Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3588 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3588 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso 504-2013 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona Ministro
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente contro
LAVORGNA GILDA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
NICOLO’ TARTAGLIA 21, presso lo studio dell’avvocato PAOLINI
PIERLUIGI, rappresentata e difesa dall’avvocato DE ANGELIS
ORESTE giusta procura speciale ad litem a margine del controricorso;

Data pubblicazione: 14/02/2014

- controricorrente avverso il decreto n. R.G. 9661/2008 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 6/12/2010, depositato 11 03/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO.

Ric. 2013 n. 00504 sez. M2 – ud. 09-01-2014
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Ritenuto in fatto

La sig.ra Lavorgna Gilda chiedeva alla Corte d’appello di Roma, con ricorso
ritualmente depositato, il riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi della legge
24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di un giudizio civile instaurato, con

definito, in secondo grado, dalla Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata
nel maggio 2007, invocando la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento
dei danni non patrimoniali subiti per la irragionevole durata del predetto giudizio.
Nella costituzione del resistente Ministero, l’adita Corte di appello, con decreto
depositato il 3 novembre 2011, accertava l’irragionevole ritardo del suddetto giudizio
nella durata di anni tredici e condannava l’Amministrazione convenuta al pagamento,
a titolo d equo indennizzo, della somma di euro 13.000,00 (liquidando l’importo di
euro 1000,00 per ciascuno dei 13 anni), oltre interessi dalla domanda al soddisfo,
con ulteriore condanna della stessa Amministrazione alla rifusione delle spese
giudiziali.
Avverso il suddetto decreto (non notificato) ha proposto ricorso per cassazione il
Ministero della Giustizia, con atto spedito per la notificazione il 19 dicembre 2012,
sulla base di quattro motivi. L’intimata si è costituita in questa sede con controricorso.
Considerato in diritto

1. In via preliminare, il Collegio rileva che non è di ostacolo alla trattazione del ricorso
la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, secondo comma, c.p.c., quale risultante dalle modifiche introdotte
dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni,
nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero «deve intervenire

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atto di citazione notificato nel novembre 1988, dinanzi al Tribunale di Benevento,

nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge». A sua volta

l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall’art. 81 del citato decretolegge n 69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero presso la Corte di
cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze

della Corte di cassazione, ‘ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla
sezione di cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura
civile». L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita
sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di
consiglio».

Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante dalla legge
di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione
dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la modificazione degli artt. 380-bis,
secondo comma, e 390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la
disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico
ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo
comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente
articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di
fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire
dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.

Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto nell’art. 75, comma 2,
citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art.
376, primo comma, c.p.c.), consenta di ritenere, non solo, che la detta sezione è

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dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici

abilitata a tenere pubbliche udienze e non solo adunanze camerali, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà
dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’ad. 70, terzo comma,

Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato adottato in
data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica è stata
ritualmente celebrata senza la partecipazione del rappresentante della Procura
generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia
integrale del ruolo di udienza era stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico
che giustificasse la propria partecipazione ai sensi del citato art. 70, terzo comma,
c.p.c. .
2. Ciò posto, va esaminata, in linea preliminare, l’eccezione di tardività della
proposizione del ricorso per come formulata nell’interesse della controricorrente, sul
presupposto che lo stesso era stato avanzato in violazione del termine semestrale
previsto dal novellato (per effetto dell’ad. 46, comma 17, della legge n. 69 del 2009)
ad. 327 c.p.c. .
L’assunto è infondato poiché, nella fattispecie, era applicabile “ratione temporis” il
previgente testo dell’ad. 327, comma 1, c.p.c., dal momento che il giudizio per equa
riparazione era stato introdotto nel 2008 (e, quindi, prima dell’entrata in vigore del
testo novellato), con la conseguenza che il ricorso per cassazione del Ministero,
risultando consegnato per la notificazione il 19 dicembre 2012 (a fronte
dell’intervenuta pubblicazione del decreto impugnata in data 3 novembre 2011), è da
ritenersi tempestivo perché avviato alla notificazione l’ultimo giorno del termine utile
di un anno e 46 giorni. E’, peraltro, pacifico, in proposito, che, a seguito della

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c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.

sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale – secondo cui la notifica di
un atto processuale si intende perfezionata, per il notificante, al momento della
consegna del medesimo all’ufficiale giudiziario – la tempestività della
proposizione del ricorso per cassazione esige solo che la consegna della copia

