Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3582 del 14/02/2018
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3582 Anno 2018
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: GRASSO GIANLUCA
ORDINANZA
sul ricorso 18004/2014 proposto da:
INNOCENTI
DIEGO,
rappresentata
e difesa,
anche
disgiuntamente, in forza di procura speciale rilasciata a
margine del ricorso dagli Avvocati Paolo Panariti e Flavio
Panazzolo, elettivamente domiciliato presso lo studio <4
(LAT ( que,st2-61-1-ti-ffle-in Roma, via Celimontana 38;
- ricorrente contro
SALVATO SEVERINO e NOVELLO LINA, rappresentati e difesi,
anche disgiuntamente, in forza di procura speciale rilasciata a
margine del controricorso dagli Avvocati Andrea Coppola e
Francesco Burigana, elettivamente domiciliati presso lo studio
di quest'ultimo in Roma, via Filippo Corridoni 15;
- controricorrenti nonchè contro PP\ 3U1/ti CL Data pubblicazione: 14/02/2018 SALVATO ESTERINA, SALVATO LUIGINO, SALVATO ONORINA,
SALVATO FIORELLA, SALVATO FRANCESCO, SALVATO
FRANCA, SALVATO ROBERTO, SALVATO MARIA e SALVATO
LUCA;
- intimati - Venezia, depositata il 9 maggio 2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 12 dicembre 2017 dal consigliere Gianluca Grasso. Ritenuto che con atto di citazione notificato il 5 aprile 2002, Maria Vettorato, in qualità di tutore provvisorio di Pierina
Salvato, conveniva in giudizio Diego Innocenti per ottenere
l'annullamento, ai sensi dell'art. 775 c.c., per incapacità di
intendere e di volere, della donazione effettuata da Pierina
Salvato con atto del 20 settembre 1999 in favore del
convenuto e avente a oggetto la quota di 3/4 della nuda
proprietà dell'immobile sito in Montegrotto Terme, via XXV
aprile n. 19 del quale si era riservata l'usufrutto;
che Diego Innocenti si costituiva in giudizio contestando la
pretesa dell'attrice;
che, con sentenza depositata il 7 dicembre 2006, il
Tribunale di Padova dichiarava l'annullamento della donazione
e condannava parte convenuta al pagamento delle spese
processuali;
che Diego Innocenti proponeva appello avverso la
pronuncia di prime cure;
che nelle more tra la prima udienza di trattazione e la
successiva di precisazione delle conclusioni, l'interdetta
decedeva, determinando il venir meno dell'ufficio di tutela; avverso la sentenza n. 1101/2013 della Corte d'appello di che la Corte d'appello di Venezia, con sentenza depositata
in data 9 maggio 2013, respingeva l'appello;
che Diego Innocenti propone ricorso per la cassazione
della pronuncia di appello sulla base di due motivi;
che Severino Salvato e Lina Novello, nella qualità di eredi che Esterina Salvato, Luigino Salvato, Onorina Salvato,
Fiorella Salvato, Francesco Salvato, Franca Salvato, Roberto
Salvato, Maria Salvato e Luca Salvato, pur regolarmente
intimati, non si sono costituiti.
Considerato che con il primo motivo di ricorso si deduce,
cumulativamente, la violazione e falsa applicazione dell'art 115
c.p.c., l'erronea e/o falsa applicazione dell'art. 775 c.c., la
contraddittorietà e insufficienza della motivazione
dell'impugnata sentenza relativamente alle deposizioni
testimoniali del Notaio Loris Camporese e della signora Paola
Capitozzo e alle dichiarazioni rese dai medici curanti della
donante, Giorgio Verri e Paolo Lion. Secondo quanto dedotto
da parte ricorrente, la corte d'appello sarebbe giunta a
escludere la capacità di intendere e di volere in capo a Pierina
Salvato attribuendo, del tutto arbitrariamente, valenza ed
efficacia probatoria solo ed esclusivamente a una parte delle
risultanze acquisite in atti, in violazione del disposto di cui
all'art. 115 c.p.c;
che il motivo è infondato;
che in tema di ricorso per cassazione, una questione di
violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
non può porsi per una erronea valutazione del materiale
istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente,
solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base
della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte -3- di Pierina Salvato, resistono con controricorso; d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso,
valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle
prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena
prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di
prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, che nel caso di specie la corte d'appello ha confermato
l'accertamento compiuto in prime cure dell'incapacità di
intendere e di volere della parte, esaminando e mettendo a
confronto le diverse risultanze istruttorie emergenti dall'esame
delle prove testimoniali e avuto riguardo all'espletata
consulenza tecnica d'ufficio, per cui non si ravvisa - sulla base
di quanto dedotto - alcun vizio rilevabile in sede di legittimità;
che l'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei
testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle
risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità
dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la
scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più
idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti
di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a
fondamento della propria decisione una fonte di prova con
esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di
indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere
tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le
deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi
tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati
specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione
adottata (Cass. 2 agosto 2016, n. 16056);
che non sussiste, inoltre, alcun vizio di motivazione
rilevabile ai sensi dell'art. 360, 1 comma, n. 5, c.p.c. nella
nuova formulazione circoscritta all'omesso esame di un fatto n. 27000; 19 giugno 2014, n. 13960); decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257);
che con il secondo motivo di ricorso si prospetta l'omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. avrebbe riservato a sé l'usufrutto vitalizio dell'immobile donato
per la quota di tre quarti evidenzierebbe la capacità di
intendere e di volere, dimostrando di saper discernere tra nuda
proprietà (ceduta al donatario) e usufrutto (riservato, vita
natural durante, alla donante);
che il motivo è infondato;
che a seguito della riformulazione dell'art. 360, comma 1,
n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 conv.
con la legge n. 134 del 2012, è denunciabile in cassazione solo
l'omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti. Il vizio motivazionale
previsto dal n. 5) dell'art. 360 c.p.c., pertanto, presuppone la
totale pretermissione di uno specifico fatto storico;
che, sotto altro profilo, come precisato dalle Sezioni Unite
(Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053), la riformulazione
dell'art. 360, 1 comma, n. 5, c.p.c., deve essere interpretata,
alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle
preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del
sindacato di legittimità sulla motivazione. Può essere pertanto
denunciata in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si
tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in
quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il
vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere
dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si
esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto Secondo quanto dedotto, la circostanza che Pierina Salvato materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel
"contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella
"motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile",
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza"
della motivazione; non si ravvisano né l'omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, né
un'anomalia motivazionale che si trambta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante;
che la corte d'appello, nella sua motivazione, ha
esaminato le risultanze probatorie, ritenendo, alla luce di
quanto emerso, che la Salvato non avesse alcuna capacità di
comprendere il significato dei propri atti e che tutti i contatti
con lo studio notarile erano stati intrattenuti esclusivamente
dall'odierno ricorrente;
che le spese seguono soccombenza e si liquidano come da
dispositivo;
che poiché il ricorso è stato proposto successivamente al
30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per
dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità
2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo
unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della
sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione;
P.Q. M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle
spese processuali sostenute dai controricorrenti, che si -6- che, nel caso di specie, sulla base dei motivi prospettati, liquidano in complessivi euro 4200,00, di cui euro euro 200,00
per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115
del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del
2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera' di consiglio della
Seconda Sezione civile, il 12 dicembre 2017.
Il Presidente aro Giudiziario
'a NERI DEPOSITATO IN CANCELLERIA Roma, versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a