Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3582 del 14/02/2011

Cassazione civile sez. I, 14/02/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 14/02/2011), n.3582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19882/2005 proposto da:

Z.C. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 88, presso l’avvocato

DOLFINI LORENZA, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati FRANZI CESARE, GIORGETTI MARIACARLA, giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ONDA VERDE S.P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2734/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato LORENZA DOLFINI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che Z.C., dottore commercialista, aveva svolto attività professionale in favore della s.p.a. Onda Verde, successivamente dichiarata fallita;

che il relativo compenso – pari a L. 2.500.000 – era stato ammesso al passivo del Fallimento della s.p.a. Onda Verde in via privilegiata, ai sensi dell’art. 2151 bis c.c., n. 2, ed il curatore fallimentare, in esecuzione di un piano parziale di riparto, aveva provveduto al conseguente versamento di detta somma al professionista che, nell’emettere la contestuale fattura, aveva esposto e chiesto il pagamento della ulteriore somma di L. 560.000, di cui L. 510.000 a titolo di rivalsa I.V.A. e L. 50.000 a titolo di contributo previdenziale;

che, negata la corresponsione di tale ulteriore somma in prededuzione, lo Z., con ricorso del 13 aprile 2000, promosse il giudizio di insinuazione tardiva del relativo credito dinanzi al Tribunale di Milano, chiedendone l’ammissione al passivo in via di prededuzione;

che, in contraddittorio con il Fallimento della s.p.a. Onda Verde – che resistette al ricorso -, il Tribunale adito, con la sentenza n. 6443/2001 del 7 giugno 2001, respinse la domanda di ammissione al passivo di detto credito in prededuzione;

che, a seguito di appello dello Z. – cui resistette il Fallimento -, la Corte d’Appello di Milano, con la sentenza 2734/04 del 22 ottobre 2004, respinse l’impugnazione, confermando la sentenza appellata;

che, per quanto in questa sede rileva, la Corte milanese ha affermato che: a) “(…) a norma della L. Fall., art. 111, la qualità di debiti di massa, in quanto tali pagabili in prededuzione, va riservata esclusivamente ai debiti contratti dal curatore per l’amministrazione dei beni fallimentari e alle spese di procedura, cioè alle obbligazioni contratte direttamente dall’ufficio fallimentare (o alle stesse assimilate); non si può quindi pretendere che sorga un debito della massa per effetto del pagamento di debiti assunti dal fallito, in relazione a somme ad essi accessorie (di natura fiscale o previdenziale)”; b) “la natura di debito della massa del credito del professionista per rivalsa I.V.A. è tra l’altro esplicitamente smentita dal disposto dell’art. 2758 c.c., che prende in considerazione i crediti (dello Stato) per i tributi indiretti e i crediti (del privato) di rivalsa per pagamento della imposta sul valore aggiunto: crediti tutti per i quali è solamente previsto il privilegio speciale su determinati beni”; c) “(…) il citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, è norma che ha rilevanza esclusivamente fiscale, con lo scopo evidente di rendere più agevoli le operazioni e gli accertamenti in sede fiscale, ma che non può certamente alterare il sistema civilistico dei privilegi, tra cui il già ricordato art. 2758 c.c., nonchè le regole concorsuali in caso di fallimento, volte a dare attuazione in primo luogo al principio del paritario trattamento dei creditori, nel rispetto delle cause legittime di prelazione. Come bene ha osservato il primo giudice, se fosse vera la tesi sostenuta dall’attuale appellante, si avrebbe una abrogazione della norma (dell’art. 2758 c.c. n.d.r.) per i soli crediti di rivalsa I.V.A. dei professionisti che non hanno ancora emesso fattura al momento dell’apertura del concorso ovvero non hanno chiesto la ammissione al passivo del credito di rivalsa. Si avrebbe quindi un sistema strutturato in modo da far dipendere le regole del concorso e di graduazione dei crediti (indisponibili da parte dei privati) dalle scelte volontarie dei privati…”; d) tale orientamento è conforme a quello seguito dalla Corte di cassazione con le sentenze nn. 11143 del 1996 e 6149 del 1995; e) “In base a quanto si è detto, va ovviamente esclusa la natura di debito di massa anche per ciò che si riferisce al contributo previdenziale”;

che avverso tale sentenza Z.C. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura, illustrati con memoria;

che il Fallimento della s.p.a. Onda Verde, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva.

Considerato che, con i primi quattro motivi del ricorso, il ricorrente critica la sentenza impugnata – per la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 111, dell’art. 2758 c.c., e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 6, 18 e 21, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione -, sostenendo sostanzialmente che: 1) il pagamento in prededuzione delle spese e dei debiti contratti per l’amministrazione del fallimento comprende anche l’I.V.A. di rivalsa, se dovuta dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, con la conseguenza che, nella specie, essendo stata la fattura emessa nel corso della procedura fallimentare, il credito per rivalsa I.V.A. deve intendersi sorto all’atto dell’emissione della fattura stessa (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3) e, quindi, da soddisfare in prededuzione; 2) diversamente opinando, si determinerebbe, tra l’altro, un arricchimento indebito del Fallimento a detrimento del professionista, non in grado di recuperare l’I.V.A. non incassata; 3) i precedenti sfavorevoli della Corte di cassazione dovrebbero essere sottoposti a revisione critica;

che, con il quinto motivo, il ricorrente critica la sentenza impugnata anche nella parte in cui afferma la non prededucibilità del credito per rivalsa del contributo previdenziale;

che il ricorso non merita accoglimento;

che esiste un costante e risalente orientamento di questa Corte – condiviso dal Collegio – che esclude il carattere prededucibile del credito per rivalsa I.V.A. del professionista il quale abbia prestato la sua opera in favore dell’imprenditore successivamente dichiarato fallito;

