Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3586 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3586 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso 298-2013 proposto da:
CREA CARMELA CRECML73E50F112E, CREA GIOVANNI
CREGNN78M18F1120, CREA FRANCESCO CANDELORO
CREFNC66E13F112D, CREA CRISTINA CRECST68M71F112T,
CREA VINCENZO CREVCN29B04H224L, nella qualità di eredi di
Polimeno Porsia, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA AURELIA
385, presso lo studio dell’avvocato

syrzTA ANDREA, rappresentati e

difesi dall’avvocato LABATE ANTONIO MARIO giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrenti contro

58
)14

Data pubblicazione: 14/02/2014

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

avverso il decreto n. 1794/2011 V.G. della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO del 14/04/2012, depositata il 12/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO.

Ric. 2013 n. 00298 sez. M2 – ud. 09-01-2014
-2-

– resistente –

Ritenuto in fatto
I sigg. Crea Vincenzo, Crea Carmela, Crea Cristina, Crea Francesco Candeloro e
Crea Giovanni,quali eredi di Polimeno Porsia, chiedevano alla Corte d’appello di
Catanzaro, con ricorso depositato il 29 novembre 2011, il riconoscimento dell’equa

un giudizio previdenziale instaurato dalla predetta Polimeno con ricorso depositato il
23 maggio 1994 dinanzi all’allora Pretore di Reggio Calabria, definito in primo grado
con sentenza del 21 giugno 2000, in grado di appello con sentenza depositata il 30
dicembre 2003, in cassazione con sentenza del 13 giugno 2008 ed in sede di
giudizio di rinvio con sentenza della Corte di appello di Messina del 7 giugno 2011,
invocando, la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento dei danni non
patrimoniali subiti per la irragionevole durata complessiva del predetto giudizio.
Nella costituzione del resistente Ministero, l’adita Corte di appello, con decreto
depositato il 12 maggio 2012, accertava l’irragionevole ritardo del suddetto giudizio
nella durata di anni quattro e mesi otto e condannava l’Amministrazione convenuta al
pagamento della somma di euro 3914,00, così ripartita: euro 1304,00 in favore di
Crea Vincenzo ed euro 870,00, ciascuno, in favore di Crea Cristina, Crea Carmela e
Crea Giovanni, oltre interessi dalla domanda, con ulteriore condanna della stessa
Amministrazione alla rifusione della metà delle spese giudiziali (da distrarsi in favore
dei difensore antistatario), che compensava per la residua metà.
Avverso il suddetto decreto (non notificato) hanno proposto ricorso per cassazione i
predetti Crea Vincenzo, Crea Carmela, Crea Cristina, Crea Francesco Candeloro e
Crea Giovanni (nella richiamata qualità) con atto notificato il 11 dicembre 2012, sulla
base di tre motivi. L’intimato Ministero ha depositato mera memoria difensiva ai fini
dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

– 3 –

riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di

Considerato in diritto

1. In via preliminare, il Collegio rileva che non è di ostacolo alla trattazione del ricorso
la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.

dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni,
nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero «deve intervenire
nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge». A sua volta

l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall’art. 81 del citato decretolegge n 69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero presso la Corte di
cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze
dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici
della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla
sezione di cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura
civile». L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita
sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di
consiglio».

Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante dalla legge
di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione
dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la modificazione degli artt. 380-bis,
secondo comma, e 390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la
disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico
ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo
comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente
– 4 –

Invero, l’art. 70, secondo comma, c.p.c., quale risultante dalle modifiche introdotte

articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di
fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire
dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.

citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art.
376, primo comma, c.p.c.), consenta di ritenere, non solo, che la detta sezione è
abilitata a tenere pubbliche udienze e non solo adunanze camerali, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà
dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse. i
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato adottato in
data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica è stata
ritualmente celebrata senza la partecipazione del rappresentante della Procura
generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia
integrale del ruolo di udienza era stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico
che giustificasse la propria partecipazione ai sensi del citato art. 70, terzo comma,
c.p.c. .
2. Ciò posto, va evidenziato che con il primo motivo dedotto è stata denunciata (ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) la violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver
omesso la Corte di Appello di delibare e di pronunciarsi sul ricorso per equa
riparazione come proposto anche da parte di Crea Francesco Candeloro.
3. Con il secondo motivo proposto i ricorrenti hanno prospettato la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2 della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6 C.E.D.U. nonché il

