Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3603 del 14/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/02/2011, (ud. 17/01/2011, dep. 14/02/2011), n.3603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in Roma, Largo Leopoldo

Fregoli n. 8, presso lo studio dell’Avv. COZZOLINO Fabio Massimo, che

la rappresenta e difende, anche in via disgiunta, con l’Avv. Rosario

Salonia come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.p.A. (gia’ Banca Intesa S.p.A.), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Via Michele Mercanti n. 51, presso lo studio dell’Avv. Briguglio

Antonio, che la rappresenta e difende come da procura speciale per

atto notaio Renata Mariella rep n. 19303 del 18.06.2007;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 202/07 della Corte di Appello di

Milano del 20.02.22007/27.02.2007 nella causa iscritta al n. 734 R.G.

dell’anno 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17.01.2011 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;

udito l’Avv. Fabio Massimo Cozzolino per la ricorrente e l’Avv.

Antonio Briguglio per la controricorrente;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. DESTRO Carlo,

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso, ritualmente depositato, C.C. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale del Lavoro di Milano la Banca Intesa S.p.A. per sentir dichiarare l’illegittimita’ del licenziamento intimatole con lettera del 15.05.2003, con le conseguenti statuizioni di carattere restitutorio e retributivo. La convenuta, costituendosi contestava le avverse deduzioni e chiedeva il rigetto del ricorso.

All’esito dell’istruzione l’adito Tribunale con sentenza n. 3934 del 2005 respingeva il ricorso, con compensazione delle spese. Tale decisione, appellata dalla C., e’ stata confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 202 del 2007, che, rilevata l’immediatezza della contestazione disciplinare, ha ribadito la sussistenza sotto il profilo oggettivo dell’addebito relativo a cessione in dodici occasioni, quando ancora l’appellante era dipendente del Mediocredito Lombardo (poi fusosi con Banca Intesa), di crediti in sofferenza a prezzi irrisori rispetto alla loro entita’, benche’ i crediti fossero assistiti da garanzie immobiliari.

Contro la sentenza di appello la C. propone ricorso per cassazione articolato su quattro motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

La Intesa Sanpaolo S.p.A. (gia’ Banca In tesa S.p.A.) resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La controricorrente ha eccepito in via preliminare intempestivita’ del ricorso per cassazione, per essere stato notificato il 28 maggio 2007, oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della sentenza impugnata. L’eccezione e’ infondata.

La Corte Costituzionale con sentenza n. 28 del 2004 ha affermato che, segnatamente per effetto della sentenza n. 477 del 2002, risulta ormai presente nell’ordinamento processuale civile, tra le norme sulla notificazione degli atti, il principio secondo il quale il momento in cui la notificazione deve considerarsi perfezionata per il notificante va distinto da quello in cui si perfeziona per il destinatario (in questo senso Cass. n. 15081 del 5 agosto 2004 e Corte Costituzionale sentenza n. 3 del 2010). La ratio della disciplina normativa in materia di notifiche, quale si delinea a seguito degli interventi del giudice delle leggi, consiste proprio nel non penalizzare la condotta del notificante, privilegiando come momento decisivo quello della consegna dell’atto – prima della scadenza del termine – all’organo notificatore.

Il che si e’ verificato nel caso di specie, avendo la ricorrente consegnato l’atto nel termine utile (entro il 25 maggio 2007) e, di fronte all’impedimento certificato dallo stesso organo notificatore di non avere potuto procedere alla notifica per l’assemblea del personale, avendo la medesima ricorrente riconsegnato l’atto per la notifica il giorno immediatamente successivo (ossia il 26 maggio 2007).

2. Con il primo motivo la C. lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 300 del 1970, art. 7 (art. 360 c.p.c., n. 3).

Sostiene al riguardo che la sentenza impugnata con motivazione, manifestamente insufficiente, non suffragata da alcun elemento probatorio, ha ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare ed il conseguente recesso per giusta causa dell’azienda nei confronti di essa ricorrente, benche’ gli addebiti risalissero a fatti accaduti ben due anni e mezzo prima e l’azienda avesse la piena conoscenza della realizzazione degli stessi. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., erronea valutazione delle risultanze processuali incidenti sulla motivazione ed omessa motivazione sul punto decisivo della controversia. Con questo motivo vengono ribadite le censure circa la non immediatezza della contestazione disciplinare in relazione al lungo lasso di tempo trascorso tra la commissione del fatto e l’intimazione del licenziamento, tanto piu’ che la ricorrente aveva risposto alle contestazioni evidenziando e confermando che i criteri seguiti nella cessione di crediti in questione si ricollegavano al modus operandi dell’Uffico Contenzioso del Mediocredito Lombardo S.p.A. e la trattativa esterna era intrattenuta esclusivamente dal gestore Rag. P.. La ricorrente ha aggiunto che la stessa datrice di lavoro nel periodo temporale intermedio aveva posto in essere comportamenti, come il riconoscimento di un premio per il raggiungimento degli obiettivi assegnati e per il contributo professionale fornito per l’esercizio 2001, incompatibili con la volonta’ di porre termine al rapporto di lavoro.

