Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3605 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/02/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 13/02/2020), n.3605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7964/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (C.F. (OMISSIS)), in persona del

Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

C.A.D. LA LANTERNA SRL IN LIQUIDAZIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso

dall’Avv. BRUNO FILIPPO e dall’Avv. TERRANOVA ANTONELLA,

elettivamente domiciliata presso lo studio della seconda in Roma,

Via V. Bellini, 24;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Liguria n. 1317/2017, depositata il 22 settembre 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 settembre

2019 dal Consigliere D’Aquino Filippo.

Fatto

RILEVATO

Che:

Come risulta dagli atti, l’odierna contribuente, quale responsabile solidale in regime di rappresentanza indiretta dell’importatore per il recupero di diritti di confine (dazi e IVA), ha impugnato due avvisi di rettifica in data 9.01.2013 e 22.01.2013, notificati anche al responsabile solidale, emessi a seguito di procedimenti di revisione a posteriori relativi a importazioni di tessuti relative agli anni 2008 e 2009 per le quali era stato contestato il contrabbando intraispettivo mediante sottofatturazione, anche mediante l’utilizzo di società “cartiere”, con recupero di dazi e IVA;

che la CTP di La Spezia ha accolto il ricorso e che la CTR della Liguria, con sentenza del 22 settembre 2017, ha rigettato l’appello, osservando che non sussiste la responsabilità del rappresentante indiretto dell’importatore per obbligazioni doganali derivanti dall’uso non corretto della dichiarazione di intento redatta su indicazioni dell’importatore, non avendo lo spedizioniere possibilità di verificare la correttezza di tale dichiarazione;

che propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la società contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo l’Ufficio ricorrente deduce nullità della sentenza in violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi il giudice di appello pronunciato sul motivo di appello relativo alla carenza di legittimazione attiva dell’Agenzia delle Dogane e alla carenza di legittimazione passiva del CAD per l’IVA; riporta il ricorrente per specificità il motivo già sottoposto al giudice di appello, relativo alla responsabilità del rappresentante indiretto per i maggiori diritti di confine conseguenti alla rettifica per sottofatturazione e al conseguente recupero dell’IVA, determinata sulla ba e dell’applicazione del metodo del valore di transazione di merci identiche e merci similari a termini del Regolamento (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 29 e art. 30, par. 2, lett. a) e b);

che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del gli Regolamento (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913 (CDC), art. 201, comma 3, e del Regolamento (CEE) 2 luglio 1993 n.454 (DAC), artt. 263 – 267, nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che il CAD non debba rispondere delle obbligazioni doganali riguardanti dichiarazioni effettuate su mandato dell’importatore; rileva come il rappresentante indiretto risponda della sottofatturazione, accertata nell’ambito di un procedimento penale incardinato presso la Procura della Repubblica di Prato; evidenzia come le operazioni di sdoganamento siano state effettuate in regime di procedura di domiciliazione, la quale identifica il responsabile doganale nel dichiarante in regime di rappresentanza indiretta;

che occorre preliminarmente dare atto che – a dispetto di una non particolare chiarezza della narrativa della sentenza impugnata – la odierna controversia attiene al recupero sia di IVA all’importazione, sia di dazi doganali, come risulta dagli atti oggetto di impugnazione indicati nella sentenza impugnata, e come risulta sia da quanto indicato dal ricorrente (pag. 4 ricorso), ove evidenzia la proposizione di appello “parziale” anche in materia di dazi, sia da quanto dedotto dal controricorrente (pag. 4 controricorso);

che, tuttavia, sulla questione dei maggiori dazi per accertata sottofatturazione si è formato un giudicato interno, derivante dall’accertamento compiuto dal giudice di prime cure (come risulta dalla narrativa della sentenza impugnata) della “decadenza dell’Ufficio dal termine triennale previsto per procedere ad azione accertativa” e dall’omessa pronuncia sul motivo di appello relativo alla “prescrizione del diritto alla riscossione in quanto la notitia criminis era stata presentata nei termini alla Procura di Prato e di conseguenza risultava applicabile l’art. 221 CDC secondo cui l’esiste a di un fatto penalmente rilevante rende possibile la comunicazione al debitore oltre il termine ordinario dei tre anni”; omissione riguardo alla quale non sono stati articolati motivi di censura, con conseguente formazione del giudicato sulla relativa statuizione del giudice di prime cure, come rilevato dal controricorrente;

che, pertanto, nel giudizio di legittimità oggetto del contendere è la sola pretesa IVA;

che, pur prescidendosi dal fatto che il giudice di appello non si sia pronunciato sulla censura della “decadenza dell’Ufficio dal termine triennale previsto per procedere ad azione accertativa” accertata dal giudice di prime cure (omesso accertamento privo di censura in sede di legittimità), si rileva come il giudice di appello ha ritenuto nel merito la estraneità della contribuente ai fatti contestati, sul presupposto che il rappresentante indiretto non potrebbe essere chiamato, a termini della . 25 luglio 2000, n. 213, art. 8, comma 3, a rispondere dell’uso non corretto della dichiarazione di intento redatta dall’importatore, accertamento non oggetto di specifica censura e sul quale si è formato il giudicato;

che il giudice di appello, nell’omettere l’esame delle questioni preliminari, ha fatto uso del principio della ragione più liquida per ininfluenza di tali questioni sulla decisione, il cui esame si sarebbe rivelato lesivo del principio della ragionevole durata del processo (Cass., Sez. II, 18 aprile 2019, n. 10839);

che il motivo si rivela, conseguentemente, inammissibile, in quanto l’eventuale accoglimento del motivo del ricorrente non avrebbe alcuna influenza sulla decisione della controversia, non essendo stata impugnata la decisione nella parte in cui la pretesa dell’Ufficio è stata rigettata nel merito;

che, in termini analoghi, deve ritenersi inammissibile il secondo motivo per le medesime ragioni, posto che non sono state impugnate nè l’omessa pronuncia relativa alla decadenza dall’accertamento, nè quella relativa all’infondatezza nel merito della pretesa, il che rende priva di rilevanza la questione in ordine

alla responsabilità del dichiarante;

che il ricorso va, pertanto, rigettato nel suo complesso, con spese regolate dalla soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; condanna l’AGENZIA DELLE DOGANE al pagamento in favore di CAD LA LANTERNA SRL IN LIQUIDAZIONE delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre 15% rimborso spese generali, IVA e CPA.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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