che, secondo tale orientamento: a) il credito di rivalsa I.V.A. di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di imprenditore poi dichiarato fallito, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento (nella specie, a seguito del pagamento del compenso ricevuto in esecuzione di un riparto parziale), non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in prededuzione ai sensi della L. Fall., art. 111, comma 1, n. 1), (nella specie, applicabile nel testo originario ratione temporis), in quanto la disposizione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 6, comma 3, primo periodo, (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), secondo cui “Le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo”, non pone una regola generale rilevante in ogni settore del diritto – avendo l’emissione della fattura il solo effetto di determinare, ai fini fiscali, la data della cessione di beni o della prestazione di servizi in un momento diverso da quello della stipulazione -, cosicchè in particolare, sul piano civilistico, la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l’evento generatore del credito di rivalsa I.V.A., autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma a questo soggettivamente e funzionalmente connesso; b) conseguentemente – secondo la originaria formulazione della L. Fall., art. 111, comma 1, n. 1, -, il diritto di rivalsa non è riconducibile nel novero delle spese e dei debiti contratti per l’amministrazione della procedura fallimentare e per la continuazione dell’esercizio dell’impresa, ove autorizzato, perchè esso non è sorto nel corso della procedura fallimentare per effetto del pagamento effettuato dal curatore in esecuzione del piano di riparto e della corrispondente emissione della fattura da parte del professionista, tenuto conto che, ai fini dell’individuazione dei debiti di massa, non è determinante il profilo temporale, bensì quello funzionale, cioè la genesi del debito per atto degli organi fallimentari – e non di un terzo creditore – in occasione e per le finalità della procedura; c) lo stesso credito di rivalsa I.V.A. può giovarsi soltanto del privilegio speciale di cui all’art. 2758 c.c., comma 2, (nel testo sostituito dalla L. 29 luglio 1975, n. 426, art. 5), nel caso in cui sussistano beni – che il creditore ha l’onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo – sui quali esercitare la causa di prelazione; d) nell’ipotesi in cui tale credito non trovi utile collocazione in sede di riparto, non è configurabile una fattispecie di indebito arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 c.c., in relazione al vantaggio conseguibile dal fallimento mediante la detrazione dell’I.V.A. indicata nella fattura, poichè tale situazione è conseguenza del sistema normativo concorsuale, tenuto conto che per i prestatori di servizi, anche professionali, l’emissione della fattura all’atto della percezione del compenso è una facoltà alternativa all’immediata fatturazione, con registrazione della relativa I.V.A. a debito – nel qual caso nessun dubbio si pone sul carattere concorsuale del credito di rivalsa -, e che il simmetrico vantaggio e pregiudizio ingiusto che tale sistema di contabilizzazione dell’I.V.A. può, ma non necessariamente, determinare rispettivamente nei riguardi del fallimento e del professionista attengono a situazioni fattuali, insuscettibili di modificare la natura giuridica del fenomeno (cfr., ex plurimis, le sentenza nn. 15690 del 2008, 10799 del 1998, 6149, 1227 e 1115 del 1995, 5429 del 1994);

che i Giudici a quibus hanno correttamente applicato alla fattispecie tali principi di diritto, mentre il ricorrente non prospetta argomenti nuovi o diversi che possano indurre questa Corte a mutare il qui ribadito orientamento;

che non è conferente allo scopo neppure la “Risoluzione n. 127/E del 3 aprile 2008”, richiamata – soltanto parzialmente e senza ulteriori indicazioni – dal ricorrente con la memoria di cui all’art. 378 c.p.c.;

che, infatti – a prescindere dall’efficacià meramente interna all’amministrazione finanziaria di tale atto che, in ogni caso, non può collidere nè con la legge nè con gli atti aventi forza di legge – l’atto stesso, adottato in risposta ad un quesito posto da uffici finanziari periferici o da privati, disciplina fattispecie rilevanti soltanto sul piano tributario e che non riguardano comunque la questione in esame, concernente il carattere prededucibile o no del credito per rivalsa I.V.A. nell’ambito della procedura fallimentare;

che il quinto motivo del ricorso è inammissibile, per evidente genericità della censura;

che, infatti, il ricorrente non argomenta in alcun modo le specifiche ragioni per le quali il capo della sentenza impugnata – con il quale è stata esclusa la natura di debito di massa anche del contributo previdenziale -, omettendo in particolare di fare riferimento alla puntuale previsione legislativa che disciplina tale contributo;

che, al riguardo, non può in ogni caso pretermettersi il richiamo dello specifico precedente di questa Corte, secondo cui il credito del dottore commercialista, relativo al suo diritto di ripetere dal cliente – beneficiario di prestazioni professionali – il contributo versato alla Cassa Nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti, pari ad una percentuale dei corrispettivi rientranti nel volume d’affari ai fini I.V.A., è assistito da privilegio di grado pari a quello del credito per le prestazioni professionali, ai sensi della L. 29 gennaio 1986, n. 21, art. 11, comma 2, (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti), e quindi dal privilegio generale sui mobili di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 2), e secondo cui tale credito, in caso di fallimento del beneficiario delle prestazioni, non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in prededuzione, anche se la fatturazione e quindi la ripetibilità intervengano dopo la dichiarazione di fallimento, poichè lo stesso credito riguarda il soggetto fallito e non rappresenta, invece, per la parte passiva, una spesa di procedura o un debito contratto per l’amministrazione del fallimento (cfr. la sentenza n. 6149 del 1995 cit.);

che, pertanto, il ricorso nel suo complesso deve essere respinto;

che non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2011

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