Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3583 del 10/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 10/02/2017, (ud. 16/11/2016, dep.10/02/2017),  n. 3583

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27174/2012 proposto da:

ERASMUS SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA GIULIANA 80, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCA RINAURO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SALVATORE ALAGNA, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 117/2012 della COMM. TRIB. REG. di PALERMO,

depositata il 26/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito per il controricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS Mariella, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avviso di accertamento notificato il 22.12.2006 l’agenzia delle entrate ha contestato a carico della Erasmus s.r.l., sulla base di processo verbale di constatazione della guardia di finanza, la contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, la detrazione di maggiori ammortamenti, la svalutazione di crediti per importo eccedente quello deducibile, una indebita deduzione D.L. n. 282 del 2002, ex art. 5 sexies e la omessa contabilizzazione di maggiori ricavi, per un importo complessivo dovuto per i.v.a., I.r.pe.g. e I.r.a.p. di Euro 965.014,50, il tutto in riferimento all’anno di imposta 2003.

La commissione tributaria provinciale di Trapani ha rigettato il ricorso della società contribuente avverso detto avviso, con sentenza confermata per ogni diverso aspetto dalla commissione tributaria regionale della Sicilia in Palermo, la quale ha accolto parzialmente l’appello della società soltanto in quanto ha compensato le spese di entrambi i gradi.

Avverso questa decisione la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, rispetto al quale l’agenzia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente si dà atto che è stata autorizzata la redazione della sentenza in forma semplificata ai sensi del Decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016.

2. – Con il primo motivo del ricorso principale si lamentano, cumulativamente, richiamando il parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, una pretesa nullità del processo verbale di constatazione della guardia di finanza, una nullità del “procedimento tributario anche per violazione e falsa applicazione L. n. 212 del 2000, art. 7, L. n. 241 del 1990, art. 3, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, D.P.R. n. 600 del 1973 artt. 39 e 41-bis, D.P.R. n. 633 del 1972 art. 54, artt. 2 e 277 c.p.c.” (sic, salva revisione grafica – operata anche in prosieguo – per consentire la leggibilità), nonchè una omessa pronuncia da parte della commissione provinciale (“giudice di prime cure”) in violazione dell’art. 112 c.p.c.. In sintesi, dalla lettura del motivo appare contestata la mancata allegazione di documentazione al processo verbale di constatazione della guardia di finanza, che avrebbe fondato le sue operazioni su dati inveritieri; la documentazione era in possesso di un “custode giudiziario pasticcione” che la aveva restituita solo nel 2012, ora prodotta e da cui si evincerebbe l’infondatezza delle contestazioni; nè il giudice di prime cure nè quello di appello si sarebbero pronunciati sul “suddetto motivo di gravame”.

3. – Con il secondo motivo si censurano “i motivi di diritto indicati in sentenza”, indicati nella “inammissibilità ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21”, nel “travisamento dei fatti” e nella “mancata applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 12 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, u.c.”, oltre che nella “omessa motivazione di (un fatto decisivo per il giudizio” (sic). In sintesi, si lamenta la statuizione della commissione regionale secondo cui il ricorso di primo grado era tardivo rispetto alla notifica dell’avviso di accertamento, deducendosi che i termini erano sospesi per presentazione di accertamento con adesione, giusta istanza prodotta nel fascicolo di primo grado quale doc. n. 21, e che il rispetto dei termini andava verificato considerando il giorno dell’invio in luogo che quello della ricezione della busta contenente il ricorso.

4. – Con il terzo motivo, richiamando il parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si censura la “scelta fatta dal giudice di appello nella valutazione delle prove”, nonchè “la violazione e falsa applicazione art. 53 c.p.c., (recte, art. 153), comma 2, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59” e “insufficiente motivazione di un fatto decisivo per il giudizio” (sic). In sintesi, si contesta il diniego operato dal giudice di appello di una rimessione in termini per la costituzione e la difesa, tenuto conto che la società era stata impedita dal custode giudiziario – condannato in sede civile per la sua maldestra esecuzione dei provvedimenti del tribunale – a disporre della documentazione, essendo stato poi chiarito che la s.r.l. “non era stata mai in sequestro nè dei beni nè dell’amministrazione” (sic). In subordine rispetto a una richiesta di “annullamento del p.v.c.”, è formulata istanza di rimessione del processo al primo grado.

