Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3583 del 14/02/2011

Cassazione civile sez. I, 14/02/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 14/02/2011), n.3583

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18709-2005 proposto da:

CASSA DI RISPARMIO DI LUCCA S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona

del Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBANO 29, presso l’avvocato

TAMBURELLI ALESSANDRA, rappresentata e difesa dall’avvocato MANCINI

AUGUSTO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO SPOSE BELLE S.R.L. (c.f. (OMISSIS)),

nella qualità di Curatore Dott. M.S., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 111, presso lo STUDIO

CURATOLA-D’AMATO-IANNOTTA, rappresentata e difesa dall’avvocato TESI

FABRIZIO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 894/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 31/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato LANATA’ ROSA, per delega,

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per inammissibilità o

infondatezza del primo motivo, inammissibilità del secondo, con

condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione del 6 settembre 1997, il Fallimento della s.r.l.

Spose Belle convenne dinanzi al Tribunale di Pistoia la s.p.a. Cassa di risparmio di Lucca, chiedendo, ai sensi dell’art. 67, comma 2, Legge Fallimentare, la revoca degli accreditamenti – pari a complessive L. 26.619.087 – eseguiti sul conto corrente intrattenuto dalla Società fallita presso la Banca convenuta nel periodo dall’11 dicembre 1992 al 28 aprile 1993.

Costituitasi, la Cassa di risparmio di Lucca, nel chiedere la reiezione della domanda, dedusse che: a) quanto ai cosiddetti accreditamenti per l’importo di L. 11.978.000, si trattava di vaglia cambiar girati da un terzo alla Società fallita e da questa girati per l’incasso alla Cassa, con la conseguenza che, sotto tale profilo, il negozio oggetto di revocatoria avrebbe dovuto essere non l’accreditamento bensì la girata; b) quanto all’accreditamento per l’importo di L. 14.641.087, si trattava di accreditamento effettuato da un garante e, come tale, esso era sottratto alla revocatoria.

Il Tribunale di Pistoia, con la sentenza n. 243/02 del 13 marzo 2002, accolse la domanda e condannò la cassa convenuta a pagare al Fallimento la somma di L. 26.619.087, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

2. – A seguito di appello della s.p.a. Cassa di risparmio di Lucca – cui resistette il Fallimento della s.r.l. Spose Belle -, la Corte d’Appello di Firenze con la sentenza n. 894/04 del 31 maggio 2004, riformò la sentenza impugnata limitatamente al capo che aveva accolto la domanda di rivalutazione monetaria, rigettando l’appello nel resto.

La Corte di Firenze, per quanto in questa sede rileva:

A) quanto al primo motivo di appello – concernente la affermata revocabilità delle rimesse e non anche dei negozi che ne erano stati la fonte, questi essendo non revocabili -, ha osservato quanto segue:

“(…) oggetto dell’azione esperita dalla Curatela sono i “pagamenti” effettuati, nel cd. periodo sospetto, dalla fallita per estinguere obbligazioni da essa contratte con la s.p.a. Cassa di Risparmio di Lucca: ed è noto che il pagamento può avvenire anche con la cessione di un credito vantato dal fallito nei confronti di un terzo (art. 1198 c.c.). Di conseguenza, la banca, allorchè ha ottenuto, mediante girata del fallito su cambiali emesse da terzi, la materiale disponibilità dei titoli ed abbia poi portato il loro realizzo a deconto della passività della fallita, non fa altro che ricevere un pagamento (diversamente avrebbe consentito al debitore di prelevare il netto ricavo dello sconto delle cambiali attuato attraverso la loro cessione)”;

B) quanto al secondo motivo di appello – concernente la non ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 67, comma 2, Legge Fallimentare, relativamente al punto della disponibilità, da parte della Società fallita, di somme versate da terzi sul conto corrente -, ha osservato che: “(…) di per sè, i versamenti eseguiti da terzi, su richiesta del debitore, sul conto corrente di questo, non configurano estinzione di obbligazioni contratte dal debitore stesso verso la banca; tuttavia diventano “rimesse” revocabili se le somme versate vengono, successivamente, trattenute ai fini della riduzione delle esposizioni del cliente. Ed infatti, anche in questo caso, come nella precedente ipotesi, ciò che rileva è la destinazione delle somme versate da terzi sul c. corrente del fallito. (…) indipendentemente dall’efficacia, nei confronti della Curatela, della fideiussione rilasciata dal terzo a favore della banca (…), deve osservarsi che anche il pagamento del terzo, anzichè eseguito direttamente alla creditrice, è confluito mediante bonifico (…) e senza alcun vincolo a favore della banca nel c.c. della fallita, sicchè il successivo prelevamento a riduzione della posizione debitoria della fallita non può che costituire pagamento revocabile”.

