Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3606 del 10/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 10/02/2017, (ud. 06/07/2016, dep.10/02/2017),  n. 3606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.L., B.A., B.E., B.P.

B.S.C., BE.AN. (PROC. SUOR L.M.)

– R.G. – R.P.L. – R.R.

Elettivamente domiciliati in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n.

18, nello studio Grez e Associati S.r.l.; rappresentati e difesi

dagli avv.ti Mauro Giovannelli e Guido Giovannelli, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA USL (OMISSIS) DI PRATO, Elettivamente domiciliata in Roma,

via Antonelli, n. 4, nello studio degli avv.ti Sergio Fidanzia e

Angelo Gigliola; rappresentata e difesa dall’avv. Andrea Panzarola,

giusta procura speciale a margine dell’atto di costituzione in data

27 ottobre 2014;

– controricorrenti –

nonchè sul ricorso proposto in via incidentale da:

AZIENDA USL (OMISSIS) DI PRATO, come sopra rappresentata;

– ricorrente in via incidentale –

contro

B.L. – B.A. – B.E. – B.P. –

B.S.C. – BE.AN. (PROC. SUOR

L.M.), R.G., R.P.L. R.R., come

sopra rappresentati;

– controricorrenti a ricorso incidentale –

avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, n. 628,

depositata in data 3 maggio 2012;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 6 luglio 2016

dal consigliere dott. Pietro Campanile;

Sentito per i ricorrenti l’avv. G. Giovannelli;

Sentito per la controricorrente l’avv. Panzarola;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto

dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento dell’ottavo

motivo del ricorso principale, rigetto dei restanti motivi e del

ricorso incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Firenze, pronunciando sulla domanda di determinazione dell’indennità di espropriazione avanzata da parte di B.L. e di altri comproprietari di un terreno sito in (OMISSIS), sottoposto, limitatamente all’estensione di mq 7670, a procedimento ablativo a beneficio dell’Azienda Usl n. (OMISSIS) di Prato per la realizzazione del nuovo ospedale cittadino, premessa l’applicabilità della disciplina di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, in quanto la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera era avvenuta in data 5 novembre 2008, ha rilevato che la destinazione dell’area a servizi ospedalieri e sanitari era avvenuta con Delib. 31 maggio 2005, n. 87 con la quale era stata introdotta una variante al PRG, in base al quale l’area stessa ricadeva nello schema direttore S.D.2, con destinazione d’uso Vp4 e Vp.

1.1. Aderendo alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, la Corte distrettuale ha ritenuto che detta variante fosse finalizzata, come emergeva dall’esame di una serie di atti nei quali era affermata la volontà in tal senso dell’amministrazione, esclusivamente alla realizzazione del nuovo ospedale, ragion per cui doveva escludersi che la stessa avesse natura espropriativa e non conformativa.

1.2. E’ stata richiamata, in proposito, l’affermazione dell’ausiliario secondo cui, indipendentemente dall’ampiezza dell’area, comunque limitata alla porzione di terreno strettamente necessaria alla realizzazione del nuovo presidio ospedaliero e a quelle ulteriori, connesse a questa, il territorio comunale interessato dalla variante era limitato al terreno in cui sarebbe sorto il nuovo ospedale (e conseguenti aree limitrofe per la messa a norma della previsione urbanistica) nonchè alla sistemazione dell’area dove era già allocato l’ospedale.

1.3. Considerate le previsioni del PRG anteriori all’approvazione della suddetta variante, è stato rilevato che una parte del terreno espropriato, pari a mq 652, in quanto inserita in zona B, avesse natura edificatoria: alla stessa, sulla base delle risultanze peritali, esclusa per altro il deprezzamento dell’area residua, è stato attribuito il valore di mercato di euro 92.584,00, aumentato D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 2, ad Euro 101.842,40.

1.4. Quanto alla porzione di terreno espropriata e ritenuta non edificabile, il valore di mercato, sulla base degli accertamenti del consulente tecnico d’ufficio, è stato determinato in Euro 66.671,00, con un deprezzamento di Euro 217,79.