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5

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Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto nell’art. 75, comma 2,

vizio di insufficiente motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio (ai
sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.), sul presupposto che, diversamente da quanto ritenuto
con il decreto impugnato, la Corte territoriale non aveva adeguatamente valutato la
natura dei differimenti concessi e, quindi, computato esattamente la durata

al massimo, il periodo di tre mesi).
4. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno censurato il decreto impugnato per assunta
violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e 24 della legge n. 794 del 1942,
del D.M. n. 127 del 2004, nonché per insufficiente motivazione sui criteri di
liquidazione delle spese giudiziali, avuto riguardo all’individuazione dei limiti tariffari
applicati.
5. Osserva il collegio che il primo motivo è palesemente fondato e deve, perciò
essere accolto, dal momento che, per quanto evincibile dallo svolgimento della
motivazione del decreto impugnato e dallo stesso contenuto specifico del
conseguente dispositivo, la Corte territoriale ha omesso qualsiasi pronuncia nei
confronti di Crea Francesco Candeloro, malgrado egli avesse pacificamente
proposto il ricorso per equa riparazione congiuntamente agli altri signori Crea.
Da ciò deriva l’evidente violazione dell’art. 112 c.p.c. .
6. Anche il secondo motivo è meritevole di pregio non avendo la Corte catanzarese
idoneamente computato la durata complessiva del giudizio presupposto e,
conseguentemente, quella qualificabile come irragionevole, avuto riguardo alla
considerata natura della causa (ritenuta complessa) e alla valutazione dei differimenti
concretamente imputabili alle parti del giudizio e non all’Amministrazione giudiziaria.
A tal riguardo, infatti, deve evidenziarsi che, in tema di equa riparazione per
violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, il giudice nazionale

complessiva del procedimento civile (potendo essere addebitato alla parte ricorrente,

può discostarsi dai parametri tendenziali fissati dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo (tre anni per il giudizio di primo grado, due anni per il giudizio di
appello, un anno per il giudizio di legittimità) soltanto con argomentazioni
complete, coerenti e congrue, donde non è a tal fine sufficiente motivare la

consulenze tecniche d’ufficio, ove non risulti che essa sia dipesa da oggettiva
difficoltà dell’indagine anziché da lentezza e scarsa professionalità dei tecnici
incaricati o da sopravvenuti eventi processuali, né è consentito detrarre i rinvii
chiesti dalle parti per la pendenza di trattative, ove non risulti che essi vadano
ascritti a intento dilatorio o a negligente inerzia delle parti stesse.
Sotto altro profilo, si è anche chiarito che, con riferimento ai giudizi di equa
riparazione ex legge 24 marzo 2001, n. 89, ai fini della eventuale ascrivibilità,
nell’area della irragionevole durata del processo, dei tempi corrispondenti a
rinvii eccedenti il termine ordinatorio di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c., la
violazione della durata ragionevole non discende, come conseguenza
automatica, dall’essere stati disposti rinvii della causa di durata eccedente i
quindici giorni ivi previsti, ma dal superamento della durata ragionevole in
termini complessivi, in rapporto ai parametri, di ordine generale, fissati dall’art.
2 della legge suddetta. Pertanto, da tale durata sono detraibili i rinvii richiesti
dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a
negligente inerzia delle stesse, e, in generale, all’abuso del diritto di difesa,
restando addebitabili gli altri rinvii alle disfunzioni dell’apparato giudiziario,
salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla P.A. evidenziare,
riconducibili alla fisiologia del processo.

particolare complessità del giudizio con riferimento alla pluralità delle disposte

Nella fattispecie, la Corte territoriale ha ritenuto apoditticamente — e, comunque, con
una motivazione insufficiente — che la causa presupposta (di natura previdenziale)
fosse di particolare complessità (anche sulla scorta del dato che era stato necessario
espletare due c.t.u., una in primo grado ed un’altra in sede di rinvio), rilevando,

ragionevole del giudizio presupposto, anche dei tempi per l’espletamento degli
accertamenti tecnici peritali (in tal senso pervenendo, ingiustificatamente, a
quantificarla in nove anni anziché in sette, ivi compresa la fase di rinvio) oltre che di
altri differimenti non univocamente riferibili a negligenza della dante causa degli
attuali ricorrenti (risultando, invece, esattamente scomputati, siccome non
addebitabili all’apparato giudiziario, i periodi intercorsi tra il deposito delle sentenze e
la proposizione delle impugnazioni, oltre che di quello occorso per la riassunzione in
sede di rinvio).
Pertanto, alla stregua di quanto appena posto in risalto, si rende necessario che si
proceda — sulla base dei richiamati principi di diritto – ad un ricalcolo della durata
complessiva effettivamente ragionevole del giudizio presupposto ed in tali sensi,
perciò, la censura in esame è meritevole di accoglimento (e da tanto deriva anche la
necessità della revisione della liquidazione dell’equo indennizzo spettante a ciascuno
dei ricorrenti).
6. In definitiva, sulla scorta delle ragioni esposte, deve pervenirsi all’accoglimento dei
primi due motivi, da cui deriva l’assorbimento del terzo (siccome riguardante la
pronuncia accessori sulle spese), con la conseguente cassazione, in relazione alle
censure accolte, del decreto impugnato ed il rinvio sul punto alla Corte di appello di
Catanzaro, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle
spese della presente fase di legittimità.

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pertanto, l’influenza, in funzione della determinazione della durata ritenuta

PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbito il terzo; cassa il
decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia sul punto, oltre che per le
spese del presente giudizio di legittimità, la causa alla Corte di appello di Catanzaro,

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte
suprema di Cassazione, in data 9 gennaio 2014.

in diversa composizione.

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