3. – Avverso tale sentenza la s.p.a. Cassa di risparmio di Lucca ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura.

Resiste, con controricorso, il Fallimento della s.r.l. Spose Belle.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 61, comma 2, L. F. in relazione al R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669, art. 13, comma 1 e art. 18, comma 1 – Legge cambiaria – e all’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 3”), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera A), sostenendo che i Giudici a quibus non hanno esattamente individuato l’atto revocando, “che non era (…) il pagamento ricevuto riscuotendo il credito portato dai titoli cambiari, bensì la girata del titolo che comportava la cessione del credito cambiario, cessione che sola avrebbe potuto costituire l’atto revocando in quanto sottraeva alla massa il credito portato dalle cambiali”.

Con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 67 c.c., comma 2, dell’art. 1180 c.c., comma 1 e art. 1936 c.c., comma 1”), il ricorrente critica ancora la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera B), richiamando il principio affermato dalla sentenza di questa Corte n. 9018 del 1998, secondo cui, in tema di fallimento, qualora l’eventuale scoperto di conto corrente del debitore poi fallito sia stato, anche in parte, ripianato, nel cosiddetto “periodo sospetto”, per effetto di versamenti provenienti da un terzo, l’azione di cui all’art. 67 Legge Fallimentare sarà preclusa se detti versamenti – come nella specie – si configurino come adempimento di un’obbligazione di garanzia gravante sul terzo nei confronti della banca creditrice, non essendo, in tal caso, il pagamento legittimamente riferibile al correntista fallito, con conseguente mancanza di qualsivoglia danno alla massa e di qualsivoglia lesione del principio concorsuale della par condicio.

2. – Il ricorso merita accoglimento, con riferimento al secondo motivo.

2.1. – Il primo motivo è infondato.

Deve premettersi che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di revocatoria di cui all’art. 67, comma 2, Legge Fallimentare, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili devono essere considerati atti giuridici distinti dal rapporto che ne costituisce la causa, rilevando nella loro obiettiva natura di atti estintivi delle obbligazioni del fallito e pregiudizievoli per la massa dei creditori, e sono, pertanto, suscettibili di revoca indipendentemente dalla revocabilità dei negozi in adempimento dei quali essi sono stati effettuati (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 1195 e 24046 del 2006, 10208 del 2007, 15980 del 2010).

In particolare, la natura solutoria del “pagamento” effettuato dalla Società fallita – e, quindi, la sua revocabilità – emerge dalla descrizione della fattispecie operata dai Giudici a quibus, dalla quale si ricava che la Società ha girato alla Banca i vaglia cambiari emessi da un terzo debitore della stessa Società e che la Banca “(…) allorchè ha ottenuto, mediante girata del fallito su cambiali emesse da terzi, la materiale disponibilità dei titoli ed (ha) poi portato il loro realizzo a deconto della passività della fallita, non fa altro che ricevere un pagamento (diversamente avrebbe consentito al debitore di prelevare il netto ricavo dello sconto delle cambiali attuato attraverso la loro cessione)”.

Ciò, a prescindere dal rilievo che, comunque, la Corte fiorentina, con distinta ed autonoma ratio decidendi, ha affermato che, nella specie, “In ogni caso (…) anche il contratto di sconto dei titoli è stato stipulato in data 08.10.92, ossia nell’arco temporale dell’anno, ed era quindi passibile dell’azione della curatela”. Ratio decidendi questa che – al di là della sua correttezza sul piano giuridico – non ha formato oggetto di impugnazione da parte della Banca ricorrente.