1.5. L’indennità di espropriazione è stata determinata, quindi, in Euro 168.731,19.

1.6. In considerazione del significativo ridimensionamento della domanda degli attori, le spese processuali sono state compensate nella misura del 50 per cento, e nel resto poste a carico, come per intero quelle della consulenza tecnica d’ufficio, dell’Usl n. (OMISSIS).

1.7. Per la cassazione di tale decisione i proprietari hanno proposto ricorso, affidato a otto motivi, cui la parte intimata resiste con controricorso, interponendo ricorso incidentale, con due motivi, resistito da controricorso.

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo, deducendo violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 9, 32, 37 e 40 i ricorrenti sostengono che erroneamente sarebbe stata affermata la natura espropriativa della variante n. 87 del 2005, che realizzava una modifica della zonizzazione del territorio. In particolare, l’accertamento sarebbe stato illegittimamente volto a individuare la volontà dell’amministrazione, prescindendo dalle oggettiva risultanze degli strumenti urbanistici.

2.1. Con il secondo mezzo la violazione delle norme sopra indicate viene prospettata per essere stati disattesi – soprattutto non considerando che con la suddetta delibera era stata prevista la disciplina urbanistica di un’ampia zona del territorio comunale, incidente su una pluralità di soggetti, con una variante che non riguardava soltanto il nuovo ospedale, ma anche altre aree con destinazioni diverse ed eterogenee – i criteri propri per l’individuazione di una variante di tipo conformativo.

2.2. La terza censura attiene ancora alla violazione delle norme suddette, per aver la corte distrettuale omesso di considerare che il progetto definitivo del Presidio Ospedaliero di Prato sarebbe stato approvato soltanto in data 5 novembre 2008, con Delib. Direttore della USL n. 5.

2.3. Con il motivo successivo la violazione delle norme suddette, viene prospettata in relazione all’art. 85 delle N.T.A. del piano urbanistico: deducendosi altresì omessa, insufficiente ed omessa motivazione si sostiene che la destinazione ad usi collettivi di determinate aree assume aspetti conformativi, nella specie comportanti l’edificabilità, in quanto l’art. 85 delle N.T.A. prevedeva che il nuovo presidio ospedaliero potesse essere realizzato anche ad opera di privati.

2.4. Con il quinto mezzo, denunciando violazione degli artt. 99, 112 e 115 c.p.c., i ricorrenti lamentano che la Corte di appello avrebbe violato una specifica preclusione derivante dall’avvenuto riconoscimento, in sede amministrativa, di un deprezzamento della proprietà residua, escludendolo con l’impugnata decisione.

2.6. La sesta censura attiene all’insufficienza e alla contraddittorietà della motivazione, in relazione alla determinazione di mercato del terreno in quanto non edificabile, e con particolare riferimento alla difformità, per difetto, rispetto alla stima eseguita in ordine all’espropriazione, per le medesime ragioni, di terreni limitrofi.

2.7. Con il settimo motivo si denuncia l’illegittimità della mancata maggiorazione del 50 per cento prevista dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 45, comma 2, con subordinata deduzione della questione di illegittimità costituzionale di detta norma, ove riferita soltanto all’indennità offerta per il terreni non edificabili.

2.8. L’ottavo mezzo riguarda il vizio di omessa pronuncia, per non aver la corte distrettuale statuito in ordine alla domanda di riconoscimento delle rivalutazione monetaria sulle somme attribuite a titolo di indennità di espropriazione.

3. Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., affermandosi che la corte distrettuale avrebbe omesso di pronunciare in merito all’eccezioni di inammissibilità dell’opposizione, in quanto tardivamente proposta.

3.1. Con la seconda censura l’USL si duole del regolamento delle spese di lite, con particolare riferimento all’attribuzione per intero, degli oneri connessi alla consulenza tecnica d’ufficio.

4. I primi quattro motivi, attinenti alla ricognizione giuridica dell’area ablata, possono essere congiuntamente esaminati.

