiuti da parte di Ventura; (b) perché, inoltre,
ai fini della prova del diritto al discarico delle somme non soggette
all’obbligo del non riscosso come riscosso, la stessa amministrazione,
in una nota depositata in giudizio, datata 20-11-1997, aveva dato

II.DD. di Cosenza nei termini di legge;
l’agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la
sentenza d’appello, affidandosi a due motivi;
la curatela fallimentare ha replicato con controricorso.
Considerato che:
deve essere disattesa, in via del tutto preliminare, l’eccezione di
inammissibilità del ricorso che la curatela ha sollevato per difetto di
legittimazione in capo a una “non meglio specificata agenzia delle
Entrate” e per difetto di instaurazione del contraddittorio “contro tutte
le parti del giudizio d’appello”;
l’eccezione implica una questione di legittimazione a impugnare e a
contraddire, e attiene ai rapporti tra l’agenzia delle Entrate e i suoi
uffici periferici, da un lato, e tra l’agenzia delle Entrate e il ministero
dell’Economia e Finanze, dall’altro;
invero del giudizio d’appello, instaurato con citazione del 15-3-2004 e
definito con sentenza del 27-5-2009, risultano esser state parti il
ministero dell’Economia e Finanze e l’agenzia delle Entrate, ufficio di
Lamezia Terme;
le questioni sollevate dalla curatela sono risolvibili in base alla
giurisprudenza di questa Corte;
difatti l’agenzia delle Entrate è un ente dotato di autonomia
soggettiva di diritto pubblico, ex d. Igs. n. 300 del 1999;

atto che Ventura aveva presentato la domanda di discarico all’ufficio

il ricorso per cassazione è stato legittimamente proposto dall’agenzia
delle Entrate in persona del suo direttore pro tempore, e non rileva il
dubbio paventato dalla curatela circa la riferibilità del ricorso all’ufficio
centrale o a quello periferico che si era costituito in appello;
difatti gli uffici periferici dell’agenzia delle Entrate hanno la capacità di

un modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli artt.
2203 e 2204 cod. civ., configurandosi quali organi dell’agenzia
medesima che, al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza;
sicché l’attività da loro svolta è sempre imputabile all’unico ente
comunque rappresentato, e sussiste soltanto una loro concorrente
legittimazione – passiva e attiva – anche nel processo innanzi al
giudice ordinario (v. Cass. n. 16830-14, Cass. n. 8703-09);
l’agenzia delle Entrate era poi in sé legittimata a impugnare la
sentenza d’appello;
lo era perché, alla data in cui risulta pronunciata la sentenza, essa
era titolare dei poteri giuridici strumentali all’adempimento delle
obbligazioni tributarie, in quanto successore a titolo particolare del
ministero in ordine a tali rapporti, a decorrere dalla data relativa di
operatività (1° gennaio 2001); sicché l’agenzia suddetta ben poteva
assumere, come in definitiva ha assunto, in via esclusiva la gestione
del contenzioso in questa sede di legittimità, per la connessa
spettanza dell’esercizio delle facoltà processuali in ordine
all’impugnazione della sentenza di merito (v. per tutte Cass. Sez. U n.
3116-06);
sempre in via preliminare, non può darsi seguito all’ulteriore
eccezione avanzata dalla curatela alle pag. 8 e seg. del controricorso,
in ordine a una presunta improponibilità della domanda tardiva;

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stare in giudizio in via concorrente e alternativa al direttore, secondo

premesso che, in base alla sentenza, la questione non risulta
prospettata nel giudizio di merito, deve osservarsi che in ordine al
presupposto della stessa – vale a dire in ordine al fatto che una
anteriore domanda di insinuazione tempestiva era stata oggetto di
rinuncia motivata dall’ammissione di inesistenza del credito – il

invero anche al controricorso si applica, ai sensi dell’art. 370, secondo
comma, cod. proc. civ., l’art. 366 cod. proc. civ. “in quanto possibile”;
donde l’autosufficienza del controricorso è assicurata ove il
controricorso si limiti a fare riferimento ai fatti esposti nella sentenza
impugnata (v. ex aliis Cass. n. 13140-10), ma non quando evochi, ai
fini di una specifica ragione di asserita improponibilità della avversa
domanda, fatti che dalla sentenza non emergono;
né al riguardo soccorre il potere di questa Corte di esaminare gli atti
del processo di merito ove sia dedotta una questione processuale, in
quanto l’esercizio di quel potere postula che la questione sia stata
comunque prospettata in conformità alle regole fissate al riguardo dal
codice di rito, e quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni
dettate dagli artt. 366 e 369 cod. proc. civ. (v. per il ricorso, ma con
principio chiaramente estensibile anche al controricorso, Cass. Sez. U
n. 8077-12);
il ricorso dell’agenzia delle Entrate è peraltro infondato;
col primo mezzo la ricorrente addebita alla corte territoriale
un’omissione di pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., per
non aver affrontato la censura relativa alle condizioni temporali
dell’ottenimento del discarico di cui all’art. 75 del d.P.R. n. 43 del
1988;
il motivo è infondato poiché la questione sollevata è stata
semplicemente disattesa dalla corte d’appello;
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controricorso si palesa assertorio in prospettiva di autosufficienza;