Entrambi i motivi, che sono strettamente collegati e possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Sul punto dell’immediatezza della contestazione disciplinare il giudice di appello ha fornito adeguata e logica spiegazione, in relazione al consolidato orientamento di questa Corte circa la necessita’ di tener conto delle ragioni oggettive capaci di ritardare la percezione o il definitivo accertamento e valutazione di fatti contestati, ritenendo che non avesse rilevanza decisiva il fatto della contestazione effettuata a distanza di due anni dai fatti, in quanto i vertici della societa’ erano giunti a compiuta conoscenza di tali fatti solo a seguito di ispezione conclusa alla fine di 2002 e dopo la denuncia proveniente da dipendenti di altra societa’ del gruppo. L’indagine ispettiva, ha aggiunto la sentenza impugnata, aveva riguardato un numero rilevante di cessioni (139). In questo senso del resto si e’ pronunciata questa Corte con sentenza n. 25136 del 13 dicembre 2010, riguardante analoga controversia promossa da D.L.P. (capo della struttura o dell’Ufficio contenzioso dell’appellato istituto bancario, di cui faceva parte anche la C.), osservando che quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti, che convergendo a comporre una unica condotta, esigono una valutazione unitaria, l’intimazione del licenziamento puo’ seguire anche l’ultimo di questi fatti, anche a distanza temporale di quelli precedenti. Il che il giudice di appello ha ritenuto, come gia’ detto, essersi verificato anche nel caso di specie.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia e violazione degli artt. 2104, 2106, 2119 c.c. e L. n. 300 del 1970, art. 7 art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3).

La ricorrente censura la sentenza impugnata laddove afferma che dalle prove testimoniali acquisite in primo grado e in altro procedimento (n. 4799 del 2003 del Tribunale di Milano riguardante il gestore G.) non erano emersi elementi circa l’esistenza di precise regole o prassi aziendali in materia. Al contrario, sostiene la ricorrente, dalle dichiarazioni dei testi P. e B. risulterebbe che, in assenza di una circolare relativa ai criteri per la valutazione dei crediti in sofferenza, emanata solo nel 2002, la prassi aziendale era nel senso di de-terminare il prezzo della cessione con la decurtazione del valore della garanzia del 20% per un massimo di quattro o cinque aste e con la decurtazione di un ulteriore 20% per le spese giudiziali.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento in particolare al ragionamento svolto dalla Corte territoriale relativo all’operazione della cessione dei crediti in sofferenza e al parametro di convenienza di tali cessioni individuato nel valore dei beni in garanzia.

Entrambi i motivi, tra loro connessi, sono privi di pregio e vanno disattesi.

Per quanto riguarda il richiamo ad una prassi aziendale la Corte territoriale ha sinteticamente, ma adeguatamente, motivato sulla base delle prove testimoniali acquisite ed ha escluso l’esistenza di precise regole aziendali in materia, sicche’ non assume decisiva rilevanza il riferimento alle deposizioni dei testi P. e B., essendo riservata al giudice di merito la valutazione dell’attendibilita’ e concludenza delle prove raccolte. Parimenti immune da censure si presenta la valutazione data dal giudice di appello circa i criteri seguiti nelle cessioni dei crediti e la non convenienza delle stesse, che sono state esaminate in modo analitico (cfr pag. 4 sentenza impugnata) con riscontro dei prezzi praticati non giustificabili soprattutto in relazione all’esistenza di elevate garanzie ipotecarie (sul punto si richiama la sentenza di questa Corte n. 25136 del 2010 cit. che in relazione alla posizione del D. L., capo della struttura dell’Ufficio del Contenzioso della banca in questione, ha confermato le valutazioni di altro collegio della stessa Corte territoriale circa l’evidente irrisorieta’ dei prezzi delle cessioni dei crediti). O Generici sono poi i rilievi sulla base di inesistenza di un albo di cessionari – di illogicita’ rivolti alla motivazione espressa nella sentenza impugnata con riguardo alla constatazione che le cessioni era state effettuate a soggetti riconducibili a soli due gruppi (Eurocredit e Magni), trattandosi oltretutto di circostanza ritenuta dal giudice di appello, con motivato apprezzamento, come rafforzativa del complesso degli elementi denotanti grave negligenza verso la societa’ datrice di lavoro.

Non colgono nel segno neppure gli ulteriori rilievi di travisamento dei fatti alla decisione impugnata sul punto della riconosciuta negligenza della lavoratrice, giacche’ il riferimento alla posizione dei gestori delle pratiche (tra cui la ricorrente) e tra esse quelle affidate in particolare al Dott. P., e’ generico e non consente di verificare la decisivita’ della contestazione.

5. In definitiva il ricorso e’ destituito di fondamento e va rigettato, essendosi limitata la ricorrente ad opporre una diversa ricostruzione dei fatti e delle prove in senso difforme da quello operato dal giudice di merito, che, come gia’ detto, ha ricostruito la vicenda nei suoi profili soggettivi ed oggettivi sulla base delle riferite risultanze probatorie, ritenendo che il comportamento tenuto dalla dipendente, in ragione dell’elevato inquadramento e delle elevate responsabilita’, fosse connotato da gravita tale da incidere sul rapporto fiduciario che la legava alla societa’ datrice di lavoro.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 41,00, oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Cosi’ deciso in Roma, il 17 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2011

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