4.2. A giudizio della Corte il dispositivo della decisione impugnata è conforme al diritto; il percorso argomentativo deve essere tuttavia corretto, nei termini seguenti, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

4.3. Non può condividersi la valutazione operata dalla corte distrettuale, per altro attraverso una ricostruzione della volontà degli autori della delibera piuttosto che sulla base della portata oggettiva della variante approvata con la Delib. n. 87 del 2005: il vincolo, per la vastità della zona interessata, per la molteplicità delle previsioni (trattasi di un programma di intervento urbanistico nel quale le strutture sanitarie sono integrate in una riorganizzazione di un vasto comprensorio, comprendente anche parchi pubblici e attrezzature sportive), per l’omessa localizzazione una specifica opera, che costituisce l’essenza della preordinazione all’espropriazione, assume chiaramente caratteri conformativi, nell’ambito dell’esercizio del potere di “zonizzazione del territorio”. Costituisce jus receptum in giurisprudenza il principio per cui il carattere conformativo dei vincoli non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, per natura e struttura, dei vincoli stessi, ricorrendo in particolare tale carattere ove gli stessi vincoli siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica. Al contrario, il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione (cfr. Cass., Sez. un., 23 aprile 2001, n. 173; Cass., 1 aprile 2005, n. 6914; Cass., 5 aprle 2006, n. 7892; Cass., 10 maggio 2013, n. 11236; Cons. Stato, sez. 4, 30 luglio 2012 n. 4321).

4.4. Il carattere conformativo del vincolo in esame, non esclude che l’area, come affermato nell’impugnata decisione, avesse natura agricola, in quanto la realizzazione di un polo sanitario, nell’ambito di una destinazione pubblicistica della zona, esclude l’edificabilità legale.

In tal senso si è costantemente pronunciata la giurisprudenza di questa Corte, che ha sempre ribadito il principio secondo cui un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici, precisando che le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, in base allo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass., n. 14840 del 2013, Cass. n. 2605 del 2010, Cass. nn. 21095 e 16537 del 2009 e che sono, come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia.

4.5. Il vincolo di natura pubblicistica inerente alla destinazione a servizi ospedalieri è ostativo alla predicabilità della legale edificabilità dei terreni da esso interessati, come più volte affermato da questa Corte (Cass., 24 giugno 2016, n. 13172; Cass., 15 giugno 2015, n. 12318; Cass., 26 giugno 2013, n. 16157, nella quale si afferma: “Il valore dell’area era e rimane non edificabile (stante la permanente riconduzione alla edilizia residenziale, industriale e commerciale della vocazione edificatoria di un’area e stante la estraneità da essa di qualsivoglia edificabilità a fini di servizi pubblici)”.

4.6. L’affermazione dei ricorrenti secondo cui la natura edificatoria deriverebbe dal fatto che gli interventi previsti in sede di pianificazione territoriale avrebbero potuto esser realizzati anche da privati non può essere condivisa. La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni rilevato che in tal modo la privatizzabilità dell’intervento finirebbe per diventare l’unico requisito necessario e sufficiente a conferire il carattere di edificabilità al terreno che resta, invece, oggettivamente inserito in una zona non edificatoria (rientrante nell’ambito di quelle che il D.M. 2 aprile 1968, art. 2, include, appunto, fra “le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale)” (cfr. la recente Cass., 21 giugno 2016, n. 12818).

4.7. In realtà, il richiamo alla possibilità di realizzare la destinazione pubblica anche attraverso l’intervento di privati, sia pure attraverso convenzioni con l’ente pubblico, scaturisce da un improprio riferimento alla diversa problematica inerente all’applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39 ovvero della decisione della Corte costituzionale n. 179 del 1999, in materia di reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio o aventi natura espropriativa.

