Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3592 del 14/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3592 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 19864/2012 proposto da:
MAZZEI VERA (C.F.: MZZ VRE 49H49 E897A), rappresentata e difesa, in virtù di procura
speciale a margine del ricorso, dagli Avv.to Carl’Alberto Magri e Mario Contaldi ed
elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, via P.L. da Palestrina, n.
63;

– ricorrente-

contro
ZAVATTIERO ADRIANA (C.F.: ZVT DRN 47P43 E078N) e BERTI SIMONA (C.F.: BRT
SMN 69A42 16220), rappresentate e difese, in virtù di procura speciale a margine del
controricorso, Gian Franco Coppedè e Tommaso De Dominicis e domiciliate presso lo
studio del secondo, in Roma, via G. Avezzana, n. 31;

– controricorrenti –

e
BERTI GIANNINO (C.F.: BRT GNN 75M01 I622K);

– intimato –

per la cassazione della sentenza n. 821 del 2011 della Corte di appello di Firenze,
depositata il 6 giugno 2011 (e non notificata).
1

Data pubblicazione: 14/02/2014

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2014

dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
lette le memorie depositate — ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c. —

nell’interesse di entrambe le partii
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 22 aprile 2013, la

notificato il 30 luglio 2001, la sig.ra Mazzei Vera conveniva in giudizio, davanti al Tribunale
di Lucca, il sig. Berti Bruno perché fosse condannato, da un lato, a ricondurre a distanza
legale, rispetto alla casa di essa attrice, il proprio fabbricato ad uso di civile abitazione e,
dall’altro, a demolire il manufatto ad uso ripostiglio.
Nella costituzione del convenuto, il Tribunale, con sentenza n. 275/06, accoglieva
parzialmente la domanda di parte attorea, condannando il sig. Berti alla demolizione del
manufatto ad uso ripostiglio.
Avverso la suddetta sentenza, la sig.ra Mazzei proponeva appello, insistendo per le
richieste formulate in primo grado.
Il sig. Berti si costituiva e proponeva, altresì, appello incidentale, chiedendo di respingere
la domanda accessoria di riduzione in pristino avanzata dall’appellante e relativa al piccolo
manufatto ad uso ripostiglio.
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 821/2011, depositata il 6 giugno 2011 e
non notificata, respingeva sia l’appello principale che quello incidentale, condannando
l’appellante principale alle spese del grado.
Avverso la decisione di secondo grado, la sig.ra Mazzei proponeva ricorso per
cassazione, notificato il 12 luglio 2012 e depositato il 17 luglio 2012, articolato in un unico
motivo.

