Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3593 del 14/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 3593 Anno 2018
Presidente: AMBROSIO ANNAMARIA
Relatore: DOLMETTA ALDO ANGELO

sul ricorso 27633/2011 proposto da:
ICCREA Banca Impresa s.p.a., già AGRILEASING – Banca per il
Leasing delle Banche di Credito Cooperativo/Rurali ed Artigiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via Carlo Poma n.4, presso lo
studio dell’avvocato Baliva Marco, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato Baliva Silvia, giusta procura a margine del
ricorso;
-ricorrente CO ntro

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Data pubblicazione: 14/02/2018

Fallimento Impresa Gerosa s.n.c. di Geom. Giancarlo e Geom.
Maurizio, in persona del curatore dott. Insinga Filippo, elettivamente
domiciliato in Roma, via Panama n.52, presso lo studio dell’avvocato
De Siervo Beatrice, rappresentato e difeso dall’avvocato Somare’
Chiara, giusta procura in calce al controricorso;

avverso la sentenza n. 1783/2011 della CORTE D’APPELLO di
MILANO, depositata il 20/06/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/06/2017 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA (est.).

FATTI DI CAUSA

1.- La s.p.a. ICCREA Banca Impresa ricorre per cassazione nei
confronti del Fallimento Impresa Gerosa s.n.c., esponendo 9 motivi
avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello di Milano del 20
giugno 2011, che ha confermato quella emessa nel primo grado del
giudizio dal Tribunale di Monza, n. 1979/2007.
Con tale pronuncia, la Corte territoriale ha ribadito il rigetto della
domanda svolta dalla Banca per l’insinuazione allo stato passivo del
Fallimento di un suo preteso credito per canoni da leasing rimasti
insoluti e per interessi da ritardo. La Corte ha respinto tale domanda
rilevando, in via segnata, che nella fattispecie trova applicazione la
disciplina stabilita dalla norma dell’art. 1526 cod. civ. e che, nel
concreto, «la ragione di credito della procedura», portata dai canoni
che la Banca deve restituire, «è superiore al credito della Banca»

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-controricorrente –

stessa, che trova il suo riferimento nell’«equo compenso per l’uso
della cosa» disposto dalla richiamata norma del codice.
Nei confronti del ricorso resiste il Fallimento che ha depositato
apposito controricorso.
La ricorrente Banca ha depositato, altresì, memoria ai sensi della

2.- I motivi svolti dal ricorso risultano intestati nei termini qui di
seguito riprodotti.
Il primo motivo (ricorso, p. 17 ss.) richiama «violazione e falsa
applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ.».
Il secondo motivo (p. 21 ss.) richiama «error in procedendo ex art.
360 n. 4, mancata considerazione della ordinanza come sentenza omessa pronuncia sull’espresso motivo di gravame».
Il terzo motivo (p. 24 s.) richiama «violazione e falsa applicazione
dell’art. 2909 cod. civ. – giudicato interno e giudicato esterno
dell’ordinanza dell’8.3.2006 – obbligo dello stesso giudice di
conformarsi al suo dettato».
Il quarto motivo (p. 25 ss.) richiama «error in procedendo ex art.
360 n. 4 cod. proc. civ. – decisione ultra petita».
Il quinto motivo (p. 27) richiama «violazione e falsa applicazione
dell’art. 346 cod. proc. civ.».
Il sesto motivo (p. 27 ss.) richiama «violazione e falsa applicazione di
legge ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 3
cod. proc. civ. in relazione all’art. 1322 cod. civ. – 12 preleggi e 1362
e 1363 cod. civ. e agli artt. 72 e 72 quater legge fall.».
Il settimo motivo (p. 37 ss.) richiama «ancora violazione e falsa
applicazione di legge ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. in relazione agli
artt. 72 e 72 quater legge fa Il.».
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norma dell’art. 380 bis cod. proc. civ.

L’ottavo motivo (p. 45 ss.) richiama «omessa, insufficiente,
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia
ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.».

