Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3584 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. III, 16/02/2010, (ud. 19/01/2010, dep. 16/02/2010), n.3584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.D.B.M., (OMISSIS), R.D.B.

I., (OMISSIS), R.D.B.G.,

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SILVIO

PELLICO 16, presso lo studio dell’avvocato DE SANNA EDUARDO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DEAN FABIO giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente-

contro

BANCA GENERALI SPA, (OMISSIS), in persona dell’Amministratore

Delegato, legale rappresentante pro tempore, dott. G.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PACUVIO 34, presso lo studio

dell’avvocato ROMANELLI GUIDO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BARBIERI FABRIZIO giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 953/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Terza Civile, emessa l’8/03/2005, depositata il 14/04/2005;

R.G.N. 2628/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

19/01/2010 dal Consigliere Dott. FILADORO Camillo;

udito l’Avvocato GUIDO ROMANELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 8 marzo – 14 aprile 2005, la Corte d’appello di Milano confermava la decisione del locale Tribunale che aveva rigettato la domanda di risarcimento danni, proposta dagli eredi di F.A. e di R.d.B.A. ( I., C., G. e R.d.B.M.) nei confronti della Prime Consult s.i.m. s.p.a..

Nell’atto di citazione, gli eredi avevano dedotto che una volta morta la madre ( F.A.), il padre (coniuge separato, escluso dal testamento della moglie) aveva vantato pretese quale erede necessario pretermesso, e – mentre erano in corso trattative per risolvere il contrasto insorto – aveva inoltrato una richiesta di informazioni alla Prime Consult s.i.m., su eventuali investimenti della consorte defunta.

In un primo momento, la societa’ aveva deciso di non inviare alcuna notizia, almeno fino a quando non fosse stato risolto il contrasto familiare, successivamente, in data (OMISSIS), aveva deciso di comunicare al padre la esistenza di una somma di pertinenza della F., per circa L. 300.000.000, pari al controvalore di fondi comuni di investimento sottoscritti dalla stessa in favore dei figli.

Tale comportamento di Prime Consult – sottolineavano gli, originari attori – aveva cagionato loro un grave danno, nel momento in cui essi erano quasi sul punto di raggiungere un accordo con il proprio genitore.

Infatti, essi avevano accettato condizioni deteriori, rispetto a quelle all’inizio prospettate. Il padre aveva rinunciato all’eredita’ ed i figli, dal canto loro, ad ogni pretesa di mantenimento.

Tuttavia, il padre aveva imposto ai figli (dopo la comunicazione di notizie della s.i.m.) il pagamento della meta’ del prezzo di acquisto di un appartamento di settanta metri quadri.

La domanda degli attori era stata rigettata dal Tribunale.

Nel confermare la decisione di primo grado, la Corte d’appello osservava che non vi era stata violazione di alcun diritto alla riservatezza, dovendosi escludere che la societa’ con la prima lettera si fosse vincolata a non fornire alcuna informazione sugli investimenti posti in essere dalla F..

Del resto, proseguivano i giudici di appello, qualsiasi accordo contrario stipulato tra le originarie parti sarebbe incorso nella violazione degli artt. 1346 e 1418 c.c. perche’ in contrasto con un diritto soggettivo riconosciuto al R.d.B..

In ogni caso, mancava ogni prova del danno concretamente subito dagli attori.

Avverso tale decisione gli eredi R.d.B. hanno proposto ricorso per Cassazione sorretto da quattro motivi.

Resiste la Banca Generali s.p.a. (incorporante per fusione della Prime Consult s.i.m. s.p.a.) con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1174 e 1218 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonche’ omessa, insufficiente e inadeguata motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti (art. 360 c.p.c., n. 5).

La sentenza impugnata aveva attribuito una qualificazione giuridica non corretta alla prima lettera del 14 dicembre 1999, indirizzata da Prime Consult all’avvocato di R.d.B.A.. La Corte territoriale aveva escluso che la lettera contenesse un impegno contrattuale di non divulgare notizie relative agli investimenti della F. in essere alla data del decesso.

In realta’, sottolinea la ricorrente, questa dichiarazione non doveva necessariamente dar vita ad un contratto tra la Prime Consult ed i destinatari (eredi della F.).