2

seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con atto di citazione, Berti Giannino non svolgeva attività difensiva in questa sede di legittimità, mentre si costituivano con controricorso Berti Simona e Zavattiero Adriana, proponendo, altresì, ricorso incidentale, basato su un solo motivo. Ritiene il relatore, che avuto riguardo all'art. 380 bis c.p.c. e all'ad. 360 bis c.p.c., sussistono le condizioni per pervenire al rigetto del ricorso per sua manifesta infondatezza forme del procedimento camerale. Con l'unico motivo formulato la ricorrente ha prospettato la violazione degli artt. 101, 183, co. 4 c.p.c. e 111 Cost., in relazione all'ad. 360 n. 4 c.p.c.. In particolare, con tale censura la Mazzei ha inteso evidenziare che la Corte territoriale aveva rigettato l'appello principale per ragioni che ella stessa aveva riconosciuto essere del tutto nuove e diverse sia da quelle del primo giudice poste a fondamento dell'impugnata sentenza, che da quelle prospettate dalla parte resistente e che, inoltre, la stessa Code territoriale aveva omesso di sottoporre, all'esame delle parti, la questione rilevata d'ufficio, violando, in tal modo, il principio del contraddittorio per impossibilità di svolgere difese pertinenti. Tale doglianza appare, ad avviso del relatore, palesemente destituita di pregio. Infatti, la Corte toscana, pervenendo alla decisione sulla base di una motivazione diversa da quella proposta dal primo giudice, non è incorsa in alcuna delle violazioni denunciate, in quanto "in tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del "tantum devolutum quantum appellatum", non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all'applicazione di una norma giuridica, diverse da quelle invocate dall'istante. Inoltre, non incorre nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice d'appello che, rimanendo nell'ambito del "petitum" e 3 in relazione all'ad. 375 n. 5, c.p.c., e, quindi, per la sua conseguente definizione nelle della "causa petendi", confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice" (cfr. Cass. n. 20652 del 2009; in senso conforme cfr., in precedenza, Cass. n. 3100 del 1997 e Cass. n. 11039 del 2006). espressi da questa Corte. Si deve, poi, rilevare la manifesta infondatezza anche del secondo profilo, evidenziato dalla ricorrente nella sua doglianza, relativo alla pretesa violazione del principio del contraddittorio. Sul punto risulta chiarificatrice la sentenza di questa Corte, la n. 20935 del 2009, secondo cui, "nel caso in cui il giudice esamini d'ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l'apertura della discussione (c. d. terza via), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dallwerror iuris in iudicando" ovvero dallmerror in iudicando de iure procedendi", la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato: qualora invece si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini, con la conseguenza che, ove si tratti di sentenza di primo grado appellabile, potrà proporsi specifico motivo di appello solo al fine di rimuovere alcune preclusioni (specie in materia di contro-eccezione o di prove non indispensabili), senza necessità di giungere alla più radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la prova, in casi ben specifici e determinati, che sia stato realmente ed irrimediabilmente vulnerato lo stesso 4 Dunque, la Corte territoriale ha agito nel pieno rispetto dei principi giurisprudenziali valore del contraddittorio". (in senso conforme, cfr. Cass. n. 6051 del 2010 e, da ultimo, Cass. n. 17495 del 2011). Dalla citata pronuncia emerge, dunque, univocamente la necessità di valutare se sia possibile rilevare in astratto una violazione effettiva e reale del diritto di difesa o se l'esercizio in concreto della facoltà sarebbe, al contrario, del tutto inconsistente. proprio fabbricato è stato eretto dal sig. Catelani prima degli anni 60' su un appezzamento...che si estendeva sino a diretto contatto con la proprietà Berti, attesa l'inesistenza, all'epoca, della striscia di terreno si cui trattasi" e che "il medesimo sig. Catelani ha creato la piccola strada in questione distaccando e vendendo a terzi con atto in data 5 giugno 1961 il lotto su cui insisteva il fabbricato"), non avrebbero potuto avere alcuna incidenza sulla decisione di merito. Infatti, come si evince dalla motivazione della sentenza di secondo grado (basatasi anche sulle risultanze della relazione del c.t.u. e dei documenti prodotti nel giudizio), la distanza che la sig.ra Mazzei assumeva violata non era quella dal fabbricato principale, costruito prima degli anni 60', bensì quella dalla tettoia a sbalzo, costruita dalla sig.ra Ciarcia Angela ed oggetto della domanda di condono presentata dalla stessa. Conseguentemente, i fatti che la ricorrente avrebbe voluto provare non erano in grado di esercitare alcuna influenza sulla decisione della Corte territoriale, dal momento che essi attenevano a circostanze sono di molto anteriori e, comunque, prive di collegamento con i fatti successivi (realizzazione della tettoia, avvenuta sicuramente dopo il 5 giugno 1961), rispetto ai quali non sarebbero state rispettate le distanze. Per quanto ivi esposto, non trattasi, nel caso di specie, di una questione di diritto rilevata d'ufficio, ma di una rinnovata ricostruzione dei fatti già accertati che non ha comportato alcuna violazione dell'art. 112 c.p.c., né dell'ad. 101, co. 2, c.p.c. (peraltro aggiunto solo nel 2009 ed applicabile ai giudizi introdotti dopo il 4 luglio 2009). 5 Orbene, nella fattispecie in esame, i fatti che la sig.ra Mazzei ha chiesto di provare ("che il In ogni caso, le circostanze probatorie dedotte dalla ricorrente non sarebbero decisive in funzione di un diverso esito dell'appello. Il rigetto del ricorso principale comporta l'assorbimento del ricorso incidentale subordinato e condizionato proposto per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 n. 5 c.p.c.. nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., ravvisandosi la manifesta infondatezza dell'unico motivo del ricorso principale, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato, in relazione all'ipotesi enucleata dall'art. 375 n. 5 c.p.c., valorizzandosi, altresì, il disposto di cui all'art. 360 bis c.p.c.>>.
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella
relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, la memoria difensiva depositata- ai sensi
dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c. — nell’interesse delle ricorrente non apporta nuove
argomentazioni sul piano giuridico che risultino idonee a confutare, in modo determinante,
il contenuto della relazione stessa;
ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente
condanna delle ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio
in favore delle controricorrenti, liquidate nei sensi di cui in dispositivo, sulla scorta dei nuovi
parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140
(applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n.
17405 del 2012). Non occorre, invece, adottare alcuna statuizione sulle spese giudiziali in
ordine al rapporto giuridico processuale instauratosi tra le ricorrenti e l’intimato Berti
Giannino, il quale non ha svolto attività difensiva in questa sede di legittimità.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento, in
favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro

6

In definitiva, quindi, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere

2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per
legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema

di Cassazione, in data 9 gennaio 2014.

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