Il nono motivo (p. 49 s.) richiama anch’esso «omessa, insufficiente,
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia

3.- I primi cinque motivi di ricorso (dal numero 1 al numero 5
compresi) gravitano tutti attorno a un’ordinanza pronunciata dal
Tribunale di Monza in data 8 marzo 2006 (il testo completo del
provvedimento è riportato dal controricorso, p. 19 ss.).
Nell’avviso della ricorrente Banca, tale provvedimento possiede
«contenuto di sentenza» e, «in quanto mai impugnata», ha prodotto
le «conseguenze del giudicato». Sulla base di tale assunto, il ricorso
viene a censurare la sentenza della Corte milanese, là dove questa
rileva: «risulta superato il primo motivo di appello, nel quale la banca
appellante deduce che l’ordinanza del Tribunale di Monza in data 8
marzo 2006 avrebbe valore di sentenza non definitiva, con
formazione del giudicato interno e inammissibile contraddittorietà tra
tale pronuncia e la sentenza oggi impugnata. Invero, ammesso e non
concesso che la suddetta ordinanza avesse un contenuto decisorio,
sia tale provvedimento che la successiva sentenza “definitiva” si
fondano su una impostazione giuridica delle controversie non
condivisa dal collegio per la ragioni sopra svolte».
In particolare, il primo motivo di ricorso – che, si è detto, denuncia il
vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 – afferma che la Corte di Appello
«omette di dare valenza, o meglio sfugge consapevolmente
dall’obbligo di dare valenza, al provvedimento dell’8.3.2006 e ne trae
conseguenze assolutamente incongrue, illogiche e illegittime»; la
Corte «ha errato nell’avere ritenuto che quel provvedimento non
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ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.».

avesse forza di sentenza a quindi di giudicato, decidendo in maniera
sostanzialmente opposta a quanto stabilito» lì.
Il secondo motivo – che fa riferimento al vizio di cui al n. 4 dell’art.
360 – lamenta, in via sostanzialmente alternativa, che la Corte abbia
«letteralmente omesso di rispondere al primo motivo di gravame,

dell’8.3.2006 avesse contenuti decisori tali da condizionare il resto
del giudizio con particolare riguardo alla successiva contraddittoria
sentenza dello stesso Tribunale».
Il terzo, quarto e quinto motivo sono sostanzialmente consecutivi ai
primi due. Nel senso che gli stessi – assunta come presupposta la
natura decisoria del provvedimento del Tribunale di Monza – rilevano
che la decisione della Corte di Appello ha violato la normativa di
legge sul giudicato, posto che «mai il Fallimento resistente ha
provveduto a impugnare» l’ordinanza (terzo motivo); è comunque
andata «oltre i propri poteri», perché di fatto «ha deciso rimuovendo
il provvedimento decisorio» di cui alla ridetta ordinanza (quarto
motivo); in ogni caso ha proceduto a una non più consentita
«riqualificazione della domanda» (quinto motivo).
4.- Il primo motivo e il secondo motivo di ricorso non possono
essere accolti.
In proposito, giova qui riportare parte sostantiva della motivazione
svolta dalla sentenza di Cass. 19 dicembre 2014, n. 27127, che ha
riguardo a una fattispecie del tutto analoga a quella qui in concreto
esame. Non meno prossimo risulta, d’altro canto, il caso considerato
dalla pronuncia di Cass., 20 dicembre 2005, n. 28233, che
erroneamente la ricorrente richiama a sostegno della propria tesi,
tale decisione costituendo in realtà la base oggettiva (ed esplicita)

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laddove la banca aveva espressamente indicato … che l’ordinanza

del percorso motivazionale seguito dal più recente arresto di questa
Corte.
Rileva dunque la sentenza di Cass. n. 27127/2014 che – «al fine di
stabilire se un determinato provvedimento abbia carattere di
sentenza ovvero di ordinanza, e sia, quindi, soggetto o meno ai

riguardo non già alla forma esteriore e alla denominazione adottata
dal giudice che lo ha pronunciato, bensì al contenuto sostanziale del
provvedimento stesso e, conseguentemente, all’effetto giuridico che
esso è destinato a produrre».
«Costituiscono sentenze – soggette agli ordinari mezzi di
impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato – i
provvedimenti che, ai sensi dell’art. 279 cod. proc. civ., contengono
una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla
competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o
preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio
(Cass. 20 dicembre 2005, n. 28233; Cass. 22 novembre 2003, n.
17780; Cass. 23 maggio 2003, n. 8190)».
«Nel