Cio’ che rilevava, infatti, era solo la vincolativita’ dell’impegno assunto a non comunicare gli investimenti e della successiva responsabilita’, di tipo contrattuale, di Prime Consult nei confronti dei destinatari eredi, per effetto dell’affidamento in questi ultimi sorto a seguito dell’impegno assunto (impegno violato con la successiva dichiarazione del 15 febbraio 2000).

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1324, 1346 e 1418 c.c., della L. 31 dicembre 1996, n. 675, art. 13 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, incongrua motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

I giudici di appello avevano osservato che anche ad ammettere che Prime Consult avesse assunto un obbligo contrattuale, il relativo contratto sarebbe stato nullo, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., perche’ avrebbe avuto un oggetto impossibile, considerato che R.d.B.A., in quanto erede, era titolare del diritto di ottenere dati che riguardavano la moglie defunta.

In tal modo, tuttavia, i giudici di appello avevano confuso un contratto concluso tra le parti (nel caso di specie mancante) con una obbligazione assunta da Prime Consult nei confronti degli eredi, alla cui violazione conseguiva una responsabilita’ contrattuale della dichiarante, nei confronti dei destinatari del vincolo, per violazione dell’affidamento in essi creato con la predetta dichiarazione.

Nel caso di specie non era ravvisabile ne’ la impossibilita’ materiale dell’oggetto, ne’ quella giuridica.

R.d.B.A. aveva prestato acquiescenza alla prima dichiarazione della societa’, manifestando con il proprio, continuato, comportamento concludente, la volonta’ di non attivarsi per far valer l’ipotetico diritto derivante dalla legge sulla privacy.

Sul punto mancava qualsiasi motivazione nella sentenza impugnata, che consentisse di ricostruire il ragionamento seguito dai giudici di appello per respingere la domanda proposta dagli originari attori.

Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 457 e 588 c.c. degli artt. 99 e 100 c.p.c., L. 31 dicembre 1996, n. 675, art. 13, comma 3, e art. 29, comma 9 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, motivazione lacunosa e insufficiente circa un punto della controversia prospettato dalla parte, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La Corte territoriale aveva deciso in modo superficiale un punto determinante della controversia, confondendo “l’interessato” cui si riferisce l’art. 1, comma 2, lett. f) con il termine “chiunque vi abbia interesse” di cui all’art. 13, comma 3: due categorie di soggetti che non coincidono.

Erroneamente i giudici di appello avevano ritenuto che l’interessato coincidesse con chiunque vi abbia interesse.

Solo gli eredi chiamati all’eredita’ per legge o per testamento subentrano nella titolarita’ dei diritti soggettivi, riconosciuti all’interessato dalla legge sulla privacy e nel caso eredi testamentari erano gli attuali ricorrenti (mentre il padre, R. d.B.A. era stato escluso espressamente dal testamento).

Il fatto che il padre avesse rinunciato all’eredita’ con lettera del 21 dicembre 1999 non escludeva affatto che egli in quel preciso momento – fosse, comunque, privo’ di legittimazione a conoscere i dati personali della moglie defunta, F.A..

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1967 e 2725 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, motivazione carente in relazione ad un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

I giudici di appello avevano rilevato, conclusivamente, che gli attori, in ogni caso, non avevano provato il danno, sottolineando la circostanza che per gli attori il danno sarebbe consistito nell’avere essi concluso con il padre una transazione a condizioni piu’ onerose di quelle in precedenza concordate.

La Corte territoriale, in tal modo, aveva omesso la valutazione di numerose prove, raccolte nel giudizio: prima tra tutte, la transazione sottoscritta dalle parti in data (OMISSIS).

Tra l’altro, nel giudizio di primo grado, gli attori avevano articolato alcuni capitoli di prova sulle circostanze che avevano preceduto la sottoscrizione di questo accordo.

In effetti, gli attuali ricorrenti non avevano affatto inteso provare eventuali patti con il proprio padre, ma solo i fatti che riguardavano le vicende che avevano condotto alla stipula dell’accordo a condizioni deteriori, rispetto a quelle che essi erano in procinto di sottoscrivere prima che il genitore conoscesse la esistenza di una somma di L. 300,000.000 sul conto dei figli e rivedesse, dunque, al rialzo, le proprie richieste economiche.

I quattro motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono infondati.

1. La Corte territoriale – con valutazione incensurabile in questa sede – ha premesso che la prima lettera del 14 dicembre 2000 (rectius: 1999) non conteneva alcun impegno contrattuale, mancando il requisito della volonta’ costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale, suscettibile – cioe’ – di una qualsiasi valutazione economica.

