Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3588 del 14/02/2011

Cassazione civile sez. I, 14/02/2011, (ud. 24/01/2011, dep. 14/02/2011), n.3588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Amministrazione Provinciale di Agrigento in persona del Presidente,

elettivamente domiciliata in Roma, via G. Reni 2, presso l’avv.

Vianello Valerio, rappresentata e difesa dall’avv. Empedocle Mirabile

giusta delega in atti; (C.F. (OMISSIS));

– ricorrente –

contro

D.A., + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in Roma, via Mercalli 13, presso

l’avv. De Portu Claudio, rappresentati e difesi dall’avv. Alaimo

Raimondo, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 874 del

12.7.2004.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24.1.2011 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Udito l’avv. Giuseppe Vaccaro su delega per i controricorrenti;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Sorrentino Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 12.7.2004 la Corte di Appello di Palermo, riformando la decisione di primo grado, condannava l’Amministrazione Provinciale di Agrigento al pagamento di Euro 5.745 in favore degli eredi di C.D., in relazione all’esecuzione di contratto di appalto avente ad oggetto lavori di ricostruzione del ponte sul fiume (OMISSIS), che quest’ultimo aveva stipulato con la detta Provincia.

Il pagamento per la causale indicata (negato dal primo giudice) era stato sollecitato ed ottenuto ai sensi dell’art. 1664 c.c., comma 2, in relazione alla natura del terreno (roccia gessosa) sul quale era stata realizzata la palificazione, e la Corte di appello aveva disatteso la motivazione del tribunale, che aveva basato la pronuncia di rigetto sulla pretesa rinuncia dell’appaltatore a far valere il disposto del citato art. 1664, in ragione dell’affermata irrilevanza della dichiarazione del C. circa la conoscenza delle diverse circostanze idonee ad incidere sulla determinazione del prezzo dell’appalto.

Tale dichiarazione non avrebbe infatti avuto seguito nella successiva previsione negoziale, mentre il diritto al maggior compenso, poi quantificato nei termini indicati da consulenza tecnica, sarebbe stato riconducibile alla configurabilità di una causa di forza maggiore.

Avverso la decisione l’Amministrazione Provinciale di Agrigento proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui gli eredi di C., nel frattempo deceduto, resistevano con controricorso.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 24.1.2011.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi di impugnazione l’Amministrazione provinciale di Agrigento ha rispettivamente denunciato: 1) violazione dell’art. 1664 c.c. sotto un duplice profilo, vale a dire per il fatto che la Corte di appello avrebbe introdotto una inesistente distinzione fra forza maggiore apparente e forza maggiore, limitando poi a quest’ultima il diritto alla percezione di un maggior compenso, nonchè per il fatto che tale diritto avrebbe potuto trovare riconoscimento esclusivamente nel caso di eccedenza superiore al 10% rispetto al prezzo concordato, ipotesi non verificatasi nella specie;

2) violazione dell’art. 91 c.p.c. e vizio di motivazione, per il fatto che immotivatamente sarebbe stata disposta la condanna di essa ricorrente all’integrale pagamento delle spese processuali, pur a fronte di un accoglimento limitato della domanda (era stata respinta l’istanza di rivalutazione monetaria, mentre la quantificazione del dovuto sarebbe stata determinata nella misura di un terzo rispetto alla richiesta).

Il ricorso è infondato.

In proposito si osserva infatti, per quanto riguarda il primo motivo, che la Corte di Appello ha motivato la decisione oggetto di impugnazione sulla base di una duplicità di elementi, e cioè: a) la dichiarazione del C. relativa all’impegno all’invariabilità dei prezzi sarebbe da intendere riferita alla situazione apparente e alle circostanze oggettivamente prevedibili, ma non potrebbe avere effetto per quanto concerne le ipotesi di “sorpresa geologica”, con riferimento cioè a quanto dall’esterno non percepibile, come verificatosi nel caso di specie; b) la dichiarazione in questione del C. del 13.3.1979, relativa all’invariabilità dei prezzi stabiliti per l’effettuazione dei lavori, non sarebbe stata trasfusa nel contratto di appalto (p. 5).

Entrambe le argomentazioni, espressione di valutazione di merito, sono sorrette da motivazione non viziata sul piano logico, e pertanto non sindacabili in questa sede di legittimità.

Ed invero quanto al punto sub b), la dichiarazione è stata interpretata come riconducibile al soddisfacimento di una condizione per l’ammissione alla gara di appalto, priva dunque di autonoma valenza nel contratto in cui non era stata trasfusa, ed in tale interpretazione il ricorrente non ha ravvisato la violazione di alcun canone ermeneutico; quanto a quello sub a), la pretesa dell’appaltatore trova conforto nel disposto dell’art. 1664 c.c., comma 2, (applicabile nella specie e che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, riconosce all’appaltatore il diritto ad un equo compenso non subordinato ad un aumento del costo superiore al 10% del prezzo complessivo convenuto) e l’affermata insussistenza di una clausola di preventiva rinuncia dell’appaltatore a far valere l’applicazione dei correttivi indicati dall’art. 1664 c.c. rende del tutto legittima la richiesta di integrazione del prezzo dell’appalto avanzata dal C., come ritenuto dalla Corte territoriale con la decisione impugnata.

In ordine al secondo motivo è poi sufficiente rilevare che la ripartizione delle spese processuali è stata effettuata sulla base del principio della soccombenza, circostanza questa che esclude l’astratta configurabilità del vizio denunciato.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2011

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