caso

di

specie,

la

causa,

già

trattenuta in decisione, è stata rimessa in istruttoria ai fini
dell’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, con
provvedimento del seguente tenore: “il G.U., provvedendo fuori
udienza, – rilevato che {attore … Io chiesto la divisione dell’immobile
di cui è causa mentre i convenuti … hanno chiesto il rigetto di tale
domanda assumendo che la divisione sarebbe impedita da patti
parasociali tuttora in vigore ira le parti; – ritenuto che tale eccezione
sia infondata sulla base della documentazione prodotta dalle parti,
come verrà meglio motivato in sentenza; – ritenuto che quindi possa
procedersi allo scioglimento della comunione; – ritenuto che al fine di
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mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, è necessario avere

attuare la divisione sia opportuno l’espletamento di ctu…P.Q.M…
rimette la causa in istruttoria. Dispone procedersi a ctu… “».
«Orbene, contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, non par
dubbio che tale provvedimento, oltre che la forma, abbia anche la
natura sostanziale di un’ordinanza e non consista, invece, in una

delle questioni previste dall’art. 279 comma 2 cod. proc. civ., ma si è
limitato a provvedere per l’ulteriore svolgimento del processo,
rimettendo la causa in istruttoria e disponendo consulenza tecnica
d’ufficio. Si tratta, pertanto, di un provvedimento di carattere
meramente ordinatorio e istruttorio, come tale inidoneo, ai sensi
dell’279 comma 2 cod. proc. civ., a pregiudicare la decisione della
causa, e non soggetto ai mezzi di impugnazione previsti per le
sentenze».
«Né a diverse conclusioni può pervenirsi per il fatto che nella parte
motiva del provvedimento, per giustificare l’opportunità di disporre
indagini tecniche dirette alla concreta attuazione della divisione, il
giudice abbia compiuto anticipazioni di merito circa l’infondatezza
dell’eccezione di indivisibilità sollevata dai convenuti.
E invero, come è stato precisato da questa Corte nei precedente
citato nella sentenza impugnata (Cass. 20 dicembre 2005 n.28233),
relativo ad una fattispecie analoga alla presente (si discuteva, come
emerge dalla lettura della motivazione, circa la natura giuridica di un
provvedimento collegiale con il quale la causa, già trattenuta in
decisione, era stata rimessa in istruttoria, ed erano state ammesse le
prove per testi e per interrogatorio formale articolate dal convenuto),
“la circostanza che nella motivazione del provvedimento, per
giustificare l’ammissibilità e la rilevanza delle prove richieste dal
convenuto, si sia ritenuto di anticipare valutazioni di merito, non può
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sentenza. Con esso, infatti, il giudice non ha pronunciato su alcuna

in alcun modo indurre a far ritenere che l’ordinanza ammissiva dei
mezzi istruttori consista in una sentenza che ha definito il giudizio in
ordine alla domanda svolta” dall’attore. Il rinvio espressamente
contenuto nel provvedimento di cui si discute nel presente giudizio
alla successiva “sentenza”, d’altro canto, sta a confermare come il

meramente ordinatorio, ritenendo di dover ancora pronunciare sulla
questione preliminare sollevata dai convenuti».
5.- Non diversamente è da ritenersi con riferimento alla fattispecie
che qui concretamente occupa.
Nell’ordinanza in questione, in effetti, il Tribunale di Monza «non ha
pronunciato su alcuna delle questioni previste dall’art. 279 cod. proc.
civ., ma si è limitato a provvedere per l’ulteriore svolgimento del
processo, rimettendo la causa in istruttoria e disponendo consulenza
tecnica d’ufficio».
Né potrebbe comunque rimettere in discussione la soluzione adottata
il fatto che – nell’arco complessivo del provvedimento assunto – il
Tribunale di Monza abbia rilasciato delle sorta di anticipazioni di
merito. Nel concreto della presente fattispecie, queste anticipazioni
si manifestano di per sé stesse funzionali al tipo e al contenuto delle
indagine affidate al consulente tecnico e, in quanto tali, senz’altro
non vincolanti.
6.- Il terzo motivo, il quanto motivo e il quinto motivo restano
assorbiti dal rigetto del primo motivo e del secondo motivo.
La dipendenza di quelli in discorso dai primi due e basici motivi,
contenuti nel ricorso, risulta sottolineata dalle stesse espressioni
adottate dal medesimo («una volta ritenuto che il provvedimento
dell’8.3.2006 abbia contenuto decisorio …», così per il terzo motivo a
p. 24; «se l’ordinanza dell’8.3.2006 ha effetto di sentenza e lo ha
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primo giudice abbia inteso emettere un provvedimento di carattere

