Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3590 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3590 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso 588-2013 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro
ROCCHI GIUSEPPE, DI TOMASSI ANNARITA, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 107, presso lo studio
dell’avvocato ALAIMO FILIPPO, rappresentati e difesi dall’avvocato

G1

< Data pubblicazione: 14/02/2014 MASSACCI ANDREA giusta procura speciale in calce al controricorso; - controricorrenti avverso il decreto n. 355/2008 R.G.V.G. della CORTE D'APPELLO udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO. Ric. 2013 n. 00588 sez. M2 - ud. 09-01-2014 -2- di ROMA del 6/12/2010, depositato il 03/11/2011; Ritenuto in fatto I sigg. Rocchi Giuseppe e Di Tommasi Annarita chiedevano alla Corte d'appello di Roma, con ricorso depositato il 16 gennaio 2008, il riconoscimento dell'equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di Tribunale di Cagliari, definito in primo grado con sentenza depositata il 9 ottobre 2007 (avverso la quale la società convenuta aveva proposto appello), invocando, la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti per la irragionevole durata del predetto giudizio. Nella costituzione del resistente Ministero, l'adita Corte di appello, con decreto depositato il 3 novembre 2011, accertava l'irragionevole ritardo del suddetto giudizio in primo grado nella durata di anni anni nove e mesi otto e condannava l'Amministrazione convenuta al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, della somma di euro 8.916,00 (liquidando l'importo di euro 750,00 per i primi tre anni e quello di euro 1000,00 per i successivi, ivi compresa la relativa frazione residua), oltre interessi dalla domanda, con ulteriore condanna della stessa Amministrazione alla rifusione delle spese giudiziali. Avverso il suddetto decreto (non notificato) ha proposto ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia con atto notificato il 19 dicembre 2012, sulla base di tre motivi. Gli intimati si sono costituiti con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c. . Considerato in diritto 1. In via preliminare, il Collegio rileva che non è di ostacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della Procura generale presso questa Corte. _ 3 - un giudizio civile instaurato con atto di citazione del 13 febbraio 1995 dinanzi al Invero, l'art. 70, secondo comma, c.p.c., quale risultante dalle modifiche introdotte dall'ad. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero «deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge». A sua volta legge n 69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all'articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile». L'art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall'articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio». Infine, l'art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante dalla legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione dell'ad. 70, secondo comma, del codice di rito, e la modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla sezione di cui all'ad. 376, primo comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013. - 4 - l'art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall'ad. 81 del citato decreto- Orbene, il Collegio rileva che l'esplicito riferimento contenuto nell'ad. 75, comma 2, citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all'art. 376, primo comma, c.p.c.), consenta di ritenere, non solo, che la detta sezione è abilitata a tenere pubbliche udienze e non solo adunanze camerali, ma anche che partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell'ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell'ad. 70, terzo comma, c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse. Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell'udienza odierna è stato adottato in data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l'udienza pubblica è stata ritualmente celebrata senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del ruolo di udienza era stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi del citato art. 70, terzo comma, c.p.c. . 2. Ciò posto, si rileva che, con il primo motivo dedotto, il Ministero ricorrente ha denunciato (ai sensi dell'ad. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) la violazione e/o falsa applicazione dell'ad. 2 della legge n. 89 del 2001 nonché dell'art. 111 Cost., avuto riguardo alla supposta erroneità del computo della durata irragionevole del giudizio presupposto, che si era comunque articolato in due gradi di merito, malgrado i ricorrenti avessero limitata la domanda di equo indennizzo alla sola durata del primo grado. 3. Con il secondo motivo proposto in via subordinata il Ministero ricorrente ha prospettato il vizio di insufficiente motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio (ai sensi dell'ad. 360, n. 5, c.p.c.) dedotto con la prima censura. 