Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3591 del 10/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 10/02/2017, (ud. 12/01/2017, dep.10/02/2017),  n. 3591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M. T. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15404-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.S.C.G., elettivamente domiciliato in ROMA

LARGO PANNONIA 23, presso lo studio dell’avvocato CARLO MORGANTI,

che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 48/2010 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 14/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2017 dal Consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROCCHITTA che si riporta al

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

L’agenzia delle entrate propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 48/29/10 del 14 aprile 2010 con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, in riforma della prima decisione, ha revocato la sentenza della commissione tributaria provinciale di Roma n. 129/25/02 deliberata il 22 febbraio 2002, in giudicato; con conseguente accoglimento del ricorso proposto dal contribuente S.S. avverso l’avviso di accertamento notificatogli, per imposta di registro ed Invim, in relazione ad un immobile da lui venduto nel (OMISSIS). A giudizio della commissione tributaria regionale, la revoca della suddetta sentenza si imporrebbe, nel caso di specie, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 67 e art. 395 c.p.c., n. 3; essendo emerso a distanza di alcuni anni che, in pendenza del giudizio di opposizione al menzionato avviso di accertamento, era stata emanata, dalla stessa commissione tributaria provinciale di Roma, sentenza n. 258/26/01 del 14 maggio 2001 di annullamento, per difetto di motivazione, dell’atto impositivo in discussione. Il giudicato così formatosi su quest’ultima sentenza – ottenuta dall’acquirente dell’immobile fatto oggetto dell’accertamento di maggior valore – costituirebbe “documento decisivo” di non debenza del tributo, che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa ad essa non imputabile.

Resiste con controricorso il S.S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione, così come opposta dal S.S.. A fronte del deposito in data 14 aprile 2010 della sentenza qui impugnata, il ricorso in sede di legittimità è stato notificato, mediante consegna del plico all’ufficiale giudiziario, il 30 maggio 2011 e, dunque, l’ultimo giorno utile nel rispetto del termine “lungo” di impugnazione, comprensivo di 46 (non 45, come mostra di calcolare il controricorrente) giorni di sospensione dei termini processuali in periodo feriale. Non vi è del resto dubbio che, per il noto principio di “scissione” degli effetti della notificazione tra notificante e destinatario (C. Cost. 477/02; art. 149 c.p.c.), rilevi – ai presenti fini – la data di attivazione del processo notificatorio mediante consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario o all’agente postale incaricato del recapito.

p. 2. Con l’unico articolato motivo di ricorso, l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 64 e 67 e art. 395 c.p.c.. Per avere la commissione tributaria regionale revocato la sentenza CTP n. 129/25/02 erroneamente attribuendo al giudicato di annullamento, formatosi nei confronti dell’acquirente dell’immobile, natura di “documento decisivo” ex art. 395 c.p.c., n. 3) nel giudizio di opposizione intrapreso, contro lo stesso avviso di accertamento, dal venditore S.S., ed anch’esso già definito con sentenza a lui sfavorevole passata in giudicato. Tanto più considerando che la sentenza revocata era stata deliberata (febbraio 2002) e pubblicata (aprile 2002) prima che si formasse il giudicato sulla sentenza relativa all’acquirente (luglio 2002); e che quest’ultima non era stata prodotta in giudizio per causa imputabile al medesimo S.S..

p. 3.1 II ricorso è fondato, attesa l’effettiva sussistenza della violazione normativa lamentata.

Va premesso che in materia di solidarietà tributaria – qual è quella sussistente tra le parti contraenti ai fini dell’imposta di registro, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 57, – si è affermato un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità (tra le altre: Cass. 26008/13; 1589/06; 11499/09; 5725/16); i cui passaggi fondamentali possono così riassumersi: – vige anche in materia tributaria il principio generale (estrinsecazione di quanto stabilito dall’art. 2909 c.c.) di cui all’art. 1306 c.c., comma 1, secondo cui la sentenza non fa stato nei confronti dei debitori in solido che non abbiano partecipato al giudizio; tuttavia, vale anche per la solidarietà tributaria (paritetica o dipendente) il limite apportato a questo principio generale dal 2^ comma della norma in esame, in forza del quale il debitore che non abbia partecipato al giudizio può purtuttavia opporre al creditore la sentenza a lui favorevole, salvo che essa sia fondata su ragioni personali al condebitore nei cui confronti è stata emessa; – a maggior ragione, anzi, tale disciplina deve trovare applicazione in ambito tributario, ove si consideri l’intrinseca unitarietà della funzione amministrativa di accertamento impositivo; – il presupposto perchè il coobbligato, rimasto estraneo al giudizio definitosi con il giudicato favorevole, possa giovarsi di quest’ultimo è che non si sia nei suoi stessi riguardi formato un altro giudicato, indifferentemente di natura sostanziale o processuale; poichè, in tal caso, l’estensione ultra partes degli effetti favorevoli del giudicato trova ostacolo nella preclusione maturatasi con la definitività della sua specifica posizione; – ulteriore presupposto è che il giudicato favorevole venga dal coobbligato “extraneus” invocato in via di eccezione a fronte della richiesta di pagamento dell’amministrazione finanziaria, non potendo per contro essere invocato a fondamento di istanza di rimborso nell’ambito di un rapporto tributario che, per effetto del pagamento dell’imposta da lui effettuato, deve ritenersi anch’esso ormai definito.