Questa Corte, sempre in relazione a una zona F, sottozona F1, relativa a servizi ospedalieri, ha di recente ribadito (cfr., Cass., 24 febbraio, n. 3620, alla quale si rinvia per i richiami giurisprudenziali e per il complesso iter argomentativo, fondato anche sull’analisi dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale, soprattutto con la sentenza n. 179 del 1999), l’esigenza di verificare la natura edificatoria o meno di un terreno prescindendo dalle “confusioni concettuali” ingenerate dalla non sempre corretta interpretazione delle pronunce del Giudice delle leggi in merito alla distinzione fra vincoli conformativi ed espropriativi, che attiene, nella prospettiva delle suddette pronunce, al tema della loro temporaneità e dell’indennizzo in caso di reiterazione.

Sotto tale profilo è stato evidenziato come questa Corte abbia pienamente condiviso e recepito il quadro interpretativo offerto dalla Consulta e dal Consiglio di Stato (anche sulla distinzione tra le due categorie di vincoli: cfr. Cass., n. 11218 del 2015; Cass., n.25513 del 2010), provvedendo altresì a completare la tutela del proprietario soprattutto nel caso assai ricorrente di perdurante inerzia dell’amministrazione comunale pur dopo la loro scadenza. Proprio in relazione al verificarsi di questa fattispecie, in conformità alle pronunce della Corte Edu (CEDO, 15 luglio 2004, Scordino; 17 ottobre 2002, Terrazzi; 7 luglio 2015, Odescalchi), la giurisprudenza di legittimità, in applicazione dell’art. 39 T.U., ha attribuito al proprietario, nel caso di reiterazione del vincolo, il diritto di chiedere al giudice ordinario lo speciale indennizzo introdotto dalla norma, autonomo e cumulabile con l’indennità successiva per l’eventuale espropriazione dell’immobile (Cass., n. 14774 del 2012; Cass., n. 22992 del 2014; Cass., Sez. un., n. 9302 del 2010), mentre nel caso di decadenza del vincolo (o di annullamento del provvedimento di reiterazione), ha statuito che il proprietario non resta senza tutela a fronte dell’inerzia dell’ente territoriale, ben potendo promuovere gli interventi sostitutivi della Regione oppure reagire alla stessa attraverso la procedura di messa in mora e tipizzazione giurisdizionale del silenzio davanti al giudice amministrativo; con conseguente diritto, in caso di inottemperanza della p.a. di richiedere allo stesso giudice l’integrale risarcimento del danno sofferto (Cass., n. 14333 del 2003; Cass., n. 1754/2007; Cass., n. 8384 del 2008; Cass., n.26546 del 2014).

4.8. Nell’ipotesi in cui venga proposta domanda di determinazione della giusta indennità spettante ai proprietari in presenza della situazione della perdita in radice del diritto dominicale sul bene in conseguenza della sua formale e sostanziale ablazione, nonchè del trasferimento di ogni pretesa (L. n. 2359 del 1865, art. 52 e art. 25 T.U.) sull’indennità di espropriazione sostitutiva, quale garantita dall’art. 42 Cost., comma 3, e L. n. 2359 del 1865, art. 52, non può essere consentita la trasposizione della dicotomia “vincoli conformativi/vincoli espropriativi”, pur corrispondente a quella enunciata dalla Corte Costituzionale, neppure in via analogica, mancandone entrambi i presupposti richiesti dall’art. 12 preleggi, della assenza di norme specifiche sulla fattispecie concreta e della presenza di elementi di identità tra di essa e quella legislativamente regolata (Cass., n. 2656 del 2015; Cass., n. 8278 del 2014; Cass., n. 9852 del 2002). In tale ipotesi, infatti, sussiste “una normativa specifica dettata proprio e soltanto (“Ai soli fini dell’applicabilità delle disposizioni della presente sezione….”) per la “determinazione del valore venale del bene” nelle espropriazioni per p.u., nonchè per la “determinazione dell’indennità di espropriazione” per le aree edificabili e non edificabili, introdotta (all’epoca del decreto di esproprio) dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, ed oggi recepita (nonchè resa irreversibile) dagli artt. 32 e 37 T.U. cit. (i quali, come si legge nel parere dell’Ad. gen. Cons. St. 4/2001 che li ha predisposti, si sono limitati ad una ricognizione e specificazione delle disposizioni precedenti: cfr. Ad. plen. 7/2007)”.

