Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3598 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2010, (ud. 12/11/2009, dep. 16/02/2010), n.3598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.

ZANARDELLI 36, presso lo studio dell’avvocato ROMEO GIUSEPPE GIULIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FIRRIOLO FRANCESCO, giusta

mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

– EFFAST S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo

studio dell’avvocato BARBANTINI MARIA TERESA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FERRARIS GIUSEPPE, giusta mandato a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 267/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 24/03/2006 r.g.n. 293/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12/11/2009 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato BARBANTINI MARIA TERESA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PIVETTI MARCO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

V.A. chiede che sia cassata la sentenza della Corte d’Appello di Genova, pubblicata il 5 maggio 2006, che ha confermato la decisione del tribunale di Chiavari di rigetto del suo ricorso nei confronti della EFFAST s.r.l..

Il ricorrente chiedeva che venisse dichiarata nulla la clausola di apposizione del termine del suo contratto di lavoro con la società convenuta stipulato in sostituzione di una lavoratrice in maternità per il periodo della relativa astensione dal lavoro, assumendo che in concreto le mansioni affidatigli non erano state quelle svolte dalla lavoratrice in maternità ma altre di diversa natura. Entrambi i giudici di merito hanno respinto il ricorso.

Il ricorso è articolato in un unico motivo.

La EFFAST srl ha depositato controricorso concludendo per il rigetto dell’impugnazione. Ha anche depositato una memoria.

Il motivo di ricorso per Cassazione è unico: si denunzia la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, comma 1. Il quesito di diritto è così formulato: “la norma in questione va interpretata, nella ipotesi di sostituzione di un lavoratore assente, nel senso che pur fermo restando il potere del datore di lavoro di assegnare il lavoratore a termine a mansioni diverse da quelle svolte dal lavoratore sostituito, resta sempre ineludibile individuare un nesso causale tra detta assunzione a termine e la sostituzione che la ha necessitata, con corrispondente onere dimostrativo e probatorio a carico del datore di lavoro e tale onere non potrebbe ritenersi assolto con la constatazione di eventuale affinità delle mansioni svolte dai due lavoratori o con la esecuzione da parte del lavoratore a termine di operazioni lavorative diverse ma rientranti nel ciclo produttivo dei manufatti dell’azienda”.

Il motivo non è fondato.

Il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, dispone: “E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.

Nel Caso in esame rileva l’ultimo tipo di ragioni: assunzione a termine per sostituire un lavoratore assente.

E pacifico in causa che il V. è stato assunto per sostituire una lavoratrice in astensione per maternità e che il periodo di lavoro è perfettamente coincidente con l’assenza della lavoratrice in maternità.

Il problema giuridico posto concerne le mansioni: il lavoratore assunto a termine per ragioni sostitutive deve svolgere i medesimi compiti che svolgeva la lavoratrice sostituita o il datore di lavoro ha un potere di variazione in relazione alle esigenze aziendali? E se lo ha entro quale ambito? La giurisprudenza ha più volte esaminato il problema, anche se in applicazione della normativa previgente dettata dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, il cui art. 1, comma 2, lett. b) ammetteva l’apposizione del termine: “Quando l’assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, semprechè nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione”.

La prescrizione del 1962 era più analitica di quella del 2001 che si affida ad una formula generale. Tuttavia, ai fini del problema di stabilire l’ambito della sostituzione, riflessioni della giurisprudenza che ha interpretato la norma del 1962, conservano ancora valore.

I punti salienti sono:

la sostituzione deve essere cronologicamente coincidente con l’assenza del lavoratore sostituito.

La sostituzione non deve necessariamente implicare lo svolgimento delle medesime mansioni del lavoratore sostituito.

Il datore di lavoro, in caso di assenza del lavoratore, può riorganizzare l’attività aziendale, con gli spostamenti che ritiene più opportuni, procedendo ad una assunzione a termine con assegnazione non necessariamente alle mansioni del lavoratore sostituito. Ciò ha, ad esempio, indotto la giurisprudenza, in più casi, a considerare sussistenti le ragioni sostitutive in presenza di situazioni di cd. scorrimento, quando le mansioni del lavoratore sostituito siano state affidate ad altro lavoratore già in forza all’azienda e il nuovo assunto sia stato assegnato alle mansioni di quest’ultimo.

In ogni caso però, deve sempre esservi una “correlazione di tipo causale” tra l’attività del lavoratore assunto in sostituzione e quella del lavoratore sostituito. La causa dell’assunzione deve essere comunque riconducibile, eventualmente attraverso più passaggi, alla sostituzione di un lavoratore assente, impedito a svolgere la prestazione.

La valutazione della sussistenza o meno di questo rapporto di correlazione causale costituisce giudizio di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità, quando la relativa motivazione sussista, sia sufficiente e non sia contraddittoria. (Cfr. su tutti questi punti, Cass., 30 luglio 2003, n. 11699, cui si rinvia per il richiamo dei precedenti).

Nella stessa logica ed entro gli stessi limiti deve ritenersi che in caso di assunzione a termine di un lavoratore in sostituzione di un altro assente, per il periodo dell’assenza, il datore potrà esercitare nei confronti del lavoratore a termine quel medesimo jus variandi che avrebbe potuto esercitare nei confronti del lavoratore sostituito. Quindi, se assunto un lavoratore in sostituzione, nel corso del rapporto si determina la necessità di far svolgere a quel lavoratore altre mansioni ciò è possibile, con gli stessi limiti, fissati dall’art. 2103 c.c., che sarebbero valsi per il sostituito.

Anche questa declinazione del rapporto di correlazione causale costituisce un fatto oggetto dell’accertamento del giudice del merito, che può essere motivo di ricorso per Cassazione solo se la sentenza impugnata omette la motivazione o contiene una motivazione insufficiente o contraddittoria.

Nel caso in esame la Corte d’Appello di Genova ha accertato in fatto che il V. è stato assunto in sostituzione di R.A. assente per maternità. Il rapporto è iniziato ed è terminato in coincidenza con l’inizio e la fine dell’assenza della R..

Durante il rapporto il V., che ha la stessa qualifica della R., ha svolto le medesime mansioni di stampatore di materie plastiche cui era adibita la R.. Ha svolto inoltre anche mansioni di granulazione, insaccaggio e stoccaggio. Con riferimento a queste mansioni la Corte ha ritenuto sussistente un rapporto di correlazione causale con le mansioni della ratio ed ha dato atto che lo spostamento non è stato effettuato oltre i limiti segnati dall’art. 2103 c.c., fondando la sua affermazione su di una serie di motivi, analiticamente esposti. La motivazione sul punto è sicuramente adeguata e priva di contraddizioni.

Pertanto il ricorso deve essere rigettato. Le spese vanno poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità alla srl intimata, liquidandole in Euro 15,00, nonchè Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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