Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3589 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3589 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso 587-2013 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro
RAPA FRANCESCO GIOVANNI;
– intimato avverso il decreto n. 10755/2008 R.G.A.D. della CORTE
D’APPELLO di ROMA del 13/12/2012, depositato il 04/11/2011;

Data pubblicazione: 14/02/2014

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
/

7)

09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO.

Ric. 2013 n. 00587 sez. M2 – ud. 09-01-2014
-2-

Ritenuto in fatto
Il sig. Rapa Giovanni, Francesco, in proprio e quale erede di Rapa Pasquale,
chiedeva alla Corte d’appello di Roma, con ricorso ritualmente depositato, il
riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, per

confronti del suo dante causa, con atto di citazione notificato nel settembre 1982,
dinanzi al Tribunale di Benevento, definito, in primo grado, con sentenza depositata
nel maggio 2008, invocando la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento
dei danni non patrimoniali subiti per la irragionevole durata del predetto giudizio.
Nella costituzione del resistente Ministero, l’adita Corte di appello, con decreto
depositato il 4 novembre 2011, accertava l’irragionevole ritardo del suddetto giudizio
nella durata di anni tredici e condannava l’Amministrazione convenuta al pagamento,
a titolo d equo indennizzo, della somma di euro 13.500,00, oltre interessi dalla
domanda al soddisfo, con ulteriore condanna della stessa Amministrazione alla
rifusione delle spese giudiziali.
Avverso il suddetto decreto (non notificato) ha proposto ricorso per cassazione il
Ministero della Giustizia, con atto spedito per la notificazione il 19 dicembre 2012,
sulla base di quattro motivi. L’intimato non si è costituito in questa fase di legittimità.
Considerato in diritto
1. In via preliminare, il Collegio rileva che non è di ostacolo alla trattazione del ricorso
la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, secondo comma, c.p.c., quale risultante dalle modifiche introdotte
dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni,
nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero «deve intervenire

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la irragionevole durata di un giudizio civile (in materia di diritti reali) instaurato nei

nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge». A sua volta
l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall’art. 81 del citato decretolegge n 69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero presso la Corte di
cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze

della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla
sezione di cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura
civile». L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita
sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di
consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante dalla legge
di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione
dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la modificazione degli artt. 380-bis,
secondo comma, e 390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la
disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico
ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo
comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente
articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di
fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire
dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto nell’art. 75, comma 2,
citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art.
376, primo comma, c.p.c.), consenta di ritenere, non solo, che la detta sezione è

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dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici

abilitata a tenere pubbliche udienze e non solo adunanze camerali, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà
dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma,

Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato adottato in
data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica è stata
ritualmente celebrata senza la partecipazione del rappresentante della Procura
generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia
integrale del ruolo di udienza era stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico
che giustificasse la propria partecipazione ai sensi del citato art. 70, terzo comma,
c. p. c. .
2. Ciò posto, rileva il collegio che con il primo motivo dedotto il Ministero ricorrente ha
denunciato — ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, sul presupposto che la Corte territoriale, nel
decreto impugnato, non aveva rilevato, ai fini della determinazione della durata
irragionevole del giudizio presupposto, l’incidenza dei rinvii ad istanza delle parti.
3. Con il secondo motivo il Ministero della Giustizia ha prospettato (ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 5, c.p.c.) il vizio di omessa od insufficiente motivazione del decreto
impugnato con riferimento alla ricostruzione della durata irragionevole effettiva del
giudizio presupposto, sull’assunto che non fossero state adeguatamente considerate
le attività dilatorie o per altre ragioni processuali imputabili alle parti private.
4. Con il terzo motivo il Ministero ricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 75 c.p.c. .

c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.

