Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 36 del 03/01/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 36 Anno 2013
Presidente: PLENTEDA DONATO
Relatore: DI VIRGILIO ROSA MARIA

SENTENZA

sul ricorso 19401-2006 proposto da:
COOPERATIVA

CALZIFICIO

LIQUIDAZIONE

COATTA

01699000541),

in

JOLLY

BO

S.R.L.

AMMINISTRATIVA
persona

del

IN
(C.F.

Commissario

Data pubblicazione: 03/01/2013

Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA MARIA CRISTINA 8, presso l’avvocato
2012
1797

GOBBI GOFFREDO, che la rappresenta e difende,
giusta procura speciale per Notaio dott. PAOLO
CHESSA di CORRIDONTA (MACERATA) – Rep.n. 206454 del
24.3.2010;

1

– ricorrente contro

F.LLI RUMI S.P.A.

(C.F. 00267730174), in persona

del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ROMEO ROMEI

rappresenta e difende unitamente all’avvocato
BONARDI ROBERTO, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n.

144/2005 della CORTE

D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 11/05/2005;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 28/11/2012 dal Consigliere
Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato GOBBI che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato ROSSI
SABRINA, con delega, che ha chiesto il rigetto del

27, presso l’avvocato ROMAGNOLI MAURIZIO, che la

ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

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Svolgimento del processo
Il

Commissario

Liquidatore

della

soc.

Cooperativa

Calzificio Jolly Bo a r.l. agiva in giudizio nei confronti
della F.11i Rumi s.p.a., deducendo: che la società
Cooperativa Calzificio Jolly Bo nel dicembre 1993, prima

della messa in liquidazione coatta avvenuta il 19/7/1996 e
della dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza
avvenuta con la sentenza del Tribunale di Spoleto del
19/3/97, aveva acquistato dalla F.11i Rumi s.p.a.
macchinari per complessive lire 410.000.000, oltre Iva al
19%, e così per un totale di lire 487.900.000, di cui alla
fattura n. 1334 del 22/12/1993, e relative bolle di
accompagnamento; che la società aveva versato un acconto di
lire 57.000.000, ed il pagamento del saldo era stato
pattuito alla consegna dei macchinari, come confermato in
fattura; che la Cooperativa, in piena crisi finanziaria,
aveva restituito alla Rumi i macchinari in oggetto, a saldo
del pagamento del prezzo, con la bolla n.123 del 17/9/94,
di cui la Rumi dava conferma con la nota di credito del
30/9/94, con la quale, facendo espresso riferimento ai
macchinari ricevuti con la bolla citata, accreditava alla
Calzificio Jolly Bo la somma pari al saldo del prezzo
convenuto.
Tanto premesso, la Procedura sosteneva che la consegna dei
macchinari

era

avvenuta

con

fini

solutori,

così

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configurando datio in solutum, revocabile ex art.67 1.f.;
chiedeva pertanto la condanna della convenuta alla
restituzione dei macchinari e, nel caso di impossibilità
della restituzione, al pagamento dell’equivalente in
danaro, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla

data della datio in solutum al saldo, con condanna in ogni
caso al risarcimento dei danni.
La F.11i Rumi si costituiva, eccepiva il decorso del
biennio per l’esercizio della revocatoria, e la simulazione
relativa del contratto di compravendita, dissimulante
vendita con riserva di gradimento, sottoposta alla
condizione sospensiva della concessione di un finanziamento
statale, che non si era verificata e che,se mai, si
trattava di vendita con riserva di proprietà.
Il

Tribunale

di

Spoleto,con

sentenza

26/4-9/8/2001,

accoglieva la domanda e, ritenuto che la restituzione in
natura era divenuta impossibile per il tempo trascorso tra
l’atto estintivo del debito( restituzione dei macchinari) e
la decisione, condannava la convenuta alla restituzione per
equivalente, nell’importo di lire 430.900.000, pari al
prezzo determinato dalle parti al momento della
restituzione dei beni, oltre interessi dalla decisione al
saldo.
Interponeva appello la F.11i Rumi; si costituiva la
Procedura, contestando il fondamento del gravame.

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La Corte d’appello di Perugia, con sentenza 7/10/200411/5/2005, in parziale accoglimento dell’appello ed in
parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato la
F.11i Rumi alla restituzione alla Procedura dei macchinari
in oggetto, compensando tra le parti integralmente le spese

del giudizio.
Nello specifico, e per quanto rileva ai fini del presente
giudizio di legittimità, la Corte del merito ha accolto
l’ultimo motivo d’appello, ritenendo la sentenza del
Tribunale affetta da ultrapetiziene, per avere
immotivatamente condannato al pagamento dell’equivalente
dei macchinari, rilevando che la restituzione degli stessi
a distanza di tanti anni non avrebbe avuto effetto
ripristinatorio della garanzia dei creditori.
Secondo la Corte territoriale, le diverse conclusioni
formulate all’udienza del 26/6/2003, rimodulate sullo
spunto fornito dalla sentenza del Tribunale, erano tardive
e quindi inammissibili, e la F.11i Rumi aveva dato ampia
dimostrazione

di

avere

accuratamente

conservato

macchinari.
Avverso detta pronuncia

ricorre per cassazione la

Procedura, con ricorso affidato a due motivi.
Si difende con controricorso la F.11i Rumi.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art.378 c.p.c.
Motivi della decisione

