Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3598 del 14/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 3598 Anno 2018
Presidente: GIANCOLA MARIA CRISTINA
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

sul ricorso 27783/2012 proposto da:
Comune di Villanova Monteleone, in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Piansaccoccia n. 6,
presso lo studio dell’avvocato Di Maio Alessandro, rappresentato e
difeso dall’avvocato Spanu Giulio, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente contro
Sechi Leonardo, Sechi Anna Francesca Lucia Ippolita, Sechi Domenica
Rita, Sechi Giuseppe, elettivamente domiciliati in Roma, Via F.
Corridoni n. 4, presso lo studio dell’avvocato Spangaro Lorenzo, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato Pinna Vistoso Marco,
giusta procura a margine del controricorso;
-controricorrenti 1

Data pubblicazione: 14/02/2018

nonchè contro

Sechi Francesco, Sechi Ippolita;

avverso la sentenza n. 218/2012 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI
– SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 20/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/10/2017 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 20 luglio 2012, la Corte d’Appello di Cagliari Sez.
staccata di Sassari, ha condannato il Comune di Villanova Monteleone
a risarcire il danno da occupazione acquisitiva di un fondo, incluso in
un’area PII), in favore di Leonardo; Domenica Rita; Ippolita; Giuseppe;
Francesco; Anna Francesca Lucia Ippolita ed Antonio Sechi, eredi di
Antonina Sechi, già proprietaria del bene. In particolare, i giudici a quo
hanno: a) disatteso l’eccezione d’improponibilità della domanda,
osservando che la formulazione dell’istanza risarcitoria in sede di
conclusioni di primo grado costituiva una mera emendatio libelli, tanto
più che alla data della citazione introduttiva del giudizio, il termine per
l’emanazione del provvedimento espropriativo era ancora in corso, e
che lo stesso non era mai stato emanato; b) determinato l’indennità
di espropriazione, in base al valore venale calcolato alla data di
scadenza del termine di occupazione d’urgenza, in conformità della
CTU disposta in prime cure.
Per la cassazione della sentenza, il Comune di Villanova
Monteleone ha proposto ricorso affidato a due motivi, con cui lamenta:
la violazione degli artt. 183, 112 e 115 c.p.c.; nonché il vizio di
2

– intimati –

motivazione e la violazione dell’art.

132 c.p.c.

in ordine

rispettivamente alle anzidette statuizioni. Leonardo, Domenica Rita,
Giuseppe ed Anna Francesca Lucia Ippolita resistono con
controricorso. Ippolita Sechi e Francesco Sechi non hanno svolto
difese.

1. I controricorrenti hanno eccepito la disintegrità del
contraddittorio, non avendo il ricorrente provveduto a notificare il
ricorso ad Antonio Sechi, anche nei confronti del quale è stata resa la
decisione d’appello. 1.1. L’istanza va disattesa in considerazione del
condivisibile principio, secondo cui il rispetto del diritto fondamentale
ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi
degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare ed impedire comportamenti che
siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali
rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività
processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura
dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del
principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., o da
effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e del diritto alla
partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui
sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. 1.2. Il
principio è stato espresso sia in ipotesi d’inammissibilità del ricorso
(Cass. SU n. 26373 del 2008, e n. 6826 del 2010; Cass. n. 690 del
2012); sia nel caso di ricorso per cassazione prima facie infondato
(Cass. n. 2723 del 2010, n. 15106 del 2013), in entrambi i casi
ritenendosi la fissazione di un termine per l’integrazione del
contraddittorio (ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o
inesistente) un aggravio di spese ed un allungamento dei termini per
la definizione del giudizio di cassazione, senza comportare alcun
3

RAGIONI DELLA DECISIONE

beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle
parti.
2. Il caso ricorre nella specie.
3. In relazione al primo motivo, basta osservarne la genericità. Il
ricorrente, che addebita alla Corte territoriale di aver errato nel

dire volta esclusivamente al conseguimento dell’indennità di
espropriazione, omette tuttavia di riportarne il contenuto, in violazione
del principio secondo cui l’esercizio del potere di diretto esame degli
atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia
denunciato un

error in procedendo,

presuppone comunque

l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è
dispensato dall’onere di specificare (a