5. Con il quarto ed ultimo motivo il Ministero ricorrente ha inteso far valere la
violazione e/o falsa applicazione dell’ad. 112 c.p.c., avendo la Corte capitolina
pronunciato “ultra petitum”, riconoscendo alla ricorrente — in difetto di una sua
specifica domanda in proposito – gli interessi legali a decorrere dalla domanda

6. Rileva il collegio che le prime due censure — esaminabili congiuntamente perché
investono la medesima questione sotto i diversi profili della violazione di legge e del
vizio di motivazione — sono fondate per le ragioni che seguono.
E’ risaputo, sul piano generale, che nel giudizio per l’equa riparazione per la
violazione del termine di durata ragionevole del processo, a norma dell’ad. 2, comma
secondo, della legge n. 89 del 2001, la parte assolve all’onere di allegazione dei fatti
costitutivi della domanda esponendo gli elementi utili a determinare la durata
complessiva del giudizio presupposto, salvi i poteri della Corte d’appello adita di
accertare, d’ufficio o su sollecitazione dell’Amministrazione convenuta, le cause che
abbiano giustificato in tutto o in parte la durata del procedimento (cfr. Cass. n. 2207
del 2010). E’ anche risaputo che il danno patrimoniale indennizzabile come
conseguenza della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi
della legge 24 marzo 2001, n. 89, è soltanto quello che costituisce “conseguenza
immediata e diretta” del fatto causativo (art. 1223 c.c. richiamato dall’art. 2, comma 3,
legge cit. attraverso il rinvio all’ad. 2056 stesso codice), in quanto sia collegabile al
superamento del termine ragionevole e trovi appunto causa nel non ragionevole
ritardo della definizione del processo presupposto. Si è, altresì, puntualizzato che, in
tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine di ragionevole durata del
processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, solo il danno patrimoniale,
diversamente da quello non patrimoniale (per il quale occorre soltanto l’allegazione

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anziché dalla pubblicazione del decreto.

quale conseguenza dell’irragionevole durata del processo presupposto), deve essere
oggetto di prova piena e rigorosa, occorrendo che ne siano specificati tutti gli
estremi, fra l’altro variabili da caso a caso, ovvero che ne sia possibile
l’individuazione sulla base del contesto complessivo dell’atto (cfr. Cass. n. 5213 del

Orbene, nella specie, la Corte di appello di Roma, con motivazione inadeguata, pur
avendo ritenuto di dover ravvisare l’emergenza di condotte dilatorie addebitabili alle
parti private, non ha, tuttavia, evidenziato il complessivo percorso dello sviluppo del
giudizio, avuto riguardo alle singole fasi processuali svoltesi ed ai comportamenti
delle parti private orientati ad ottenere il mero differimento delle udienze, alla luce
delle stesse prospettazioni contenute nel ricorso proposto avanti alla stessa Corte
territoriale (come riprodotte nel ricorso della difesa erariale) e riproposte
puntualmente con l’illustrazione delle censure in esame (con la possibile
configurazione di un apprezzabile periodo di ritardo — superiore a quello considerato
dalla Corte capitolina – non addebitabile alle disfunzioni dell’Amministrazione
giudiziaria, bensì alle esigenze difensive delle stesse parti private).
Alla luce di tale complessiva argomentazione e della carente motivazione addotta
dalla Corte romana, i primi due motivi deve essere ritenuti fondati, con la
conseguente relativa cassazione del decreto impugnato, a cui consegue
l’assorbimento del terzo e del quarto motivo (la cui cognizione risulta dipendente
dall’esame dei precedenti).
7. In definitiva, sulla scorta delle ragioni esposte, vanno accolti i primi due motivi (da
cui deriva l’assorbimento degli altri due), la conseguente cassazione sul punto del
decreto impugnato, a cui si correla il rinvio della causa alla Corte di appello di Roma,

2007 e, da ultimo, Cass. n. 14775 del 2013).

in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese della presente fase

9-)

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di legittimità.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa il

presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa
composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte
suprema di Cassazione, in data 9 gennaio 2014.

decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del

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