2. I giudici di appello hanno poi aggiunto che, anche a voler ritenere – in via gradata – che Prime Consult avesse assunto un vero e proprio obbligo contrattuale, il relativo contratto sarebbe stato in ogni caso nullo, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c. avendo un oggetto impossibile, in quanto in contrasto con un diritto soggettivo, riconosciuto dalla legge: quello dell’interessato, R.d.B.A., ad ottenere dati che riguardavano la propria moglie defunta (ai sensi della L. n. 675 del 1996, art. 13).

3. “interessato”, infatti, secondo le previsioni di questa legge, ha precisato la Corte d’appello, deve ritenersi non solo l’erede, ma chiunque possa dimostrare un interesse ad ottenere le informazioni.

Ora, poiche’ il R.d.B. aveva chiaramente manifestato la propria volonta’ di non rinunciare alla quota di legittima spettantegli per legge, non poteva in alcun modo dubitarsi che egli avesse interesse ad esercitare i diritti previsti dalla legge.

4. in ogni caso, hanno concluso i giudici di appello, con autonoma “ratio decidendi”, mancava qualsiasi prova che la comunicazione di dati effettuata da Prime Consul al padre degli attori, avesse cagionato a questi ultimi un danno.

L’accordo precedente, piu’ favorevole per loro, cui i quattro fratelli avevano dovuto rinunciare in conseguenza delle notizie sugli investimenti della madre (comunicate al padre da Prime Consult) non era stato in alcun modo provato, e, del resto, trattandosi di accordo transattivo, lo stesso avrebbe dovuto essere provato per iscritto.

Il percorso argomentativo seguito dai giudici di appello non merita censura alcuna.

Costituisce accertamento di merito, ampiamente motivato, quello secondo cui dalla lettera Prime Consult del 14 dicembre 2000 non discendesse alcun vincolo contrattuale o negoziale a carico della stessa societa’.

Appare poi pienamente motivata la conclusione che in ogni caso il R.d.B. doveva considerarsi “titolare” in forza della L. 675 del 1996, art. 13 del diritto di ottenere dati che riguardavano il patrimonio della defunta moglie (in quanto erede necessario, escluso dal testamento).

Infine, costituisce ancora valutazione di merito quella per cui in ogni caso gli appellanti non avevano fornito alcuna prova del danno (ricevuto in conseguenza della comunicazione effettuata da Prime Consult al proprio genitore, essendosi gli stessi limitati a dedurre che – in mancanza di tali informazioni – essi avrebbero potuto raggiungere un accordo a condizioni per loro piu’ vantaggiose.

La motivazione della Corte territoriale deve essere corretta sul punto in cui la stessa ha affermato che (a pag. 17) trattandosi di accordo transattivo, il precedente accordo avrebbe potuto essere provato solo per iscritto.

Infatti, se e’ vero che la transazione richiede la prova scritta ad probationem (art. 1967 c.c.), cio’ preclude solo la possibilita’ di provare la stessa con testimoni e con presunzioni semplici, ma non esclude affatto che la parte possa avvalersi degli altri mezzi di prova, ovvero possa richiedere al giudice l’ordine di esibizione di cui all’art. 210 c.c.. (Cass. 5344 del 2000).

Nel caso di specie, tuttavia, per stessa ammissione degli attuali ricorrenti, non era stato raggiunto accordo alcuno tra le parti. Non vi era, pertanto, alcun accordo scritto del quale poter richiedere la esibizione.

Nei capitoli di prova non si accenna ad un accordo raggiunto, ma semplicemente ad una ipotesi di conciliazione, che avrebbe previsto una sostanziale rinuncia di entrambe le parti a tutte le pretese, passate, presenti e future (tra figli e padre).

In pratica, gli attuali ricorrenti si sono limitati a dedurre la esistenza di una mera ipotesi di accordo transattivo che il padre avrebbe probabilmente accettato, qualora fosse rimasto all’oscuro della esistenza della somma di L. 300 milioni giacente presso Prime Consult (in questo caso, deducono i ricorrenti, gli stessi non si sarebbero impegnati a sostenere l’onere aggiuntivo del pagamento della meta’ del prezzo di acquisto di un appartamento da intestare a se stessi, con diritto di abitazione riservato al padre).

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese che liquida in Euro 3.200,00 (tremiladuecento/00), di cui Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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