secondo l’art. 75 del d.P.R. n. 43 del 1988, “ai fini del rimborso,
ovvero del discarico di cui all’art. 90, il concessionario deve
dimostrare di aver proceduto: (a) con l’espropriazione mobiliare entro
diciotto mesi dalla scadenza della seconda rata consecutiva del ruolo
non pagata, ovvero entro diciotto mesi dalla scadenza dell’ultima rata

scadenza della seconda rata, ovvero si tratta di ruoli ripartiti in
numero di rate non superiore a due; (b) con l’espropriazione
immobiliare entro ventidue mesi dalla scadenza dell’ultima rata del
ruolo”;
quando si tratta di residui della precedente gestione il termine
decorre dalla data di consegna dei relativi elenchi;
il concessionario deve inoltre provare “che l’esecuzione presso terzi è
stata iniziata nel termine di quattro mesi dal giorno in cui è venuto a
conoscenza delle occorrenti notizie e che il provvedimento definitivo
dell’autorità giudiziaria è stato eseguito entro quattro mesi”;
infine, quando ha proceduto a norma dell’art. 60 del d.P.R. n. 602 del
1973, il concessionario deve dimostrare “di avere inviato la delega
entro quattro mesi dal giorno in cui è venuto a conoscenza delle
occorrenti notizie”;
tale essendo il quadro normativo di riferimento, è da osservare che la
corte d’appello, in risposta alla questione prospettata
dall’amministrazione impugnante in rapporto alla necessità, ai fini del
diritto al discarico da parte del concessionario, della prova di non aver
potuto riscuotere le somme “nei modi e nei termini di cui agli artt. 75
e ss. del d.P.R. n. 43/1988”, ha detto che l’onere probatorio era stato
invece assolto;
al riguardo il giudice a quo ha richiamato sia la c.t.u., sinteticamente
evocandone la conclusione per cui Ventura aveva “curato
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del ruolo quando la morosità del contribuente si è manifestata dopo la

diligentemente gli obblighi previsti per la tutela e la riscossione dei
crediti, presentando e coltivando l’insinuazione al passivo delle
procedure fallimentari (..) per tutti i ruoli avuti in carico”, sia la
risultanza documentale costituita dalla nota 20-11-1997 della stessa
amministrazione;

col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione proprio (e
direttamente) del citato art. 75, dolendosi che l’appello sia stato
rigettato con le motivazione sopra dette “senza alcuna prova del
rispetto degli specifici termini richiesti espressamente ai fini del
discarico dall’art. 75 del d.P.R. n. 43/88 per la promozione delle
esecuzioni stesse”;
il motivo è inammissibile perché presuppone un sindacato di fatto in
ordine alla valutazione probatoria;
come detto la corte territoriale, per quanto facendo sintetico
riferimento al comportamento diligente tenuto dall’esattore
nell’ambito dell’attività di riscossione, ha desunto dalla c.t.u. e dalla
annessa prova documentale anche la prova del rispetto delle
condizioni del discarico;
la ricorrente si duole di tale valutazione affermando che il rispetto dei
requisiti di legge è diverso e più puntuale dal rispetto di un generico
comportamento diligente;
ma in tal modo la censura si risolve in una petizione di principio,
palesandosi come genericamente rivolta, in verità, a revisionare il
giudizio di fatto piuttosto che a sostenere l’erroneità della decisione in
iure: invero la statuizione di merito non è stata censurata dal punto di
vista motivazionale e né il contenuto della c.t.u. né il contenuto del
documento in questione – come riferito alla generica diligenza ovvero
a quella implicitamente evocata dall’art. 75 ai fini del rispetto dei
7

consegue che la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. non sussiste;

termini di avvio delle procedure esecutive – risultano nel ricorso
riportati, neppure per sunto;
l’impugnazione va quindi rigettata e le spese processuali seguono la
soccombenza.
p.q.m.

processuali, che liquida in euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per
esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella
percentuale di legge.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese

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