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1.1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia il vizio
di violazione e/o falsa applicazione dell’art.112 c.p.c.
Secondo la Procedura, la Corte del merito ha frainteso o
falsamente applicato la norma processuale, atteso che
l’oggetto della revocatoria non è il bene in sé, ma la

reintegrazione della garanzia patrimoniale dei creditori;
il contraddittorio tra le parti si è sviluppato in
relazione alla domanda di condanna alla restituzione dei
macchinari e, ove non fosse stato possibile, alla condanna
al tantundem, né le conclusioni erano state tardivamente
mutate.
1.2.- Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia il
vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa fatto controverso e decisivo per il
giudizio, per avere la Corte del merito ritenuto che la
F.11i Rumi aveva provato di avere accuratamente conservato
i macchinari, mentre tale circostanza non risulta in atti,
né il Giudice ha indicato, neppure indirettamente, le fonti
di detto convincimento.
2.1- Ambedue i motivi, siccome intimamente collegati, vanno
esaminati congiuntamente e, al fine della valutazione degli
stessi, va in primis evidenziato il significato proprio
della pronuncia impugnata sul punto che qui interessa.
La Corte d’appello, nel valutare l’ultimo motivo d’appello,
ha premesso che in atto di citazione, la Liquidazione

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coatta aveva chiesto la condanna alla restituzione dei
macchinari e, nel caso di impossibilità della restituzione,
la condanna della convenuta alla corresponsione
dell’equivalente in danaro; ha rilevato che, a fronte di
detta domanda, il Tribunale aveva “immotivatamente”

ritenuto di condannare al pagamento dell’equivalente
“affermando che la restituzione dei macchinari a tanti anni
di distanza non avrebbe avuto effetto ripristinatorio della
garanzia dei creditori”; ha quindi concluso che la sentenza
appellata era andata in ultrapetizione, non corrispondendo
a quanto richiesto, e, atteso che la F.11i Rumi aveva
dimostrato di avere accuratamente conservato i beni in
oggetto, ha concluso per la condanna alla restituzione
degli stessi.
Da quanto sopra sintetizzato, è reso evidente che la Corte
del merito impropriamente si è espressa in termini di
“ultrapetizione” della pronuncia del Tribunale, a fronte
della indicazione da parte della stessa della domanda come
formulata dalla Procedura.
Sostanzialmente, la Corte del merito ha rilevato che il
Tribunale aveva reso la condanna all’equivalente monetario
dei macchinari, non ricorrendone i presupposti, adoperando
in maniera giuridicamente impropria il termine di
“ultrapetizione”, nell’ambito di un’argomentazione che,
intesa nel suo complesso, mostra chiaramente come non sia

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stato rilevato lo specifico vizio ex art. 112 c.p.c. nella
pronuncia del Tribunale, ma bensì che il I Giudice aveva
erroneamente reso la condanna per equivalente, in carenza
dei presupposti.
D’altra

parte,

la

inincidenza

del

riferimento

all’ultrapetizione nel ragionamento logico giuridico della
Corte d’appello è evidente nell’avere la stessa riportato
le conclusioni della Procedura, nel senso di richiedere la
condanna alla restituzione dei macchinari,e, ove questa non
fosse stata possibile, alla corresponsione
dell’equivalente; inoltre, in linea generale, non potrebbe
ritenersi neppure configurabile il vizio di ultrapetizione
nel caso di domanda revocatoria intesa ad ottenere la
condanna alla restituzione del bene, qualora invece venga
pronunciata la condanna alla corresponsione
dell’equivalente

monetario,

nella

sussistenza

delle

condizioni richieste dalla giurisprudenza.
Ct.-1n

Ed infatti, come ritenuto nella pronuncia 14891/2002, e
conformi, le successive 21942/2011 e 24051/2006, oggetto
della domanda di revocatoria fallimentare non è il bene in
sè, ma la reintegrazione della generica garanzia
patrimoniale dei creditori mediante l’assoggettabilità ad
esecuzione e, quindi, la liquidazione di un bene che,
rispetto all’interesse dei creditori medesimi, viene in
considerazione soltanto per il suo valore; pertanto, quando

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l’assoggettabilità

del

bene

all’esecuzione

diviene

impossibile perché il bene è stato alienato a terzi, la
reintegrazione per equivalente pecuniario rappresenta il
naturale sostitutivo, e la domanda di condanna al pagamento
del “tantundem” deve ritenersi implicitamente ricompresa

nell’azione revocatoria, spettando al giudice disporre, in
funzione delle risultanze processuali, la restituzione del
bene, ovvero, qualora quest’ultimo non sia più nella
disponibilità del convenuto, pronunciare la condanna al
pagamento dell’equivalente monetario.
La questione pertanto si sposta sul profilo della presenza
delle condizioni legittimanti, nel caso, la condanna alla
corresponsione dell’ equivalente.
Posto che la revocatoria ha ad oggetto non il bene in sé,
ma la reintegrazione della garanzia dei creditori, e che
l’atto posto in essere dal fallito è originariamente
valido, sopravvenendo la sua inefficacia solo in esito alla
sentenza di accoglimento della domanda, che ha natura
costitutiva, avendo ad oggetto l’esercizio di un diritto
potestativo e non di un diritto di credito (così tra le
P
.
‘4,An

ultime, le pronunce 27084/2011 e 12736/2011, che si sono
espresse nel senso che il debito di restituzione ha natura
di debito di valuta e non di valore), ne consegue che la
condanna alla corresponsione dell’equivalente si
giustificherebbe solo ove la Procedura avesse allegato e

9

dimostrato

che i beni avevano subito danneggiamenti o

fossero stati dispersi, ma non nel caso in oggetto, sulla
base del mero decorso del tempo, non accompagnato
dall’allegazione e dalla prova da parte della Procedura, di

normale usura.
2.1- Il ricorso va pertanto respinto.
Le

spese

del

giudizio,

liquidate

come

in

dispositivo,seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio, liquidate in euro
6500,00, per competenze, oltre euro 200,00 per esborsi;
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 28 novembre 2012
Il Pre

ente

un deperimento non fisiologico, ma ulteriore rispetto alla

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