mentre l’eventuale tardività della notifica può essere addebitata
esclusivamente a errori o all’inerzia dell’ufficiale giudiziario o dei suoi ausiliari
(ovvero al servizio postale, in caso di notificazione per posta), e non a
responsabilità del notificante.
3. Risolti i due esaminati aspetti pregiudiziali, rileva il collegio che con il primo motivo
dedotto il Ministero ricorrente ha denunciato — ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. – la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, sul
presupposto che la Corte territoriale, nel decreto impugnato, non aveva rilevato, ai
fini della determinazione della durata irragionevole del giudizio presupposto,
l’incidenza dei rinvii ad istanza delle parti.
4. Con il secondo motivo il Ministero della Giustizia ha prospettato (ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 5, c.p.c.) il vizio di omessa od insufficiente motivazione del decreto
impugnato con riferimento alla ricostruzione della durata irragionevole effettiva del
giudizio presupposto, sull’assunto che non fossero state adeguatamente considerate
le attività dilatorie o per altre ragioni processuali imputabili alle parti private.
5. Con il terzo motivo il Ministero ricorrente ha dedotto il vizio di insufficiente e
contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia relativo ai criteri di
determinazione dell’indennizzo riconosciuto in favore dei ricorrenti dinanzi alla Corte
capitolina, quantificato in modo difforme rispetto ai parametri individuati sia dalla
giurisprudenza della CEDU che da quella della Corte di cassazione.

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del ricorso per la notifica venga effettuata nel termine perentorio di legge,

6. Con il quarto ed ultimo motivo il Ministero ricorrente ha inteso far valere la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Corte capitolina
pronunciato “ultra petitum”, riconoscendo alla ricorrente — in difetto di una sua
specifica domanda in proposito – gli interessi legali a decorrere dalla domanda

7. Rileva il collegio che le prime due censure — esaminabili congiuntamente perché
investono la medesima questione sotto i diversi profili della violazione di legge e del
vizio di motivazione — sono fondate per le ragioni che seguono.

E’ risaputo, sul piano generale, che nel giudizio per l’equa riparazione per la
violazione del termine di durata ragionevole del processo, a norma dell’art. 2, comma
secondo, della legge n. 89 del 2001, la parte assolve all’onere di allegazione dei fatti
costitutivi della domanda esponendo gli elementi utili a determinare la durata
complessiva del giudizio presupposto, salvi i poteri della Corte d’appello adita di
accertare, d’ufficio o su sollecitazione dell’Amministrazione convenuta, le cause che
abbiano giustificato in tutto o in parte la durata del procedimento (cfr. Cass. n. 2207
del 2010). E’ anche risaputo che il danno patrimoniale indennizzabile come
conseguenza della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi
della legge 24 marzo 2001, n. 89, è soltanto quello che costituisce “conseguenza
immediata e diretta” del fatto causativo (art. 1223 c.c. richiamato dall’art. 2, comma 3,
legge cit. attraverso il rinvio all’art. 2056 stesso codice), in quanto sia collegabile al
superamento del termine ragionevole e trovi appunto causa nel non ragionevole
ritardo della definizione del processo presupposto. Si è, altresì, puntualizzato che, in
tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine di ragionevole durata del
processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, solo il danno patrimoniale,
diversamente da quello non patrimoniale (per il quale occorre soltanto l’allegazione

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anziché dalla pubblicazione del decreto.

quale conseguenza dell’irragionevole durata del processo presupposto), deve essere
oggetto di prova piena e rigorosa, occorrendo che ne siano specificati tutti gli
estremi, fra l’altro variabili da caso a caso, ovvero che ne sia possibile
l’individuazione sulla base del contesto complessivo dell’atto (cfr. Cass. n. 5213 del

Orbene, nella specie, la Corte di appello di Roma, con motivazione del tutto
apodittica, non ha ritenuto di dover ravvisare l’emergenza di condotte dilatorie
addebitabili alle parti private, senza nemmeno evidenziare il complessivo percorso
dello sviluppo del giudizio, avuto riguardo alle singole fasi processuali svoltesi ed ai
comportamenti delle parti private orientati ad ottenere il mero differimento delle
udienze, alla luce delle stesse prospettazioni contenute nel ricorso proposto avanti
alla stessa Corte territoriale (come riprodotte nel ricorso della difesa erariale) e
riproposte puntualmente con l’illustrazione delle censure in esame (con la possibile
configurazione di un apprezzabile periodo di ritardo non addebitabile alle disfunzioni
dell’Amministrazione giudiziaria, bensì alle esigenze difensive delle stesse parti
private).
Alla luce di tale complessiva argomentazione e della carente motivazione addotta
dalla Corte romana, i primi due motivi deve essere ritenuti fondati, con la
conseguente relativa cassazione del decreto impugnato, a cui consegue
l’assorbimento del terzo motivo (dipendente dall’esame dei precedenti, siccome
riguardante la confutazione dei criteri di computo dell’indennizzo, in ordine ai quali la
Corte territoriale si è, peraltro, discostata dai parametri della giurisprudenza di questa
Corte e di quella della CEDU, alla cui stregua la quantificazione del danno non
patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di
ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a

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2007 e, da ultimo, Cass. n. 14775 del 2013).

euro 1.000,00 per quelli successivi), oltre che del quarto riconducibile ad un vizio di
ultrapetizione.
8. In definitiva, sulla scorta delle ragioni esposte, vanno accolti i primi due motivi (da
cui deriva l’assorbimento degli altri due), la conseguente cassazione sul punto del

in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese della presente fase
di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa il
decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del
presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa
composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte
suprema di Cassazione, in data 9 gennaio 2014.

decreto impugnato, a cui si correla il rinvio della causa alla Corte di appello di Roma,

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