5. – Con il quarto motivo si denuncia omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., da parte della commissione regionale in ordine ad un motivo dell’appello della s.r.l. (il quarto) con cui si sosteneva essere valido il ricorso originario, benchè non sottoscritto dal difensore, in quanto la firma appariva nell’autenticazione della sottoscrizione della parte al mandato.

6. – In ordine ai primi due motivi di censura, l’agenzia ha dedotto nel controricorso che le doglianze in parola sarebbero inammissibili; in particolare, la questione della nullità del processo verbale di constatazione non avrebbe formato oggetto di devoluzione in appello per mancanza di censura sul punto, mentre quella della mancata considerazione dell’esistenza di istanza di accertamento con adesione non sarebbe stata proposta nè nel ricorso originario nè in appello.

7. – I primi due motivi sono inammissibili. Prescindendo dal considerare i profili di inammissibilità connessi al sussistere di doglianze avverso atti del procedimento tributario in luogo che avverso la sentenza impugnata, alla natura fattuale di alcuni rilievi quindi non sottoponibili alla corte di legittimità, nonchè alle problematiche ulteriori connesse alla proposizione cumulativa di censure non separatamente riferibili a specifiche affermazioni della decisione oggetto di ricorso, può rilevarsi che effettivamente, come deduce l’amministrazione, i motivi difettano di autosufficienza, siccome – in ordine ai profili di censura per violazione di legge – non risultano in essi trascritti (a differenza di quanto concernente il quarto motivo) quantomeno i motivi di appello a mezzo dei quali si consenta alla corte di verificare la devoluzione dei temi decisionali alla commissione regionale (cfr. ad es. sez. 5 n. 12664 del 2012, ove si afferma che, non solo per “errores in iudicando” ma anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto; per cui il ricorrente ha l’onere di trascrivere il contenuto del mezzo di impugnazione nella misura necessaria); quanto, poi, alla deduzione di un vizio motivazionale accennata nel secondo motivo, manca del tutto nel motivo l’indicazione del fatto decisivo e la trascrizione del passaggio in cui la sentenza presenterebbe carenze.

8. – In ordine al terzo motivo, anch’esso è inammissibile. Anche in questo caso prescindendosi da ogni altro rilievo come innanzi, e tenuto conto anche in riferimento a tale motivo che il richiamo a un presunto vizio motivazionale non è idoneamente formulato (salvo a contestarsi l’uso dell’aggettivo “tesi” nel descrivere i rapporti con l’amministratore giudiziario), quanto alle presunte violazioni di norme di diritto, anche processuale, deve rilevarsi come dalla sentenza impugnata si evinca che la commissione regionale ha statuito non potersi “accogliere la richiesta di rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., comma 2, con restituzione degli atti alla commissione tributaria di primo grado in quanto i casi di rimessione sono tassativi D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 59”. Ciò posto, deve notarsi come anche tale censura si riveli non autosufficiente, posto che nel motivo non si esplica in alcun modo l’errore di interpretazione o applicazione della norma in cui sarebbe caduto il giudice, meramente deducendosi l’impossibilità per l’amministratore di accedere ad atti, situazione fattuale eventualmente anche molto grave ma non tale da esprimere una delle fattispecie cui la commissione regionale ha fatto riferimento come tassativamente previste. Non facendosi carico di attingere la “ratio decidendi” e senza contestare l’applicabilità delle disposizioni indicate, il motivo è, dunque, anche privo di attinenza con il “decisum” e per tal via parimenti inammissibile.

9. – Resta assorbito l’esame del quarto motivo. Come dedotto dall’agenzia, la circostanza per cui – stante l’inammissibilità delle predette altre censure – il ricorso originario della s.r.l. resti inammissibile per tardività, non essendo scalfita sul punto la sentenza della commissione regionale, rende irrilevante accertare se lo stesso sia stato ritualmente sottoscritto.

10. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, giusta la liquidazione in dispositivo.

PQM

La corte dichiara inammissibili il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il quarto, e condanna la parte ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro diecimila per compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2017

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