4.9. La determinazione dell’indennità, pertanto, deve avvenire sulla base “dell’accertamento non già della contrapposizione vincoli conformativi/espropriativi, ma della ricorrenza (o per converso della mancanza) delle “possibilità legali di edificazione” al momento del decreto di espropriazione (L. n. 359, art. 5 bis, comma 3, e art. 32, comma 1, e art. 37, comma 3 T.U.): accertamento risolto in modo inequivoco e troncante dal menzionato art. 37, comma 4 T.U. per il quale, premessa la ininfluenza dei vincoli espropriativi, “non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano regolatore generale,…ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata” (così la richiamata Cass. n. 3620 del 2016).

4.10. Tanto premesso, deve precisarsi che le superiori considerazioni, in assenza di qualsiasi censura proposta al riguardo da parte dell’amministrazione ricorrente in via incidentale, non sono estensibili a quella porzione del terreno che è stata qualificata come edificabile.

5. Il quinto motivo è infondato. Deve invero richiamarsi il costante orientamento di questa Corte secondo cui la tempestiva opposizione alla stima da parte dell’espropriato fa venir meno l’efficacia vincolante della stima stessa per tutti i soggetti del rapporto espropriativo, con la conseguenza che l’espropriante può legittimamente svolgere, in giudizio, le sue difese in ordine all’accertamento dell’indennità di esproprio. Quanto al regime delle preclusioni gravanti sull’espropriante convenuto in giudizio, nell’ipotesi in cui si sia in presenza di una stima definitiva, deve ritenersi necessaria una esplicita domanda dell’espropriante medesimo, da formularsi nelle forme e nei termini della domanda riconvenziona-le, nel solo caso in cui venga da lui richiesta la determinazione giudiziale dell’indennità in misura inferiore a quella stabilita in sede amministrativa, mentre, in ipotesi di indennità provvisoria non accettata, le sue argomentazioni difensive non postulano, in alcun caso, l’osservanza delle forme della domanda riconvenzionale e non sono, pertanto, soggette al regime di preclusioni per essa previsto (Cass., 7 dicembre 2011, n. 26357; Cass., 20 maggio 2005, n. 10668; Cass., 9 luglio 2003, n. 10790; Cass., 2 marzo 2001, n. 3048). E’ del tutto evidente come il giudice investito della domanda di determinazione della giusta indennità, non essendo vincolato a rispettare le determinazioni inerenti a quella provvisoria, e dovendo procedere sulla base di valutazioni del tutto autonome, ha il potere dovere di statuire sulla domanda sulla base delle risultanze probatorie acquisite nel corso dell’ordinario giudizio di cognizione instaurato dalla parte interessata.

5.1. La sentenza impugnata si è conformata a tale orientamento, in quanto il giudizio non ha ad oggetto un’opposizione a stima definitiva, ma una domanda di determinazione dell’indennità, in conseguenza della mancata accettazione della stima provvisoria, ed ha escluso il deprezzamento della residua proprietà, con particolare riferimento all’area di terreno ritenuta edificabile, sulla scorta delle conclusioni peritali, opportunamente richiamate.

6. Il sesto motivo è inammissibile.

Deve invero rilevarsi che, deducendo un vizio motivazionale, i ricorrenti in realtà invocano una diversa e più favorevole valutazione delle risultanze processuali, vale a dire un sindacato su una questione, come la determinazione – a prescindere da ogni aspetto inerente alla ricognizione giuridica – del valore di mercato di un bene, che è riservata al giudice del merito.

6.1. La Corte di appello reso una congrua motivazione al riguardo, esaminando ogni aspetto in ordine al valore di mercato dei terreni, anche in riferimento alle difformi valutazioni inerenti a fondi limitrofi, sia richiamando uno specifico atto pubblico di vendita riguardante un terreno avente le medesime caratteristiche di quello ablato e da esso non distante, sia rimarcando come sulla maggiore stima inerente ad un fondo espropriato per la realizzazione della medesima opera pubblica avesse inciso il “considerevole valore del soprassuolo”.