p. 3.2 Applicando questi criteri al caso di specie, non potrebbe in effetti ritenersi precluso al S.S. – in linea di principio – di avvantaggiarsi del giudicato favorevole conseguito dalla controparte contrattuale, sol perchè successivamente raggiunto egli stesso da un giudicato diretto contrario.

Ciò perchè quest’ultimo non potrebbe identificarsi – stante l’evidente petizione di principio che altrimenti ne deriverebbe – con la stessa sentenza revocata.

E’ infatti dirimente osservare, ai fini dell’art. 395 c.p.c., n. 3), che il requisito di “decisività” del documento, nella specie rappresentato dal giudicato favorevole ottenuto dall’acquirente, va riguardato al momento della deliberazione giudiziale, e nella sua astratta idoneità, se acquisito agli atti del giudizio definito con la sentenza oggetto di revoca, a formare un diverso convincimento del giudice; id est, a condurre ad una decisione diversa da quella revocanda (Cass. 29385/11; 13650/04; 11007/90; SU 5990/84 ed altre).

In modo tale che la sua acquisizione al giudizio avrebbe prevenuto la formazione stessa di quel giudicato diretto e contrario che oggi l’amministrazione finanziaria invoca – tra gli altri argomenti – a sostegno della non revocabilità.

E ben si può affermare dunque come il giudice della sentenza oggetto di revoca si sarebbe risolto diversamente qualora una decisione definitiva di annullamento fosse stata in quel giudizio prodotta. Si sarebbe cioè risolto nel senso di ritenere cogente anche nei confronti del S.S., ex art. 1306, comma 2 cit., la decisione definitiva di annullamento dell’avviso di accertamento in ipotesi conseguita dall’acquirente; del resto qui pronunciata per una ragione obiettiva e comune ad entrambe le parti contraenti, insita nella carenza di motivazione dell’avviso medesimo.

Ciò posto, la ragione dell’effettiva insussistenza nella specie dei presupposti della revoca ex art. 395, n. 3 cit. si pone su un piano diverso; però anch’esso colto dalla censura in esame. Risulta infatti dagli atti di causa (la circostanza è desumibile anche dal controricorso: pag. 9) che il giudicato favorevole all’acquirente si formò (luglio 2002, su sentenza emessa il 14 maggio 2001) “dopo” la deliberazione (e pubblicazione) della sentenza revocata (rispettivamente, febbraio ed aprile 2002).

Questo dato di fatto implica, da un lato, l’irrilevanza di ogni disquisizione sulla imputabilità della mancata tempestiva produzione in giudizio della sentenza favorevole. Posto che, prima di divenire cosa giudicata, quest’ultima era comunque sprovvista di qualsivoglia efficacia vincolante o preclusiva, risultando assoggettata al libero apprezzamento probatorio del giudice; dunque, non poteva ritenersi affatto assistita dal requisito di “decisività” nel senso appena indicato. Dall’altro, è regola generale che la revocazione di cui al n. 3 dell’art. 395 cit. presuppone che un documento preesistente alla decisione impugnata – che la parte non abbia potuto produrre a suo tempo per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario – sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, sicchè essa non può essere utilmente invocata con riferimento a un documento formatosi dopo la decisione (Cass. 20587/15; 3362/15 ed altre); ciò che invece è avvenuto nel caso di specie, considerandosi il giudicato vuoi nel suo sostrato contenutistico e dispositivo, vuoi nella sua mera materialità documentale.

Va da ultimo ancora osservato che, vertendosi nella specie di giudicati confliggenti intercorsi non tra le stesse parti, ma tra parti diverse – per quanto avvinte da vincolo di solidarietà – la revocazione non poteva essere pronunciata nemmeno ai sensi dell’art. 395 c.p.c..

Ne segue, in accoglimento del ricorso, la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata. Le spese del merito vengono compensate, in ragione delle peculiarità di una vicenda caratterizzata dal rapido succedersi temporale del giudicato favorevole rispetto alla sentenza revocata e – non ultimo – dall’annullamento, sebbene con diversa efficacia soggettiva, dell’atto impositivo qui dedotto.

Le spese di legittimità, liquidate come in dispositivo, vengono invece poste a carico del controricorrente, in ragione di soccombenza.

PQM

La Corte:

– accoglie il ricorso;

– cassa senza rinvio la sentenza impugnata;

– condanna parte controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.500,00 per compenso professionale, oltre spese prenotate a debito; compensa le spese del merito.

Così deciso nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2017

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