5 alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la 4. Con il terzo motivo — formulato ancora in linea subordinata — il Ministero ricorrente ha dedotto un ulteriore violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001, sul presupposto che la Corte territoriale aveva illegittimamente determinato in tre anni il termine di durata ragionevole anziché in cinque anni, trattandosi di giudizio riparazione — risultava attivato il grado di appello. 5. I tre motivi — esaminabili congiuntamente siccome strettante connessi e riferiti alla stessa questione ancorché censurata sotto i diversi profili della violazione di legge e del vizio motivazionale — sono infondati per le ragioni che seguono. Infatti, come rilevato dallo stesso Ministero ricorrente, la domanda di equa riparazione era stata limitata all'assunta durata irragionevole del giudizio di primo grado e la Corte territoriale si è legittimamente pronunciata entro tali limiti, dal momento che il giudizio di appello era ancora pendente (e, quindi, la sua durata non era prevedibile), con la conseguenza che, nella fattispecie, non avrebbe potuto trovare applicazione l'orientamento giurisprudenziale sulla necessaria valutazione complessiva sintetica del giudizio ove lo stesso risulti già articolatosi e definito in due gradi. Pertanto, la Corte capitolina ha esattamente applicato il principio (v., a tal proposito, Cass. n. 19352 del 2005 e, da ultimo, Cass. n. 8547 del 2011) secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, ove la relativa domanda sia proposta durante la pendenza del processo presupposto (nella specie, in grado di appello) il giudice deve prendere in considerazione, ai fini della valutazione della ragionevolezza della durata di detto processo, il solo periodo intercorrente tra il suo promovimento e la proposizione del ricorso per equa - 6 - non definito in unico grado e per il quale — alla data di deposito del ricorso per equa riparazione, non potendo considerare altresì l'ulteriore ritardo, futuro ed incerto, suscettibile di maturazione nel prosieguo del primo processo. Invero, tale valutazione prognostica è esclusa dalla lettera dell'art. 2 della legge cit., che si riferisce ad un evento lesivo storicamente già verificatosi e dunque pendenza del processo presupposto, come nella specie avvenuto, delimita l'ambito del pregiudizio, anticipando la liquidazione per ogni violazione già integrata, e fa implicitamente salva la facoltà di proporre altra domanda in caso di eventuale ritardo ulteriore. In altri termini, in materia di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, ove la relativa domanda sia proposta durante la pendenza del processo presupposto, il giudice dell'equa riparazione deve prendere in considerazione, ai fini della valutazione della ragionevolezza della durata di detto processo, il solo periodo intercorrente tra il promovimento del processo stesso e la proposizione del ricorso per equa riparazione, non potendo egli compiere una valutazione prognostica in ordine ai successivi sviluppi del giudizio di cui si tratta, i quali restano incerti, oltre che con riferimento all'esito (irrilevante), anche in ordine ai tempi di svolgimento. Pertanto, sulla scorta di questa corretta impostazione giuridica, la Corte territoriale ha ritenuto che dal momento dell'introduzione del giudizio presupposto, avvenuta con citazione del 13 febbraio 1995,e fino al momento della definizione con la sentenza di primo grado del 9 ottobre 2007 (con l'instaurazione del giudizio per equa riparazione intervenuta, in pendenza dell'appello, con il deposito del relativo ricorso in data 16 gennaio 2008), erano trascorsi dodici anni ed otto mesi, dalla cui durata scomputare l'intervallo temporale di tre anni riferibile alla durata ragionevole di un giudizio civile in - 7 - certo, mentre a sua volta l'art. 4, permettendo l'esercizio dell'azione anche in primo grado, pervenendo alla quantificazione della durata irragionevole complessiva per tale grado nella misura di anni nove e mesi otto. Alla stregua di tale percorso argomentativo e dell'applicazione dei pacifici parametri di calcolo (corrispondenti all'importo di euro 750,00 per i primi tre anni e a quello di statuizione finale di accoglimento della domanda di equa riparazione, liquidando, in favore di ciascuno dei ricorrenti, l'importo di euro 8.916,00 (oltre interessi legali dalla domanda al saldo). 6. In definitiva, sulla scorta delle ragioni esposte, deve pervenirsi al rigetto integrale del ricorso, a cui consegue la condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese giudiziali, liquidate come in dispositivo (mentre non sussistono le condizioni per l'aggiuntiva condanna richiesta ex art. 96, comma 3, c.p.c., peraltro applicabile ai soli giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della legge n. 69 del 2009, nel mentre, nel caso di specie, risulta introdotto con ricorso depositato il 16 gennaio 2008). PER QUESTI MOTIVI La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti con vincolo solidale, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi euro 606,25, di cui euro 100,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, in data 9 gennaio 2014. euro 1000,00 per i successivi), la Corte laziale è pervenuta legittimamente alla

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