7. Il settimo motivo motivo è infondato, in quanto nella specie non viene in considerazione una cessione volontaria, così come disciplinata dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 45: il bene risulta acquisito con decreto di esproprio del 5 aprile 2009. Per altro il riferimento della norma testè richiamata all’art. 40, comma 3 dello stesso T.U. sulle espropriazioni, appare superato alla stregua dell’intervenuta abrogazione di tale norma, dichiarata incostituzionale con la nota decisione n. 181 del 2011 della Corte costituzionale.

Per la indicate ragioni è priva di qualsiasi rilevanza la dedotta questione di legittimità costituzionale.

8. La violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione alla domanda inerente alla “rivalutazione monetaria”, denunciata con la successiva censura, non sussiste, in quanto dal tenore della decisione appare evidente come vi sia stato un implicito rigetto di tale richiesta. Vale bene richiamare il principio secondo cui la domanda risulta implicitamente rigettata, attraverso l’adozione di una statuizione incompatibile con il suo accoglimento, di tal che non è predicabile il dedotto vizio di omessa pronuncia (Cass., 4 agosto 2014, n. 17580; Cass., 23 settembre 2004, n. 19131).

9. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato.

9.1 – Il sistema introdotto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, nella versione applicabile “ratione temporis”, vale a dire prima delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 34 prevede: “L’opposizione di cui al comma 1 va proposta, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio”.

Dalla sentenza impugnata emerge chiaramente che la domanda dei proprietari era conseguente all’offerta di un’indennità provvisoria ritenuta incongrua (pag. 2: “L’indennità provvisoria era stata determinata in maniera irrisoria”..”agivano contro l’Azienda per la determinazione dell’indennità di esproprio”); nessuna decadenza può verificarsi in assenza della comunicazione di una stima definitiva, avendo la parte interessata facoltà di proporre l’azione di determinazione giudiziale dell’indennità per l’intera durata della prescrizione decennale, a far tempo dall’emanazione del provvedimento ablatorio (cfr. la recente Cass., 24 maggio 2016, n. 10720).

9.2 – Deve poi rilevarsi che anche la disciplina tuttora vigente, regolata dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29 al comma 3, quanto al termine in esame, la cui natura processuale è stata ribadita di recente (Cass., 14 gennaio 2016, n. 442), così recita:” L’opposizione va proposta, a pena di inammissibilità, entro il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio”.

10. Quanto all’onere delle spese della consulenza tecnica d’ufficio, deve richiamarsi il più recente orientamento secondo cui compensando le spese processuali, il giudice può ripartire quelle della consulenza tecnica d’ufficio in quote uguali tra la parte soccombente e la parte totalmente vittoriosa, senza violare, in tal modo, il divieto di condanna di quest’ultima alle spese di lite (Cass., n. 1023 del 2013). La riconduzione della questione nell’alveo dell’art. 92 c.p.c. induce a rilevare che trattasi di un potere discrezionale del giudice del merito, il cui esercizio non è sindacabile in questa sede. Con specifico riferimento alla fattispecie esaminata deve altresì richiamarsi il principio secondo cui le spese per la consulenza tecnica d’ufficio possono essere motivatamente poste a carico anche di una sola delle parti, escludendole così dalla compensazione (nella specie parziale) disposta per le altre spese (Cass., 21 dicembre 2009, n. 26920; Cass., 17 gennaio 2003, n. 633; Cass., 23 aprile 2001, n. 5976): la Corte di appello ha posto a carico della sola Azienda le spese della consulenza tecnica d’ufficio, osservando – laconicamente ma adeguatamente – che essa era “comunque necessaria per istruire la domanda”.

11. Al rigetto di entrambi i ricorsi, per le ragioni sopra indicate, consegue, in considerazione della soccombenza reciproca, la compensazione delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e l’incidentale e dichiara interamente compensate le spese relative al presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 6 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2017

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