Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3591 del 14/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/02/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 14/02/2011), n.3591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1036-2007 proposto da:

M.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CAROZZA DOMENICO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

LAMINAZIONE SOTTILE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato BARBAGALLO FILIPPO,

giusta procura speciale atto Notar PAOLO MORELLI, domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 3049/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/06/2006 R.G.N. 1724/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato CAROZZA DOMENICO;

udito l’Avvocato BARBAGALLO FILIPPO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine il rigetto.

Fatto

FATTO E DIRITTO

M.A. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 6 giugno 2006, che ha rigettato il suo appello contro la decisione con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva respinto il ricorso.

Il giudizio fu introdotto dal M. nei confronti della società Laminazione sottile spa con ricorso del 18 settembre 2001. Il M. esponeva di aver lavorato per la società dal 1989, occupandosi del coordinamento e controllo del personale, della cura dei processi produttivi e della soluzione dei problemi di funzionamento degli impianti, seguendo l’orario 8.30-19 e garantendo la disponibilità anche di notte e nei giorni festivi. A seguito di un infarto che lo colpì il 1 gennaio 1991, venne spostato ad altro reparto e sottoposto agli stessi orari implicanti abnorme usura dell’organismo. Dedusse di aver percepito dal 1991 la somma di L. 900.000 a titolo di compenso forfettizzato per lo straordinario, incongruo rispetto al lavoro svolto.

Chiedeva al giudice il riconoscimento delle differenze retributive per il lavoro straordinario e per la mancata fruizione dei riposi settimanali, nonchè per il pagamento della indennità per la reperibilità. Chiedeva inoltre il risarcimento del danno biologico determinato dalla condotta illecita della società in violazione dell’art. 2087 cod. civ. e il risarcimento del danno morale, da liquidarsi in separato giudizio.

Il Tribunale dichiarò inammissibili le domande di riconoscimento delle differenze retributive per genericità del ricorso e dichiarò la prescrizione in relazione al danno biologico e morale.

La Corte ha modificato la prima parte della decisione ritenendo il ricorso sufficientemente specifico, ma ha ritenuto infondate le relative richieste, per due ragioni. Perchè il M., rientrando nella sesta categoria metalmeccanici privati e svolgendo di fatto funzioni di coordinamento del controllo gestione con ampia autonomia operativa, rientra nel novero del personale direttivo e come tale era escluso dalle limitazioni di orario e dalla percezione dei compensi per lavoro straordinario.

Peraltro lo straordinario forfettizzato erogatogli dal 1991, alla luce di quanto emerso dalla prova testimoniale svolta, appare secondo la Corte congruo e proporzionato all’apporto lavorativo reso dal M. secondo modalità idonee a preservare il diritto alla propria integrità psico fisica.

Quanto ai crediti prescritti la Corte ha rilevato che la prescrizione è stata tempestivamente eccepita e ha condiviso la decisione di primo grado che ha valutato idoneo atto interruttivo solo il ricorso notificato in data 2 novembre 2001 e non anche il precedente costituito dalla istanza per l’espletamento del tentativo di conciliazione indirizzata all’ULPMO il 22 ottobre 2000.

Ha poi considerato la prospettazione del ricorso per la quale il danno andrebbe valutato in relazione al comportamento successivo del datore di lavoro e ai possibili aggravamenti che lo stesso potrebbe aver determinato. Tale valutazione è stata però nel senso che dalla prova svolta è emerso che il datore di lavoro ha assolto l’onere posto a suo carico dall’art. 2087 cod. civ. in quanto ha comprovato “di aver riservato una posizione di maggior riguardo al ricorrente in seguito all’evento infartuale occorsogli e di averlo adibito a mansioni attinenti la produzione, la formazione del personale, la soluzione di problemi tecnici osservando un orario che eccedeva quello ordinario secondo modalità ed entro termini che non valicavano i limiti della ragionevolezza secondo l’id quod plerumque accidit”.

Il M. ricorre per cassazione con un unico motivo, che si occupa cumulativamente di tutti i temi, invero diversi ed articolati, oggetto della controversia.

Il procuratore della società intimata ha discusso la controversia in udienza.

L’unico motivo di ricorso è formulato in modo assolutamente generico. Cumula ed intreccia una pluralità di questioni diverse.

Omette, per ciascuna delle questioni proposte, di specificare le norme di diritto che si assumono violate, la ragione specifica della violazione di legge, il relativo, collegato quesito di diritto.

Omette, laddove denunzia vizi di motivazione, di specificare il fatto su cui verte il difetto di motivazione e di argomentare il perchè lo stesso è controverso e il perchè è decisivo. Non specifica poi quale vizio di motivazione venga denunziato, indicando indistintamente omissione e insufficienza e contraddittorietà della motivazione, laddove una motivazione non può al tempo stesso mancare ed essere insufficiente o contraddittoria e senza peraltro mai specificare le ragioni della insufficienza e della contraddittorietà.

Invero a pag. 27 del ricorso si formula un quesito in ordine a chi gravi l’onere di provare l’autonomia decisionale del ricorrente nello svolgimento dei compiti inerenti alla sua qualifica e si indica un vizio di motivazione sul punto. La Corte, però, non ha deciso assegnando alla parte ricorrente tale onere, ma semplicemente valutando il quadro probatorio acquisito. Nè la relativa motivazione può dirsi omessa o insufficiente, ma anzi risulta ampia ed argomentata. Nè il ricorrente indica specifici punti di contraddizione interna. Per il resto il ricorso sul punto si risolve in una richiesta di rivalutazione della prova, a volte con riferimento a singole deposizioni testimoniali, inammissibile in sede di legittimità.

Il ricorso quindi è inammissibile.

Le spese sono a carico della parte che ha proposto un ricorso inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione alla controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 30,00 euro, nonchè 3.000,00 euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2011

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