pena, appunto, di

inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza
impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base
dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta
nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza
di esso. 3.1. L’omissione è tanto più grave, in quanto nella parte
espositiva della sentenza si dà atto che l’originaria attrice nel chiedere
la condanna al pagamento del valore dell’area occupata ex adverso
aveva dedotto che la stessa era stata già acquisita al patrimonio del
Comune per esser state realizzate le opere di urbanizzazione primaria
(pag. 3, primo periodo della sentenza), id est era stato dedotto innanzi
al giudice competente (il Tribunale) anche il fatto costitutivo della
fattispecie della c.d. occupazione acquisitiva (cfr. Cass. n. 12413 del
2000), e si dà atto, inoltre, che il rigetto della pretesa dei proprietari /
da parte del primo giudice / è avvenuto sul presupposto che la
mancanza di informazioni in ordine all’esito della procedura
espropriativa impediva / non solo/ di valutare la sussistenza dei
4

qualificare la domanda originariamente proposta (nel 1992) ed a suo

presupposti del risarcimento da illegittima occupazione, ma anche la
“conversione” della “originaria domanda risarcitoria in un’altra volta
ad ottenere l’indennità di esproprio” (pag. 7 ultimo periodo della
sentenza). 3.2. Non può, sotto altro profilo, non rilevarsi come
l’orientamento giurisprudenziale, cui si richiama il ricorrente, fondato

fra la domanda di risarcimento del danno e quella di determinazione
dell’indennità di espropriazione, ovvero di opposizione alla stima
(Cass., 5 maggio 1998, n. 4485; Cass., 28 agosto 1999, n. 9055;
Cass., 30 agosto 2001, n. 11344; Cass. 7 ottobre 2005, n. 19644;
Cass., 10 agosto 2008, n. 21944), è stato superato da un altro (cfr.
da ultimo Cass. n. 15936 del 2017, e giurisprudenza richiamata), al
quale si intende dare continuità, che ammette la conversione
automatica della domanda risarcitoria in quella di opposizione alla
stima ,quando sopravvenga nel corso di un giudizio il rituale e
tempestivo decreto di espropriazione, proprio allo scopo di assicurare
una effettiva tutela al principio della garanzia costituzionale della
proprietà, che non ne tollera il sacrificio ad opera della pubblica
amministrazione senza ristoro per il titolare, conversione che non è
stata, correttamente, disposta non constando, ex actis (neppure nel
fascicolo della procedura espropriativa consegnata “in copia completa”
al CTU), l’emissione del relativo provvedimento.
4. Anche il secondo motivo è inammissibile. 4.1. Secondo il
consolidato orientamento di questa Corte, qualora il giudice del merito
aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad
esporre in modo specifico le ragioni dell’adesione e ciò in quanto
l’accettazione di detto parere, delineando il percorso logico della
decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di
censure in sede di legittimità (Cass. n. 28647 del 2013; n. 10222 del
5

sulla diversità, sotto i distinti profili del petitum e della causa petendi,

2009; Cass. n. 3881 del 2006). Tale richiamo, anche per relationem,
implica, infatti, una compiuta, positiva, valutazione del percorso
argomentativo e dei principi e dei metodi scientifici seguiti dal
consulente. 4.2. Diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della
consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e

il giudice del merito, onde non incorrere in vizio di motivazione (ai
sensi dell’art. 360, co 1, n. 5 c.p.c. nel testo qui vigente ratione
temporis), è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le

ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Cass. n.
25862 del 2011; n. 10688 del 2008; n. 4797 del 2007). 4.3. Da tali
principi consegue che per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza
argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le
conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui, come
nella specie, il giudice dichiari di condividere il merito, è anzitutto,
necessario che la parte alleghi di aver mosso critiche alla consulenza
tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice a quo, e ne trascriva, poi, per
autosufficienza, almeno i passaggi salienti onde consentirne la
valutazione in termini di decisività e rilevanza; diversamente, infatti,
una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi
dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella
prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di
legittimità (Cass. n. 10222 del 2009; n. 23530 del 2013 n. 11482 del
2016). 4.4. Nella specie, il ricorrente non accenna quando avrebbe
prospettato le censure all’elaborato peritale, né ne riporta il contenuto.
5. Il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile e le spese
vanno regolate secondo il criterio legale della soccombenza e liquidate
come da dispositivo.
P.Q.M.
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circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente
al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si
liquidano in complessivi C 5.600,00 di cui C 200,00 per spese, oltre a
spese generali ed accessori.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2017.

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