…», p. 26, per il quarto; trattasi di «errori nella applicazione delle
norme processuali … integralmente assorbiti», p. 27, per il quinto).
Resta solo da aggiungere, per completezza di esposizione, che,
secondo l’orientamento di questa Corte, «il principio della
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato non osta a che il giudice

prospettata dalle parti, o renda una qualificazione giuridica
autonoma rispetto a quella della sentenza impugnata, e criticata
dalle parti, con il limite attinente al divieto del giudice stesso di
attribuire un bene non richiesto o, comunque, di emettere una
statuizione che non trovi corrispondenza nei fatti di causa e che si
basi su elementi di fatto non ritualmente acquisiti in giudizio come
oggetto del contraddittorio e non tenuti in alcun conto dal primo
giudice (nella specie relativa a controversia in materia di
diffamazione a mezzo stampa, la S.C. ha confermato la sentenza di
appello che, a fronte della richiesta di una più consistente
liquidazione del danno, aveva proceduto ad una rivalutazione dei
fatti)» (Cass., 7 dicembre 2005, n. 26999).
7.- Il sesto e il settimo motivo di ricorso censurano la sentenza della
Corte milanese là dove questa ha ritenuto l’applicazione alla
fattispecie della norma dell’art. 1526 cod. civ., rilevando in modo
particolare come non fosse possibile seguire la pretesa dell’attuale
ricorrente di «assumere come canone interpretativo il nuovo testo
degli articoli 72 e 72 quater della legge fallimentare»: «detta nuova
disciplina – così ha in specie riscontrato la sentenza – «modifica
profondamente la materia, sicché dalla stessa non è lecito trarre
argomenti ermeneutici in ordine a contratti di locazione finanziaria
sottoposti a verifica fallimentare prima del 16 luglio 2006».

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d’appello operi una ricostruzione dei fatti diversa da quella

Ad avviso del ricorrente, per contro, detta novella fallimentare
«racchiude in sé, agli artt. 72 e seguenti, una indicazione normativa
assai chiara sull’applicazione ed interpretazione della locazione
finanziaria, dalla quale si evince chiaramente come sia stata esclusa
la disciplina dell’art. 1526 cod. civ. E’ vero che essa si riferisce alla

ritenersi di natura sostanziale, prima ancora che di natura
processuale».
Assunte queste premesse, la ricorrente Banca rileva in proposito che
la sentenza impugnata è in specie caduta in un «errore di diritto
consistente nella mancata applicazione delle norme contenute nella
novella fallimentare, ove integralmente applicabili alla vicenda che
qui cui ci occupa».
8.- Il sesto e settimo motivo di ricorso sono infondati.
Posta la sicura soggezione della fattispecie in esame al regime
anteriore alla entrata in vigore della riforma apportata dal d. Igs. n. 5
del 2006, la tesi svolta dalla ricorrente postula un’applicazione
retroattiva della riforma stessa. Retroattività che, peraltro, riceve
non riscontro, ma smentita sia dai principi del sistema vigente, sia
pure dalla normativa specifica della stessa riforma della disciplina
fallimentare.
Né la tesi avanzata dalla ricorrente potrebbe avere il conforto della
sentenza di Cass., 1 marzo 2010, n. 4862, come pure la medesima
pretenderebbe. Il caso deciso da questa pronuncia, infatti, fa
riferimento a una procedura fallimentare apertasi con una sentenza
dichiarativa del 26 settembre 2006 e a uno scioglimento del
contratto di leasing susseguente alla stessa.
9.-

L’ottavo e il nono motivo di ricorso contestano i valori e i

conteggi eseguiti dalla consulenza tecnica. Gli stessi censurano in
10

nuova procedura, ma la valenza interpretativa di tale disciplina deve

specie che questa abbia tenuto conto non dell’effettivo ricavato della
vendita dei beni operata dalla banca, bensì del valore di realizzo
indicato dal listino Eurotax; censurano, altresì, le svalutazioni
operate dal consulente e il calcolo degli interessi moratori fatto
sempre dallo stesso.

inammissibili.
Gli stessi, in fatti, si manifestano funzionali a una rivalutazione del
merito, secondo quanto è precluso all’esame di questa Corte. D’altra
parte, gli stessi non vengono a indicare quale sarebbe il «fatto
storico» di cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto,
secondo quanto per contro prescrive la norma del numero 5 dell’art.
360 cod. proc. civ.
11.- In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in
favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00,
ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione

10.- L’ottavo e il nono motivo non possono essere accolti, in quanto

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