Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 359 del 13/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 13/01/2010, (ud. 14/10/2009, dep. 13/01/2010), n.359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15332-2006 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA – S.P.A., (già FERROVIE DELLO STATO S.P.A.

SOCIETA’ DI TRASPORTI E SERVIZI PER AZIONI), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

RIPETTA 22, presso io studio dell’avvocato VESCI GERARDO &

PARTNERS,

rappresentata e difesa dall’avvocato VESCI GERARDO, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAVOUR

221, presso lo studio dell’avvocato FABBRINI FABIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SPEDALIERE LEOPOLDO,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2073/2005 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositala

il 17/05/2005 R.G.N. 4143/93;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2009 dal Consigliere Dott. FILTRO CURZIO;

udito l’Avvocato NICOLO’ SCHITTONE per delega GERARDO VESCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE ENNIO ATTILIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rete ferroviaria italiana spa chiede l’annullamento della sentenza della Tribunale di Napoli, pubblicata il 17 maggio 2005 che, in riforma della decisione del pretore di Napoli, ha dichiarato che tra S.A. e la società è intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 1 marzo 1974 al 31 marzo 1988. La società articola il ricorso in due motivi.

La S. ha depositato controricorso, eccependo preliminarmente il passaggio in giudicato della sentenza per decadenza dall’impugnazione, in quanto il ricorso per cassazione è stato proposto oltre un anno dalla pubblicazione della decisione. In ogni caso conclude per l’infondatezza del ricorso.

L’eccezione di passaggio in giudicato non è fondata. La sentenza è stata pubblicata il 17 maggio 2005 e il ricorso per cassazione risulta notificato il 18 maggio 2006. Tuttavia, ciò che bisogna considerare non è il giorno della notifica, ma quello della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e questa è avvenuta il giorno prima. Per giurisprudenza in via di consolidamento “qualunque sia la modalità di trasmissione, la notifica di un atto processuale, almeno quando esso debba compiersi entro un determinato termine, alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 69 del 1994 e n. 477 del 2002 (che hanno affermato che il notificante debba rispondere soltanto del compimento delle formalità che non esulano dalla sua sfera di controllo, secondo il “principio della scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio”), si intende perfezionata, dal lato dell’istante, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario che funge da tramite necessario del notificante nel relativo procedimento vincolato” (Sez. 3, 6 febbraio 2007, n. 2565). Nel caso in esame, come si è detto, vi sono elementi per ritenere che la consegna sia avvenuta il giorno precedente a quello della notifica e quindi sia in termini, in quanto sull’atto vi è il timbro dell’UNEF, datato 17 maggio 2006,e una sigla.

Peraltro i due motivi di ricorso sono entrambi infondati.

La S. lavorò per la società convenuta, ora ricorrente, come incaricata del servizio di pulizia di una pluralità di stazioni ferroviarie, sulla scorta di una convenzione stipulata ai sensi della L. 30 dicembre 1959, n. 1236, art. 26.

Con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione di tale normativa, nonchè del D.M. 27 luglio 1971, n. 10947 e della L. 30 aprile 1982, n. 220. Il motivo si conclude con il seguente quesito: “vero che il rapporto di lavoro avente ad oggetto l’espletamento in favore delle Ferrovie dello Stato dei servizi indicati dalla L. n. 1236 del 1959, art. 26 ha carattere autonomo, giusta la qualificazione in tal senso offertane dalla stessa norma, non essendo incompatibili con detta natura autonoma (parasubordinata) la facoltà del committente di vigilare sull’esecuzione dell’opera (in particolare accudienza, pulizia e custodia dei dormitoli del personale) e di assegnare ad altro incarico i lavoratori inadempienti”.

La censura è infondata, in quanto, per giurisprudenza consolidata, “ove l’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato abbia fatto ricorso alle convenzioni di cui alla L. 30 dicembre 1959, n. 1236, art. 26 (espressamente conservato in vigore dalla L. 27 luglio 1967, n. 668, art. 31) per l’espletamento dei servizi di accudienza previsti dal medesimo art. 26, il giudice, richiesto dell’accertamento del carattere subordinato del rapporto, non può far discendere, dal citato art. 26, una vincolante qualificazione del rapporto come di lavoro autonomo, contrastante con i principi costituzionali, ma deve verificare le concrete modalità dì svolgimento dell’attività lavorativa dell’incaricato, per poi raffrontarle con quelle che caratterizzano la nozione legale dì subordinazione, intesa come assoggettamento della prestazione lavorativa al potere del datore di lavoro di disporne secondo le mutevoli esigenze di tempo e di luogo proprie dell’organizzazione imprenditoriale e di controllarne intrinsecamente lo svolgimento attraverso direttive alle quali il lavoratore è obbligato ad attenersi, così come è obbligato a mantenere nel tempo la messa a disposizione delle proprie energie lavorative per il raggiungimento degli scopi produttivi dell’impresa; accertamento rispetto al quale hanno un concorrente rilievo sintomatico altri elementi desunti dalle caratteristiche concrete di svolgimento dell’attività lavorativa” (Sez. L, Sentenza n. 14723 del 26/06/2007 (Rv. 597573); in senso conforme: Cass. 8919 del 2007 Rv. 596186, Cass. n. 10100 del 2007 Rv.

596574).

Quindi la previsione legale non comporta alcun automatico riconoscimento della natura autonoma del rapporto, che dipende da una valutazione del quadro indiziario.

Valutazione che nel caso di specie è stata fatta in modo congruo e adeguatamente motivato nella sentenza impugnata.

Una seconda parte del motivo denunzia un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 “scaturente dal confronto tra quanto asserito in sentenza e quanto allegato dalla lavoratrice nell’atto introduttivo”.

Il vizio di motivazione concerne la mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Quella prospettata invece è una pretesa contraddizione tra la sentenza e le affermazioni del ricorso introduttivo, che viene denunziata senza specificare qual è il fatto controverso e decisivo per il giudizio, limitandosi ad assumere che vi è omissione o insufficienza di motivazione nella valutazione delle risultanze istruttorie.

TI secondo motivo attiene alla prescrizione. Si denunzia la violazione degli artt. 2935 e 2948 c.c., perchè il Tribunale non ha accolto la tempestiva eccezione di prescrizione dei crediti anteriori ai cinque anni precedenti la notifica del ricorso introduttivo del giudizio.

Sul punto deve però ribadirsi che il principio della non decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi durante lo svolgimento del rapporto di lavoro opera anche nel caso in cui, qualificato dalle parti il rapporto come di lavoro autonomo, il giudice accerti poi la subordinazione, anche se coi caratteri della stabilità reale.

Infatti, prima di questo accertamento il lavoratore, temendo il recesso della controparte ex art. 2227 c.c., si trova nella situazione di metus tipica dei rapporti senza stabilità (cfr. Cass. 13 agosto 1997, n. 7565; 13 dicembre 2004, n. 23277; 23 gennaio 2009, n. 1717).

La Corte d’Appello si è attenuta a tale principio, quindi anche questo motivo non risulta fondato.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento del spese del giudizio di legittimità, che liquida in 10,00 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali e distrae ai procuratori della parte intimata, avv.ti Leopoldo Spedaliere e Fabio Fabbrini, dichiaratisi anticipatari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

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