2.2. – Il secondo motivo è, invece, fondato.

Deve premettersi che la fattispecie descritta dalla Corte fiorentina sta in ciò, che il fideiussore della Società a favore della Cassa ha versato la somma di L. 14.641.087, mediante bonifico, non direttamente alla Banca, bensì nel conto corrente della Società fallita e che, successivamente, quest’ultima ha prelevato da tale conto la somma predetta “a riduzione della posizione debitoria della fallita” verso la Banca, con la conseguenza – ha giudicato la Corte – che in una fattispecie siffatta tale prelevamento “a riduzione della posizione debitoria della fallita non può che costituire pagamento revocabile”.

Ciò posto, è noto che, per consolidato orientamento di questa Corte in tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo fideiussore sul conto corrente dell’imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell’art. 67, comma 2, Legge Fallimentare, quando risulti che attraverso la rimessa il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma – senza utilizzare una provvista del debitore e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento – ha adempiuto in qualità di terzo fideiussore l’obbligazione di garanzia nei confronti della banca creditrice; ciò in quanto, in tale ipotesi il pagamento è effettuato dal garante allo scopo di adempiere l’obbligazione di garanzia, autonoma ancorchè accessoria e di contenuto identico rispetto all’obbligazione principale, per evitare le conseguenze cui resterebbe esposto per effetto dell’inadempimento, mentre la modalità del pagamento non determina, di per sè, l’acquisizione della disponibilità della somma da parte del titolare del conto corrente, perchè essa è soltanto contabile ed è priva di autonomia rispetto all’estinzione del debito da parte del terzo, non incide sulla provenienza della somma dal terzo e sulla causa del pagamento (estinzione dell’obbligazione fideiussoria, in difetto di una diversa imputazione) e, perciò, non viola la par condicio creditorum (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 16874 del 2005, pronunciata a sezioni unite, n. 13092 del 2008, n. 18234 del 2009).

Nella su descritta fattispecie non può esservi dubbio che il fideiussore della Società fallita, versando detta somma mediante bonifico nel conto corrente della stessa Società non ha determinato a favore di quest’ultima con tale modalità di pagamento – la disponibilità economica e giuridica della stessa somma, come del resto è confermato dalla circostanza, sottolineata nella descrizione della fattispecie, che l’obbligazione di garanzia del terzo era stata contratta a favore della Cassa ed a tale titolo adempiuta, mentre il successivo “prelevamento” da parte della Società fallita della somma medesima e della sua utilizzazione “a riduzione della posizione debitoria della fallita” verso la Cassa non è idoneo, di per se solo e senza ulteriori elementi probatori, a superare la suddetta qualificazione di mera modalità di estinzione dell’obbligazione di garanzia e, dunque, ad integrare un pagamento revocabile della Società fallita.

3. – Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione al motivo accolto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la reiezione della domanda di revoca della somma di L. 14.641.087 – pari ad Euro 7.561,49 – proposta dal Fallimento della s.r.l. Spose Belle nei confronti della s.p.a. Cassa di risparmio di Lucca con citazione del 6 settembre 1997.

Quanto alle spese del giudizio di merito, le stesse, compensate per la metà in ragione della soccombenza solo parziale della Cassa di risparmio di Lucca, vanno poste a carico di quest’ultima per la residua metà, liquidata nella complessiva somma di Euro 1.812,00, ivi compresi Euro 31,00 per esborsi, Euro 606,00 per diritti ed Euro 1.175,00 per onorari.

Le spese del presente grado del giudizio, compensate per la metà in ragione della solo parziale soccombenza, seguono la residua soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo del ricorso; accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la relativa causa nel merito, respinge la domanda di revoca della somma di L. 14.641.087 – pari ad Euro 7.561,49 – proposta dal Fallimento della s.r.l. Spose Belle nei confronti della s.p.a. Cassa di risparmio di Lucca con citazione del 6 settembre 1997. Condanna la ricorrente al rimborso, in favore del Fallimento controricorrente, delle spese del giudizio che, compensate per la metà, determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.812,00, di cui Euro 31,00 per esborsi, Euro 606,00 per diritti ed Euro 1.175,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2011

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